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Contratto part-time [GUIDA]

Il contratto part-time è un contratto con orario ridotto. La normativa sul contratto a tempo parziale orizzontale, verticale o misto è stata riscritta con il Decreto Legislativo n. 81/2015. Dal limite al ricorso al lavoro supplementare alle modifiche alle clausole flessibili ed elastiche, dalla forma scritta al patto di prova, dalla trasformazione da part-time a full-time e da tempo pieno a tempo parziale, vediamo tutta la normativa.
A cura di Antonio Barbato
196 CONDIVISIONI
part-time orizzontale, verticale e misto

Il contratto part-time o contratto di lavoro a tempo parziale è un contratto individuale di lavoro che prevede una prestazione lavorativa ridotta rispetto al normale orario di lavoro a tempo pieno. Il lavoratore quindi per contratto è tenuto a lavorare con un orario ridotto rispetto all’orario di lavoro normale (40 ore settimanali). E per tale prestazione riceverà ovviamente una retribuzione proporzionalmente ridotta sulla base delle ore lavorate.

L’assunzione con un contratto di lavoro part time, che può essere orizzontale, verticale o misto, è consentita dalla legge in tutti i settori di attività, configurandosi come una tipologia di riduzione dell’orario di lavoro. La legge che disciplina il lavoro a tempo parziale è attualmente il Decreto Legislativo n. 81/2015 in vigore dal 25 giugno 2015, che è uno dei decreti del Jobs Act del Governo Renzi. In questo decreto, che una sorta di Testo Unico dei contratti di lavoro, sono riscritte tutte le normative relative ai contratti di lavoro. E uno dei contratti per i quali è stata revisionata la normativa è appunto il contratto part-time.

Il decreto modifica in parte la normativa sul contratto a tempo parziale, ma ripropone sostanzialmente l’attuale disciplina normativa del part-time. Il ruolo della contrattazione collettiva viene confermato. Vengono introdotte alcune novità riguardo le clausole elastiche e flessibili.

Ecco quindi una guida completa sul contratto di lavoro a tempo parziale o contratto part-time.

SOMMARIO:
Cosa è il part-time
Part-time orizzontale, verticale e misto
Retribuzione e diritti del lavoratore part-time
Forma scritta
Patto di prova
Lavoro supplementare e straordinario
Clausole elastiche
Trasformazione da full-time a part-time
Trasformazione da part-time a full-time
Computo lavoratori part-time
Sanzioni
Part-time dipendenti pubblici
Part-time in edilizia

Cosa è il part-time

Cosa significa o cosa vuol dire part time? quale è la differenza tra full time e part time?

Prima di tutto va ricordato che il contratto di lavoro part-time o a tempo parziale, meglio conosciuto tra i lavoratori come contratto part-time, è un contratto di lavoro subordinato che è caratterizzato da un orario di lavoro ridotto rispetto a quello ordinario (ossia il full-time o contratto a tempo pieno), che generalmente è individuato in 40 ore settimanali (come da articolo 3, comma 1 del Decreto Legislativo n. 66 del 2003), ovvero nel minor orario di lavoro previsto dal CCNL o contrattazione collettiva. Il contratto part time può essere sia a tempo indeterminato che determinato. E' infatti possibile un contratto a termine con orario di lavoro a tempo parziale.

La normativa completa sul contratto part-time è contenuta negli articoli da 5 a 12 del D. Lgs. n. 81/2015. Con l’introduzione di questo Decreto del Jobs Act da parte del Governo Renzi sono state abrogate le norme che precedentemente disciplinavano il contratto di lavoro a tempo parziale, come ad esempio il Decreto Legislativo n. 61 del 25 febbraio 2000, legge che già nasceva sulla base della costante richiesta di flessibilità dell’orario di lavoro emersa a livello europeo nel mondo del lavoro. L’obiettivo è quello di favorire nuove occasioni di lavoro che corrispondano sia alle esigenze aziendali particolari che alle esigenze familiari o personali di alcuni lavoratori che necessitano di contratti di lavoro con orario ridotto.

Il contratto part-time o contratto a tempo parziale ha una peculiarità che è quella di fornire alle aziende ed ai lavoratori una tipologia di contratto di lavoro che consenta lo svolgimento di un orario lavorativo ridotto, sia per venire incontro alle esigenze aziendali di poter inquadrare un lavoratore solo per alcune ore durante la giornata lavorativa, sia per consentire di conciliare la vita professionale e la vita privata ai lavoratori.

Il part-time è quindi un contratto molto utilizzato dai lavoratori che hanno degli impegni familiari o di altra natura nel corso della giornata, oppure in certi periodi dell’anno. E’ un contratto utilizzato dalle lavoratrici madri, dai giovani studenti o anche dai lavoratori cinquantenni in cerca di nuovo impiego. E’ utilizzato altresì dalle aziende che hanno bisogno di una forza lavorativa ma a tempo parziale (meno di 40 ore settimanali).

Storia del part-time. Il contratto a tempo parziale si è sviluppato nel corso negli anni come uno dei contratti di lavoro subordinato. La prima disciplina è arrivata con la Legge n. 726 del 1984, poi successivamente è stata introdotta la normativa nel D. Lgs. n. 61/2000, poi modificata dalla riforma Biagi, dalla legge n. 247/2007, dalla legge n. 183/2011 e dalla Riforma Fornero, legge n. 92 del 2012. Fino ad arrivare ad oggi, dal 24 giugno 2015, quando è entrato in vigore il Decreto Legislativo n. 81 del 2015, che ha abrogato tutta la precedente normativa in materia.

