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Ancora emergenza lavoro nero in Italia: ma la strada scelta dal Governo è quella giusta

Sono due milioni i lavoratori in nero in Italia, ma nel 2015 ben 200 mila sono stati assunti: sono i dati che raccontano l’ennesima emergenza lavoro nero in Italia. Ecco perché tra tutele crescenti, incentivi sulle assunzioni e bonus la strada è quella giusta. Di contro, tra stage, voucher e mancati investimenti, ecco perché la strada scelta dal Governo è quella sbagliata.
A cura di Antonio Barbato
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lavoro nero in italia

Sono quasi due milioni i lavoratori in nero in Italia (dato aggiornato al 2015). Secondo una stima dei Consulenti del lavoro, per la precisione ci sono 1,9 milioni di lavoratori in nero e il mancato gettito per le casse dello Stato è di 25 miliardi. Gli altri dati: Circa due terzi delle aziende italiane hanno delle irregolarità rispetto alla normativa del lavoro, fiscale e previdenziale. Ogni tre aziende viene trovato un lavoratore in nero. Sono numeri che raccontano che è ancora emergenza lavoro nero in Italia.

Ma i dati (qui è possibile leggerli), letti con un ottica positiva, restituiscono un dato importante: 200 mila lavoratori a nero sono stati assunti.

Vediamo tra gli incentivi alle assunzioni, bonus e tutele crescenti perché questa è la strada giusta. Anche se di contro, tra boom di voucher e stage, eccessivi costi e mancati investimenti, c'è chi giustamente critica l'operato del Governo e ritiene che stia seguendo una strada sbagliata.

Partiamo dall'origine dei dati: Si tratta dei dati diramati dalle attività ispettive del Ministero del Lavoro a chiusura dell’anno 2015 e commentati dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro in una indagine (qui trovate l'indagine completa), che raccontano di un emergenza lavoro nero che continua in Italia, visto che nel 2014 i lavoratori in nero erano 2,1 milioni e nel 2015 i lavoratori a nero sono ancora 1,9 milioni.

Ma tra i dati negativi, come detto, il dato positivo c’è: Con i decreti del Jobs Act e gli incentivi statali sulle assunzioni a tempo indeterminato in vigore per tutto l'anno 2015 c’è stato un miglioramento molto importante in termini di dati occupazionali, visto che facendo la differenza tra 2,1 milioni di lavoratori a nero per tutto l'anno 2014 e 1,9 milioni di lavoratori a nero a fine anno 2015,  sono duecentomila i lavoratori in nero che hanno trovato un posto di lavoro in Italia nel corso dell'anno 2015.

Perché la strada è quella giusta

La chiave per invertire la tendenza è ridurre il costo del lavoro. I dati confermano quanto già dichiarato da tempo dal Presidente della Fondazione Studi Rosario De Luca ai nostri microfoni nel settembre 2015 (potete ascoltare il video nell’articolo). L’emergenza lavoro nero in Italia si combatte riducendo il costo del lavoro per le imprese. E’ inutile girarci intorno: i lavoratori a nero vengono assunti dalle imprese solo se i costi, tra contributi e “tasse” da pagare, diventano accessibili agli imprenditori. E l’anno 2015 ne è stata una piccola grande dimostrazione.

I dati è vero che parlano di 1,9 milioni di lavoratori in nero ed un buco incredibile di 25 miliardi di euro di mancato gettito per le casse dello Stato, ma gli stessi dati parlano anche di 200.000 lavoratori in meno. E' un inversione di tendenza di circa il 10%, che in un solo anno è un dato molto positivo.

Ecco alcuni motivi per i quali il boom delle assunzioni ha portato questi risultati.

TUTELE CRESCENTI. Con il Jobs Act, il Governo Renzi ha modificato l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori introducendo le famose “tutele crescenti”, che però non sono altro che minori tutele per i lavoratori sulla conservazione o reintegra del posto di lavoro in caso di licenziamento dichiarato illegittimo. Questa modifica normativa, un po’ negativa per i lavoratori, ha dato però coraggio alle imprese nello scegliere il famoso contratto a tempo indeterminato.