Il testo del Decreto Legislativo n. 66 del 2003, la normativa sull’orario di lavoro, ci forniva indirettamente, in riferimento al contratto part-time, le definizioni di:

  • lavoro a tempo pieno (l'orario normale di lavoro di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, o l'eventuale minor orario normale fissato dai contratti collettivi applicati);
  • lavoro a tempo parziale (l'orario di lavoro, fissato dal contratto individuale, cui è tenuto il lavoratore, che risulti comunque inferiore all’orario a tempo pieno;
  • lavoro supplementare (quello corrispondente alle prestazioni lavorative svolte oltre l'orario di lavoro concordato fra le parti ai sensi dell'articolo 5, comma 2, ed entro il limite del tempo pieno);
    clausola flessibile (quella che consente al datore di lavoro di variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa);
  • clausola elastica (quella che consente al datore di lavoro, nel rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto, di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa).

Part time orizzontale, verticale e misto

L’art. 1 del D. Lgs. 61/2000 definiva inoltre le tre tipologie di contratto di lavoro part time:

  • part-time orizzontale: rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale che è “quello in cui la riduzione di orario rispetto al tempo pieno è prevista in relazione all’orario normale giornaliero di lavoro” (Es. dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle 14 o dalle 14 alle 18);
  • part-time verticale, la definizione è la seguente: rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale che è “quello in relazione al quale risulti previsto che l’attività lavorativa sia svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell’anno” (Es. il lavoratore che lavoro il lunedì, il mercoledì ed il venerdì per 8 ore giornaliere);
  • part-time misto: rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo misto che è “quello che si svolge secondo una combinazione delle due modalità precedentemente indicate (cioè un misto tra orizzontale e verticale (Esempio di contratto part-time misto: dal lunedì al mercoledì full-time 8 ore al giorno e giovedì e venerdì part-time solo la mattina).

Tali definizioni, dopo l'entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 81/2015, ossia dal 25 giugno 2015, sono da considerarsi ancora valide, ma come vedremo, nella nuova normativa viene eliminata la differenziazione del part-time in verticale, orizzontale o misto, così come viene eliminata la differenziazione tra clausole elastiche e clausole flessibili, ricomprese ora entrambe sotto la definizione di clausole elastiche.

Compatibilità con altri contratti di lavoro. Il part-time, ossia il contratto di lavoro a tempo parziale, è applicabile oltre che al contratto di lavoro a tempo indeterminato, anche:

  • al contratto di inserimento,
  • al contratto di apprendistato
  • ed al contratto a tempo determinato (contratto a termine).

Il contratto di lavoro part-time può essere utilizzato anche per inquadrare i dirigenti ed i lavoratori soci di cooperativa. Inoltre possono essere assunti con contratto part time anche i lavoratori in mobilità ed i lavoratori chiamati a sostituire coloro che si assentano per godere il congedo di maternità o il congedo di paternità.

Ore minime part time. Una delle domande più frequenti è "di quante ore minime può essere un contratto part-time?". Va detto che per dare risposta bisogna consultare il CCNL di settore. E' infatti nel contratto collettivo che sono indicate l'orario minimo settimanale con il quale può essere inquadrato un lavoratore di quel settore. Generalmente le ore minime del part-time sono 16 ore settimanali su 40, quindi un part-time al 40%. Ma va comunque consultato il CCNL perché ogni contrattazione collettiva prevede le proprie "regole" sul contratto a tempo parziale.

Orario di lavoro e cumulo di due part-time. Nel caso in cui il lavoratore cumuli due o più contratti part-time con una pluralità di datori di lavoro (es. un part-time dalle 9 alle 13 ed un altro part-time dalle 16 alle 20), resta fermo l’obbligo del rispetto dei limiti di orario di lavoro stabiliti dal D. Lgs. n. 66 del 2003, e cioè 40 ore settimanali. Come a tutti gli altri lavoratori, anche al lavoratore a tempo parziale vanno garantiti gli stessi diritti in termini di riposo giornaliero e settimanale .

Retribuzione e diritti del lavoratore part-time

Un importante principio nei contratti di lavoro a tempo parziale o part-time è il principio di non discriminazione nel contratto a tempo parziale, secondo il quale al lavoratore part-time spettano gli stessi diritti dei lavoratori a tempo pieno, ossia un trattamento equivalente (e non meno favorevole) rispetto a quello del lavoratore a tempo pieno inquadrato nello stesso livello contrattuale secondo CCNL.

Stessi diritti, la retribuzione proporzionata alle ore. Pertanto il lavoratore a tempo parziale gode degli stessi diritti riconosciuti al lavoratore a tempo pieno, fermo restando il trattamento economico-retribuito proporzionalmente ridotto in base alla quantità dell’orario di lavoro che effettivamente svolge. La retribuzione su base oraria deve essere determinata con gli stessi parametri previsti per il lavoratore a tempo pieno. Stessi diritti anche nei casi di sospensione del rapporto di lavoro per malattia o infortunio sul lavoro o maternità.

L’applicazione del principio di non discriminazione comporta che il lavoratore a tempo parziale benefici dei medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile in particolare per quanto riguarda:

  • l’importo della retribuzione oraria;
  • la durata del periodo di prova e delle ferie annuali;
  • la durata del periodo di astensione obbligatoria e facoltativa per maternità;
  • la durata del periodo di conservazione del posto di lavoro a fronte di malattia, infortuni sul lavoro, malattie professionali;
  • l’applicazione delle norme di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro;
  • l’accesso ad iniziative di formazione professionale organizzate dal datore di lavoro;
  • l’accesso ai servizi sociali aziendali;
  • i criteri di calcolo delle competenze indirette e differite previsti dai contratti collettivi di lavoro;
  • i diritti sindacali, ivi compresa l’aspettativa sindacale.

Il Decreto n. 81/2015, all’art. 7 disciplina anche il trattamento economico e normativo del lavoratore a tempo parziale. Al lavoratore part-time riconosce esplicitamente il diritto al pari trattamento. Più precisamente “il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno di pari inquadramento” (principio di non discriminazione).

Quindi “Il lavoratore a tempo parziale ha i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile ed il suo trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa”.

Non solo, “I contratti collettivi possono modulare la durata del periodo di prova, del periodo di preavviso in caso di licenziamento o dimissioni e quella del periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia ed infortunio in relazione all'articolazione dell'orario di lavoro”.

Il riproporzionamento. L’applicazione del principio di non discriminazione comporta inoltre che il trattamento del lavoratore a tempo parziale sia riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa in particolare per quanto riguarda:

l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa; l’importo della retribuzione feriale; l’importo dei trattamenti economici per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale e maternità.

Il lavoratore part-time ha infatti diritto alla stessa retribuzione oraria del lavoratore a tempo pieno, quindi la stessa paga oraria. Quindi lo stipendio del lavoratore part-time è inferiore per effetto del minor numero di ore lavorate, ma resta equivalente in termini di paga oraria spettante.

Mentre gli importi dei trattamenti e indennità di malattia, infortunio, indennità di maternità nel part-time saranno calcolati in maniera proporzionale al numero delle ore lavorate, salvo che i contratti collettivi (e quindi il lavoratore deve consultare il proprio CCNL di settore) non stabiliscano che il calcolo delle indennità debba avvenire secondo parametri più favorevoli al lavoratore.

Permessi e congedi parentali nel part-time. Sempre per lo stesso principio di non discriminazione, il lavoratore con un contratto a tempo parziale ha diritto allo stesso trattamento normativo rispetto ai lavoratori assunti a tempo pieno riguardo alla durata del periodo di ferie annuali, dei congedi di maternità e dei congedi parentali, nonché la durata del trattamento di malattia e infortunio.

 Le ferie nel part-time orizzontale e verticale. Per quanto riguarda le ferie c’è una importante distinzione tra part-time orizzontale e part-time verticale. Nel part-time con orario ridotto (orizzontale) le ferie retribuite sono garantite nella stessa misura di quelle spettanti al lavoratore a tempo pieno (es. 26 giorni di ferie annuali). Nel caso di part-time con un orario a tempo pieno ma solo per alcuni giorni, o settimane o mesi (verticale), la durata delle ferie è proporzionata alla quantità della prestazione lavorativa effettuata durante l’anno. Ovviamente anche la retribuzione feriale del lavoratore part-time è proporzionalmente ridotta in relazione alla riduzione oraria della prestazione lavorativa.

Calcolo della retribuzione nel part-time. Molti lavoratori si chiedono come calcolare lo stipendio nel part-time. E’ bene dare una rapida risposta a questo quesito. Nel part-time la retribuzione fissa (paga base, contingenza, EDR, terzo elemento, scatti di anzianità, ecc.) è la stessa che spetta ai lavoratori a tempo pieno, ma viene riproporzionata in base alla percentuale di part-time svolto. Ad esempio un lavoratore part-time al 50% (20 ore settimanali), avrà diritto al 50% delle retribuzioni fisse e continuative, che generalmente sono indicate nella parte alta del cedolino. Allora il lavoratore nella busta paga troverà nella parte alta l’indicazione della paga base, della contingenza, ecc. nell’importo spettante ad un lavoratore a tempo pieno, ma poi effettivamente nel corpo centrale del cedolino gli viene erogata la retribuzione (la somma di tutti gli elementi fissi) ma proporzionata alla percentuale del part-time (nel caso in esempio, il 50% della retribuzione). E quindi il lavoratore percepirà una retribuzione, sia se è un impiegato sia che sia un operaio, proporzionata all’orario di lavoro ridotto svolto.

Per quanto riguarda le ferie annuali, invece il lavoratore nella busta paga riceverà le stesse giornate pagate a titolo di ferie del lavoratore full-time, solo che viene pagata la giornata di ferie in base alla retribuzione giornaliera (un ventiseiesimo) spettante ma come lavoratore part-time (nel caso in esempio sempre ridotta al 50%). I permessi retribuiti in busta paga part-time invece sono riproporzionati in termini di ore di permessi spettanti (esempio: se sono 72 le ore di permessi retribuiti in un anno, al lavoratore part-time al 50% spettano 36 ore di permessi annui, ma pagati con la stessa retribuzione oraria del lavoratore full-time).

Come si calcolano i contributi nel part-time. Nel Decreto Legislativo n. 81/2015 c’è l’art. 11 che tratta la disciplina previdenziale del lavoro a tempo parziale. Il comma 1 stabilisce che “La retribuzione minima oraria, da assumere quale base per il calcolo dei contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale, si determina rapportando alle giornate di lavoro settimanale ad orario normale il minimale giornaliero di cui all'articolo 7 del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, e dividendo l'importo così ottenuto per il numero delle ore di orario normale settimanale previsto dal contratto collettivo nazionale di categoria per i lavoratori a tempo pieno”.