ESONERO CONTRIBUTIVO TRIENNALE. Ma la chiave principale è stata nel 2015 la fondamentale introduzione nella Legge di Stabilità 2015 dell’esonero contributivo triennale, ossia di una riduzione del 100% dei contributi da versare, per le imprese, sulle assunzioni a tempo indeterminato. Nella sostanza, lo Stato ha “omaggiato” le imprese regolari con 8.060 euro all’anno per 3 anni per ogni assunto a tempo indeterminato. I 24 mila euro di sconto in un triennio hanno indotto le imprese a fare il passo di assumere e far emergere molti lavoratori a nero (infatti a dicembre 2015 si è registrato un grosso numero di assunzioni, proprio sul filo di lana).

GARANZIA GIOVANI: TIROCINI. Un'altra scossa positiva in Italia giunta nel 2015, che potrebbe rappresentare la chiave per il Governo nei prossimi anni, è rappresentata dagli incrementi delle assunzioni a tempo indeterminato, anche con contratto a tempo determinato, di giovani di età inferiore a 30 anni. Si tratta dei NEET (giovani che non studiano e non lavorano) del programma nazionale Garanzia Giovani. Una parte dell’emersione del lavoro nero è dovuta anche ai tirocini lanciati con il programma, che permettono alle aziende di avere un giovane in organico senza pagarlo per 6 mesi (il giovane viene pagato dalla regione). Ma il grosso dell’emersione è stata la misura sulle assunzioni a tempo indeterminato.

GARANZIA GIOVANI: BONUS OCCUPAZIONALE ALLE IMPRESE. Ebbene, dall’Unione Europea sono giunti dei fondi per lanciare il programma e, come sempre, la chiave è sempre l’abbassamento del costo del lavoro, ossia l’erogazione di incentivi che riducono il costo del lavoro alle imprese. In questo caso alle imprese che assumono il giovane a tempo indeterminato è stato destinato un incentivo chiamato bonus occupazionale da 1.500 a 6.000 euro, in base alla profilazione del giovane stesso. Agevolate in maniera similare anche la assunzioni con contratto di apprendistato o con contratto a tempo determinato.

All’azienda viene destinato questo bonus che consente la fondamentale compensazione di qualsiasi tributo e che ha dato respiro alle imprese di tutta Italia: 4.500 euro o 6.000 euro ad assunto fanno più che comodo, infatti i fondi stanziati sono quasi in esaurimento in tutta Italia, segnale ancora una volta che la chiave per convincere le imprese ad assumere è ridurre loro il costo del lavoro erogando incentivi.

E qui ritorniamo sempre alla questione del cuneo fiscale (ossia la differenza tra quanto costa un lavoratore all’impresa in totale e lo stipendio netto che eroga al lavoratore stesso). I dati non fanno altro che confermare che la riduzione strutturale del costo del lavoro sulle assunzioni a tempo indeterminato è la chiave, se sostenibile, per favorire la stabilizzazione dei lavoratori precari o l’emersione del lavoro nero.

Tra la conferma dei bonus di Garanzia Giovani (i fondi europei dovrebbero essere sicuri fino al 2020) e l’esonero contributivo triennale al 100% magari reinserito per le regioni del Sud, la strada per far emergere il lavoro nero potrebbe essere quella giusta.

Perché la strada è quella sbagliata

Prima di tutto perché alcuni dati dimostrano che le scelte di Governo effettuate nel 2015 sono difficilmente sostenibili. Ma come evidenziamo in seguito, ci sono altri dati molto preoccupanti che fanno emergere criticità sull'operato del Governo.

LE IMPRESE NON SONO REGOLARI. I dati dell’Inps lo confermano: sono irregolari due aziende su tre, ossia non rispettano la normativa in materia di lavoro, in materia fiscale e di sicurezza sul lavoro la maggior parte delle imprese. Ciò si traduce in una impossibilità per la maggior parte delle imprese di beneficiare degli incentivi e bonus sopra descritti, in quanto tutti quegli incentivi sono collegati ad una situazione di regolarità contributiva delle imprese, al requisito dell’incremento occupazionale netto, ecc. Tradotto in parole più semplici: se l’impresa ha debiti con l’Inps perché non è riuscita negli anni di crisi a pagare i contributi, non può accedere agli incentivi e bonus sulle assunzioni a tempo indeterminato (a meno che non riesce a rateizzare i propri debiti). Il requisito dell’incremento occupazionale netto, ossia aumentare di una unità i propri dipendenti, è difficile da mantenere se l’azienda, per effetto della crisi, è stata costretta a licenziare.