Part-time e assegni familiari. L’art. 11 comma 2 del D. Lgs. n. 81/2015 conferma quanto previsto in materia previdenziale per il riconoscimento degli ANF: “Gli assegni per il nucleo familiare spettano ai lavoratori a tempo parziale per l'intera misura settimanale in presenza di una prestazione lavorativa settimanale di durata non inferiore al minimo di ventiquattro ore. A tal fine sono cumulate le ore prestate in diversi rapporti di lavoro. In caso contrario spettano tanti assegni giornalieri quante sono le giornate di lavoro effettivamente prestate, qualunque sia il numero delle ore lavorate nella giornata. Qualora non si possa individuare l'attività principale per gli effetti dell'articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1955, n. 797, e successive modificazioni, gli assegni per il nucleo familiare sono corrisposti direttamente dall'INPS”. Per maggiori informazioni vediamo l’approfondimento sul part-time e assegni familiari.

Forma scritta del contratto part-time

Nella stipula del contratto di lavoro a tempo parziale è sempre richiesta la “forma scritta ai fini della prova” (art. 5 comma 1 del Decreto Legislativo n. 81/2015) nonché, come avveniva nella normativa abrogata, nel contratto deve essere contenuta:

la “puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno” (art. 5 comma 2).

La forma scritta è quindi richiesta ad probationem e non ad substantiam. La forma scritta, infatti, è una tutela del lavoratore part-time, onde evitare che il datore di lavoro, a sua discrezione, apporti modifiche alla distribuzione dell’orario di lavoro part-time pattuito.

C’è da sottolineare che in caso di mancata forma scritta, il contratto part-time sarà comunque valido. E’ ammessa la prova testimoniale. Il Giudice, in caso di contenzioso, in difetto della prova, potrebbe dichiarare, su richiesta del lavoratore, la sussistenza tra le parti di un contratto di lavoro a tempo pieno, a decorrere dalla data in cui è accertata la mancanza della forma scritta. Ciò è previsto dall’art. 10 del Decreto, in materia di sanzioni, che in seguito vedremo.

Il riconoscimento di un rapporto a tempo pieno. In assenza di prova, invece, sia documentale tramite la forma scritta che per testimoni, il datore di lavoro rischia. Il lavoratore, infatti, può chiedere al Tribunale il riconoscimento della sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno (full time) con efficacia e validità dalla data della mancanza di scrittura privata che sia accertata in giudizio, con la conseguenza che il lavoratore ha diritto al riconoscimento dei diritti retribuitivi ed economici (a tempo pieno) per il periodo accertato.

Gli unici mezzi di prova del rapporto a tempo parziale ammessi in mancanza del documento scritto sono:

  • un documento scritto (anche posteriore) dal quale risulti che una volontà si è manifestata in qualsiasi modo;
  • la confessione (art. 2730 c.c.);
  • il giuramento decisorio (art. 2736, n. 1, c.c.).

Il contratto di lavoro part-time sottoscritto dal datore di lavoro e dal lavoratore deve contenere necessariamente per essere valido, i seguenti elementi:

  • Le mansioni che il lavoratore dovrà svolgere;
  • L’articolazione dell’orario di lavoro su base giornaliera, settimanale, mensile e annuale;
  • L’esatta quantità di prestazione dovuta in termini di ore lavorative (es. 35 ore su 40);
  • La collocazione temporale dell’orario di lavoro da effettuare (es. dalle 9 alle 13 nel part-time al 50%);
  • Le modalità di organizzazione dell’orario di lavoro all’interno della struttura, accettate espressamente dal lavoratore nel contratto;
  • Il periodo di prova, che è comunque ridotto proporzionalmente rispetto ad un contratto di lavoro a tempo pieno.

Durata del part-time. La legge non stabilisce né la durata minima né la durata massima di orario di lavoro dei lavoratori impiegati a tempo parziale. I contratti collettivi CCNL possono indicare la durata minima. Molti CCNL individuano in 16 ore il numero di ore di part-time minimo. Alcuni contratti collettivi individuano invece le fasce orarie giornalieri, settimanali e mensili entro le quali deve essere fissata la prestazione lavorativa.

Definita la durata, ossia il numero di ore di part-time che si intende inserire nel contratto individuale di lavoro, le parti, nel predisporre la bozza di contratto part-time, devono comunque tener conto di una serie di aspetti inerenti all’orario di lavoro pattuito.

Come indicare l’orario di lavoro nel contratto part-time. Una delle novità del Decreto Legislativo n. 81/2015 in materia di contratto a tempo parziale sta nel fatto che se la prestazione è articolata in turni di lavoro, ossia quando per effetto dell’organizzazione aziendale del lavoro la prestazione del lavoratore part-time è articolata in turni, l’indicazione del comma 2 di cui sopra (ossia la puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno) “può avvenire anche mediante rinvio a turni programmati di lavoro articolati su fasce orarie prestabilite”.

Questo significa che è stato eliminato l’obbligo di prevedere la collocazione esatta della prestazione lavorativa nel rapporto di lavoro part-time articolato su turni. Sarà infatti ora sufficiente il rinvio a turni programmati di lavoro articolati su fasce orarie prestabilite.

Indicazione delle fasce orarie nel part-time verticale. Il part-time verticale, lo ricordiamo, è quel contratto a tempo parziale dove la prestazione lavorativa avviene a tempo pieno ma per alcuni giorni (esempio il lunedì, il mercoledì e il venerdì per 8 ore giornaliere). Ebbene, vista l’introduzione della nuova normativa sul contratto a tempo parziale contenuta nel D. Lgs. n. 81/2015 c’è da ritenere che nel caso del part-time verticale non sia un obbligo di legge indicare le fasce orarie in cui la prestazione deve essere svolta nell’ambito della singola giornata. Ciò è stato comunque sancito già in vigenza della previgente normativa dal Ministero del Lavoro nell’interpello n. 11/2009. In sostanza nel fac-simile bozza del contratto part-time è sufficiente indicare l’entità della prestazione (es. lunedì 8 ore, mercoledì 8 ore e venerdì 8 ore).