ESONERO CONTRIBUTIVO RIDOTTO AL 40%. Che le scelte di Governo non siano sostenibili è stato confermato dallo stesso esecutivo con la Legge di Stabilità 2016: l’esonero contributivo del 100% che ha portato al boom sulle assunzioni a tempo indeterminato nel 2015, è stato drasticamente ridotto con il nuovo esonero contributivo del 40% sulle assunzioni a tempo indeterminato nell’anno 2016. Il Governo è rapidamente passato da erogare fino a 8.060 euro all’anno per 3 anni (un totale di oltre 24 mila euro all’impresa) all’erogare, invece, nel 2016 fino a 3.250 euro per due anni (ossia 7.500 euro totali). La motivazione? La sostenibilità dei costi per lo Stato. Del resto, i dati sono chiari: c’è stato un boom di assunzioni nel 2015 e questo ha comportato un ingente esborso finanziario.

NASPI: POSSIBILE BUCO PER L’INPS. C’è da considerare, infatti, anche l’impatto sulle casse dell’Inps, tra la ridotta contribuzione effettivamente percepita e la spesa da sostenersi per erogare poi l’indennità di disoccupazione, la Naspi, che dal 2015 in poi arriva a durare fino a 24 mesi (ben 2 anni). La domanda è: tra due anni si esauriscono gli incentivi triennali, quanti lavoratori verranno licenziati? e quante indennità di disoccupazione dovrà erogare l'Inps?

ALLE IMPRESE INCENTIVI MA NON INVESTIMENTI. Parte della critica d’autore sottolinea che gli incentivi del Governo nel 2015 hanno dato una mano sull’emersione di lavoro nero, ma come detto un grosso esborso finanziario che non ha favorito per nulla quello che sarebbe il vero obiettivo che deve perseguire un paese membro dell’Unione Europea come l’Italia: rilanciare gli investimenti nel Paese in termini di sviluppo. E’ risaputo che le imprese assumono con gli incentivi perché ricevono agevolazioni, ma che sono pronte a licenziare nuovamente se non hanno commesse di lavoro, non hanno effettivamente un incremento del proprio business, degli appalti, delle commesse, degli introiti effettivi. In pratica, sarebbe stato meglio impiegare le risorse non per incentivare le assunzioni, ma per favorire nuove commesse alle imprese.

BOOM DI STAGE. E’ uno strumento ottimo per inserire i giovani (e meno giovani) disoccupati o inoccupati nella propria impresa, di fatto testandoli ed evitando il lavoro nero come soluzione. I datori di lavoro in Italia possono assumere con un tirocinio formativo un lavoratore (soprattutto i giovani) fino a 6 o 12 mesi con l’indubbio vantaggio che non trattandosi di un rapporto di lavoro, non sono dovuti i contributi. Il lavoratore può essere retribuito con un indennità di 400 o 500 euro (dipende dalla regione). Ebbene, in Italia il lavoro nero viene combattuto anche così: con una forma di lavoro che non è un rapporto di lavoro, ma che da un lato è un opportunità di inserimento per il giovane o non giovane, ma dall’altro lato è un modo per evitare di far lavorare a nero il lavoratore. Quale è il problema? Che in Italia c’è il boom dei tirocini, che in molti casi non sono più che un opportunità un occultamento di un rapporto di lavoro. E questo nonostante gli investimenti sulle politiche attive effettuate dal Governo.

BOOM DI VOUCHER. Ancora peggio, i dati dimostrano che ci sono milioni e milioni di buoni lavoro o voucher utilizzati in Italia. Nato come una forma di retribuzione e contribuzione per quei casi di lavoro occasionale di tipo accessorio, i voucher si sono trasformati in questi anni come un vero e proprio strumento per occultare veri e propri rapporti di lavoro a nero. Il Ministero del lavoro, per rimediare, ha promesso che i voucher saranno pienamente tracciabili con data, luogo e durata della prestazione. Sicuramente si muove qualcosa, ma il dato è allarmante: i lavoratori in nero in Italia potrebbe essere una cifra ben superiore a 2 milioni di persone.

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Giornalista dal 2016 e consulente del lavoro, sono caposervizio dell'area Job. Scrivo di lavoro, fisco e previdenza.
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