Il lavoratore nel part-time ha diritto al tempo libero. Nel contratto a tempo parziale è costituzionalmente garantito il diritto del lavoratore a disporre del proprio tempo libero durante la giornata, al di fuori della prestazione lavorativa. Ossia se un lavoratore ha un contratto a tempo parziale in cui viene impiegato a lavoro per metà giornata, egli ha diritto a disporre liberamente dell’altra metà giornata, sia come tempo libero che come orario disponibile per cercarsi un altro lavoro part-time. Bisogna tener conto di ciò anche nel predisporre delle clausole elastiche, ma in generalmente bisogna tener conto di ciò anche nel predisporre nel contratto l’orario di lavoro. A questo punto rispondiamo ad una domanda ben precisa:

Perché nel part-time bisogna indicare la “puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa”?

Ci risponde a questo quesito il Ministero del Lavoro nell’interpello n. 11/2009: La previsione legislativa circa la puntuale indicazione della collocazione temporale della prestazione deve intendersi finalizzata esclusivamente a garantire una individuazione preventiva, da parte del lavoratore, del tempo libero.

Per contro, nell’arco di tempo in cui la prestazione in termini di durata è parificata al tempo pieno (esempio del part-time verticale), non vige alcun obbligo di legge di predeterminare la precisa collocazione del tempo di lavoro. In questo senso, sono ancora da ritenersi valide le considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 210 dell’11 maggio 1992 là dove ha precisato che:

a) se le parti si accordano per un orario giornaliero di lavoro inferiore a quello ordinario (è il caso dell’ex part-time orizzontale), di tale orario giornaliero deve essere determinata la distribuzione e cioè la collocazione nell’arco della giornata;

b) se le parti hanno invece convenuto che il lavoro abbia a svolgersi in un numero di giorni alla settimana inferiore a quello normale (è il caso dell’ex part-time verticale), la distribuzione di tali giorni nell’arco della settimana deve essere preventivamente determinata;

c) se le parti hanno infine pattuito che la prestazione lavorativa debba occupare solo alcune settimane o alcuni mesi, deve essere preventivamente determinato dal contratto quali (e non solo quante) sono le settimane e i mesi in cui l’impegno lavorativo dovrà essere adempiuto.

Il legislatore rafforza il diritto del lavoratore ad avere a disposizione il tempo libero che la stessa tipologia di contratto a tempo parziale determina. Questo aldilà delle eventuali clausole flessibili ed elastiche inserite nel contratto part-time stipulato.

Il datore di lavoro non può decidere l’orario di volta in volta. Infatti, è nulla la clausola inserita in un contratto part-time dove non è determinata esplicitamente la ripartizione dell’orario di lavoro nella giornata, nel mese o nell’anno, e dove poi a quel punto è riservata al datore di lavoro la scelta fra differenti possibili orari di lavoro giornaliero. Ne verrebbe meno la libertà del lavoratore ad organizzare il suo tempo libero consequenziale alla stipula di un contratto a tempo parziale in luogo di un contratto a tempo pieno.

Nel caso in questione, la collocazione oraria viene poi definita nel contenzioso dal giudice che tiene conto delle esigenze organizzative del datore di lavoro e, soprattutto, delle esigenze familiari del lavoratore o della sua necessità di integrare il proprio reddito anche con un secondo part-time o con altra attività lavorativa. Nel caso lavoratore viene poi riconosciuto un emolumento a titolo di risarcimento del danno.

Contratto part-time stipulato senza la ripartizione dell’orario di lavoro. Potrebbe capitare che nel contratto di lavoro a tempo parziale non siano rispettati gli obblighi di indicare puntualmente la durata della prestazione lavorativa, la collocazione temporale dell’orario di lavoro, con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno, ossia i principi dettati dal D. Lgs. n. 81/2015 in merito al contenuto del contratto di lavoro part-time. In questo caso entra in gioco la giurisprudenza. Alcune sentenze affermano che è nulla la clausola di un contratto di lavoro a tempo parziale ove non sia determinata la ripartizione dell’orario di lavoro nella giornata, nel mese o nell’anno e sia invece riservata al datore di lavoro la scelta tra le differenti e possibili orari di lavoro giornalieri. In tal caso si viola sia la disposizione normativa in materia di puntuale indicazione dell’orario di lavoro sia la normativa in materia di clausole elastiche (che in seguito vedremo), le quali comunque non possono eccedere in tal senso. Secondo i giudici, il lavoratore, come già detto, ha diritto nel part-time al proprio tempo libero, tenendo conto delle responsabilità familiari del lavoratore, della sua necessità di integrazione del reddito (cercarsi un eventuale altro contratto di lavoro part-time). Nel caso in questione i giudici hanno disposto un risarcimento del danno.

Patto di prova nel contratto part-time

Anche nel contratto a tempo parziale, come nel contratto a tempo pieno, il datore di lavoro ed il lavoratore possono inserire la clausola relativa al periodo di prova. Il patto di prova (che ricordiamo introduce una condizione sospensiva al contratto di lavoro in quanto la sua efficacia risulta sospesa fino al verificarsi del mancato recesso tra le parti durante il periodo di prova stesso) deve innanzitutto essere contenuto nel fac-simile di contratto part-time, quindi nella bozza di contratto va indicato l’esatto periodo di prova, che deve rientrare nei limiti imposti dalla contrattazione collettiva e della legge. E’ bene quindi controllare cosa prevede il CCNL di settore in merito al periodo di prova.

Per il principio di non discriminazione dei lavoratori part-time, a quest’ultimi spettano, nonostante l’orario di lavoro ridotto, i medesimi diritti previsti per il lavoratore a tempo pieno, quindi lo stesso periodo di prova in termini di giorni, che ovviamente non va riproporzionato in base alla percentuale del part-time. Pur non essendoci più la distinzione tra part-time orizzontale, misto e verticale, va sottolineato che il periodo di prova è lo stesso dei lavoratori full-time per i lavoratori part-time orizzontale, mentre i giorni del periodo di prova nel contratto di lavoro part-time orizzontale dovranno essere computati in base ai giorni effettivamente lavorati.

Ricordiamo che il patto di prova dovrà indicare specificamente la mansione affidata al lavoratore. Non solo, il patto di prova deve essere ovviamente sottoscritto dal lavoratore, come il contratto di lavoro, prima dell’inizio della prestazione lavorativa (come minimo il giorno prima del primo giorno di lavoro).

Lavoro supplementare e straordinario nel part-time

Il datore di lavoro può richiedere al lavoratore inquadrato con contratto a tempo parziale lo svolgimento di ore di lavoro supplementare. L’art. 6 del D. Lgs. n. 81/2015 stabilisce che “Nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi, il datore di lavoro ha la facoltà di richiedere, entro i limiti dell'orario normale di lavoro di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 66 del 2003 (ossia le 40 ore settimanali per la maggior parte dei CCNL), lo svolgimento di prestazioni supplementari, intendendosi per tali quelle svolte oltre l'orario concordato fra le parti ai sensi dell'articolo 5, comma 2, anche in relazione alle giornate, alle settimane o ai mesi”.

In sostanza se un lavoratore è inquadrato con un part-time al 50% con 20 ore settimanali come orario di lavoro, il datore di lavoro può richiedere allo stesso dipendente lo svolgimento di ore di lavoro supplementare, intendendo come supplementari oltre le 20 ore contrattualmente previste e fino alle 40 ore che è nella maggior parte dei casi l’orario di lavoro normale per il lavoratore con contratto full-time.

Il limite del 25%. Il comma 2 dell’art. 6 del D. Lgs. N. 81/2015 pone però un limite percentuale al lavoro supplementare: “Nel caso in cui il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro non disciplini il lavoro supplementare, il datore di lavoro può richiedere al lavoratore lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare in misura non superiore al 25 per cento delle ore di lavoro settimanali concordate”.

Riprendendo l’esempio del part-time al 50% a 20 ore, quindi il datore di lavoro può richiedere al lavoratore delle ore di lavoro supplementare nel limite del 25% di 20 ore, quindi per sole 4 ore settimanali oltre le 20 ore, quindi per 24 ore settimanali massime.

Quando il lavoratore può rifiutare il lavoro supplementare. Continua il comma 2 dell’art. 6: “In tale ipotesi, il lavoratore può rifiutare lo svolgimento del lavoro supplementare ove giustificato da comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale”.

La maggiorazione del 15%. Il comma 2 dell’art. 6 stabilisce che “Il lavoro supplementare è retribuito con una maggiorazione del 15 per cento della retribuzione oraria globale di fatto, comprensiva dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti”.

La nuova normativa quindi non dispone più, in riferimento al lavoro supplementare, che i contratti collettivi dispongano i casi in cui è consentito richiedere al lavoratore lo svolgimento di lavoro supplementare. I CCNL però possono stabilire il numero massimo delle ore di lavoro supplementare effettuabili e le conseguenze del superamento di tale limite.

I limiti nei contratti collettivi e la retribuzione maggiorata. Aldilà delle previsioni normative contenute nel D. Lgs. n. 81/2015 è sempre il CCNL di settore che stabilisce:

  • Il numero massimo delle ore di lavoro supplementare effettuabili, le cause che lo giustificano e le conseguenze in caso di superamento dei limiti prefissati;
  • Le maggiorazioni in termini di retribuzione per la prestazione di lavoro supplementare;
  • L’eventuale computo in maniera convenzionale della retribuzione per ogni ora di lavoro supplementare prestata, con la determinazione di una maggiorazione forfettaria.

Lavoro straordinario nel part-time. Come abbiamo visto, il lavoro supplementare è quello che va dall’orario contrattuale (es. part-time al 50% = 20 ore settimanali) fino all’orario di lavoro a tempo pieno (40 ore settimanali). Il decreto al comma 3 dell’art. 6 stabilisce anche che “Nel rapporto di lavoro a tempo parziale è consentito lo svolgimento di prestazioni di lavoro straordinario, così come definito dall'articolo 1, comma 2, lettera c), del decreto legislativo n. 66 del 2003” (il lavoro straordinario è il lavoro prestato oltre l'orario normale di lavoro cosi' come definito all'articolo 3, che a sua volta stabilisce che l’orario normale di lavoro è fissato in 40 ore settimanali). Quindi è stata concessa la possibilità di utilizzare il lavoro straordinario in tutte le tipologie di lavoro part-time.

Consenso e rifiuto del lavoratore, nessun licenziamento. L'effettuazione di prestazioni di lavoro supplementare o straordinario richiede il consenso del lavoratore interessato, ove la prestazione supplementare o straordinaria non sia prevista e regolamentata dal contratto collettivo o non sia disciplinata nella clausola elastica nel contratto individuale di lavoro. Se ciò non è previsto, il rifiuto da parte del lavoratore non può integrare in nessun caso gli estremi del giustificato motivo di licenziamento. Nel caso in cui il contratto collettivo CCNL invece preveda espressamente il ricorso al lavoro straordinario, l’eventuale rifiuto del lavoratore senza giustificato motivo, può essere addebitato come inadempimento contrattuale sanzionabile in via disciplinare.

Clausole elastiche nel part-time

Nel decreto ci sono due commi che trattano le clausole flessibili ed elastiche, che con l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 81/2015 vengono accorpate. Infatti dal 24 giugno 2015 in poi si parla di sole clausole elastiche nel part-time.

Ma quale è la differenza tra clausole flessibili ed elastiche?

Nel contratto a tempo parziale, già con la previgente normativa, è consentito alle parti di concordare per iscritto delle clausole flessibili relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa. La flessibilità sta nella possibilità di cambiare l’orario di lavoro (si pensi ad un lavoratore part-time al 50% che lavora per 4 ore di mattina o di pomeriggio. La flessibilità sta nel poter cambiare turno da mattina a pomeriggio).

Mentre nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto possono essere stabilite per iscritto anche clausole elastiche relative alla variazione in aumento della durata della prestazione lavorativa. E’ il classico esempio di aumento delle ore del part-time con svolgimento di lavoro supplementare.

Con il D. Lgs. n. 81/2015, ora la normativa in vigore è la seguente (art. 6 comma 4): “Nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi, le parti del contratto di lavoro a tempo parziale possono pattuire, per iscritto, clausole elastiche relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa ovvero relative alla variazione in aumento della sua durata”.

Le clausole devono contenere le condizioni e modalità con cui il datore di lavoro può modificare, con un preavviso di due giorni lavorativi, la collocazione temporale della prestazione e variarne in aumento la durata (sempre entro il limite del 25% di lavoro supplementare). Le modifiche dell'orario comportano il diritto del lavoratore ad una maggiorazione del 15 per cento della retribuzione oraria globale di fatto, comprensiva dell'incidenza della retribuzione sugli istituti retributivi indiretti e differiti.

Preavviso di 2 giorni. A prevedere la riduzione da 5 giorni lavorativi del preavviso con il quale il datore di lavoro comunica al lavoratore part-time la modifica dell’orario di lavoro (clausola elastic), è il comma 5 dell’art. 6 che stabilisce che “il prestatore di lavoro ha diritto a un preavviso di due giorni lavorativi, fatte salve le diverse intese tra le parti, nonché a specifiche compensazioni, nella misura ovvero nelle forme determinate dai contratti collettivi”. Le compensazioni di cui parla il decreto sono le maggiorazioni spettanti per il lavoro supplementare.

Nel caso in cui il contratto collettivo applicato al rapporto (quindi il CCNL) non disciplini le clausole elastiche queste possono essere pattuite per iscritto dalle parti avanti alle commissioni di certificazione, con facoltà del lavoratore di farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.

Quando il lavoratore può revocare il consenso alla clausola elastica. La norma di legge stabilisce che ”Al lavoratore che si trova nelle condizioni di cui all'articolo 8, commi da 3 a 5, ovvero in quelle di cui all'articolo 10, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, è riconosciuta la facoltà di revocare il consenso prestato alla clausola elastica”. La revoca della clausola elastica può essere esercitata nei seguenti casi:

  • Quando lavoratori del settore pubblico e del settore privato affetti da patologie oncologiche nonché da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, eventualmente anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l'azienda unità sanitaria locale territorialmente competente, richiedano una trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale;
  • Quando un lavoratore richiede la trasformazione da full-time a part-time, perché ha un figlio convivente di età non superiore a tredici anni o con figlio convivente portatore di handicap ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 104 del 1992;Quando trattasi di lavoratori che rchiedano i permessi giornalieri retribuiti per diritto allo studio.

Il potere di eliminazione e revoca era già stato attribuito al lavoratore già con la Legge n. 92 del 2012, la cosiddetta Riforma Fornero. Infatti già con il comma 20 dell’art. 1 della legge n. 92 del 2012 erano state rafforzate le tutele del lavoratore che in un contratto di lavoro a tempo parziale abbia concordato con il datore di lavoro clausole flessibili o elastiche. Ai sensi dell’art. 1 comma 20, le possibilità erano due:

  • i contratti collettivi stabiliscono le “condizioni e modalità che consentono al lavoratore di richiedere l’eliminazione ovvero la modifica delle clausole flessibili e delle clausole elastiche”;
  • al lavoratore è riconosciuta la facoltà in determinati casi di revocare il consenso prestato all’inserimento delle clausole flessibili o elastiche.

Possono esercitare questo nuovo diritto di revoca i seguenti soggetti, già dal 2012:

  • lavoratori studenti;
  • genitori conviventi di figli di età non superiore a 13 anni;
  • le persone con patologie oncologiche per i quali sussiste una ridotta capacità lavorativa;
  • i lavoratori che hanno il coniuge, i figli oppure i genitori interessati da patologie oncologiche;
  • i conviventi con familiari portatori di handicap.

Questo intervento legislativo già voluto dalla riforma Fornero, per parole della stessa relazione di accompagnamento, ha la finalità di incentivare l’utilizzo virtuoso del part-time, ostacolando un’applicazione che in realtà è coperta di abusi, come ad esempio le comunicazioni dell’orario di lavoro al dipendente effettuate in ritardo che non consentono al lavoratore di gestire al meglio il proprio tempo libero o le ore a disposizione extra orario di lavoro part-time che potrebbero essere destinate ad un secondo part-time ad esempio.

Il lavoratore può rifiutare la clausola elastica. Il comma 8 dell’art. 6 del D. Lgs. n. 81/2015 stabilisce che “Il rifiuto del lavoratore di concordare variazioni dell'orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento”.

Forma scritta della clausola elastica. La nuova normativa, pur continuando ad esigere la forma scritta delle clausole, non richiede più che essere siano oggetto di uno specifico patto scritto, anche contestuale al contratto di lavoro.

Trasformazione del rapporto da full-time a part-time

Nell’art. 8 del D. Lgs. n. 81/2015 viene disciplinata anche la trasformazione del rapporto di lavoro di lavoro: da part-time a full-time o da full-time a part-time.

Va subito detto che secondo la legge e la giurisprudenza non è consentita la riduzione dell’orario di lavoro effettuata unilateralmente dal datore di lavoro in quanto viene considerata illegittima. E’ illegittima anche la presenza di una clausola contrattuale che fissi un tetto-ore minimo settimanale, non essendo consentita una variabilità assoluta e arbitraria dell’orario di lavoro. In sostanza il datore di lavoro deve stipulare con il lavoratore un contratto di lavoro dove viene indicato in maniera precisa l’orario di lavoro e le ore di lavoro tra le parti. La clausola apposta secondo gli esempi appena detti viene considerata nulla e quindi la prestazione dell’attività lavorativa si considera come se fosse stata effettuata a tempo pieno, con tutte le relative conseguenze retributive.

Vediamo ora cosa prevede il Decreto Legislativo n. 81/2015 nell’art. 8:

Il primo principio è che “Il lavoratore può rifiutarsi di trasformare il rapporto di lavoro a tempo pieno in part-time senza che costituisca giustificato motivo di licenziamento”. Quindi se un lavoratore rifiuta la trasformazione da full-time a part-time, il datore di lavoro non può licenziarlo.

Il comma 2 dell’art. 8 stabilisce invece che “Su accordo delle parti risultante da atto scritto è ammessa la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale”.

Niente convalida alla DPL della trasformazione. Fino al 1 gennaio 2012 oltre all’accordo tra le parti per la trasformazione da full-time a part-time, era necessaria anche la convalida della DPL (Direzione Provinciale del Lavoro) competente per territorio, ma a partire da tale data tale adempimento non è più necessario.

La trasformazione va comunicata con UNILAV. Sempre in materia di adempimenti del datore di lavoro, la trasformazione di un rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale va comunicata al Centro per l’Impiego competente con una comunicazione online, tramite il modello UNILAV, da effettuarsi entro 5 giorni dalla stipula dell’atto scritto di trasformazione del rapporto.

Nel caso di una avvenuta trasformazione da full-time a part-time, ossia “Se invece il lavoratore accetta la trasformazione in part-time, il lavoratore comunque conserva il diritto di precedenza nelle assunzioni con contratto a tempo pieno per l’espletamento delle stesse mansioni o di quelle equivalenti”.

Quindi la trasformazione in ogni caso è consentita su accordo delle parti risultante da atto scritto. In ogni caso, il rifiuto del lavoratore di concordare variazioni dell’orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento.

Se il datore di lavoro dal suo lato non può decidere unilateralmente la trasformazione a tempo parziale di un contratto a tempo pieno, dall’altro lato anche il lavoratore non può pretendere la trasformazione da full-time a part-time. La conversione del contratto in part-time è a discrezione del datore di lavoro, compatibilmente con le proprie obiettive esigenze tecniche, organizzative e produttive. Non solo, il lavoratore non può sindacare sulla decisione del datore di lavoro.

Ma vediamo ora in quali casi la legge dà il potere al lavoratore di richiedere la trasformazione da full-time a part-time.

Lavoratori aventi diritto alla trasformazione a tempo parziale. Si tratta dei lavoratori affetti da patologie oncologiche, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica dell’ASL, territorialmente competente. In questo caso è espressamente previsto il diritto del lavoratore ad una trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in un rapporto part-time (verticale od orizzontale). Il rapporto deve essere trasformato a tempo pieno su richiesta del lavoratore.

Il Decreto Legislativo n. 81/2015 introduce una priorità per il lavoratore o la lavoratrice riguardo la richiesta di trasformazione in part-time del contratto di lavoro a tempo pieno per esigenze legate alla presenza in famiglia di un figlio convivente di età non superiore a tredici anni o di un figlio convivente portatore di handicap.

Un ulteriore alternativa per i genitori è quella di poter chiedere, per una sola volta, il luogo del congedo parentale, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale per un periodo corrispondente, con una riduzione d’orario non superiore al 50 per cento.

Viene introdotta infine una importante tutela rivolta ai lavoratori del settore pubblico e del settore privato affetti non solo da patologie oncologiche ma anche da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, eventualmente anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l'azienda unità sanitaria locale territorialmente competente. Tali soggetti, non solo pertanto quelli affetti da patologie oncologiche come già previsto dalla precedente normativa, hanno diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale.A richiesta del lavoratore il rapporto di lavoro a tempo parziale è trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno.

In caso di patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti riguardanti il coniuge, i figli o i genitori del lavoratore o della lavoratrice, nonché nel caso in cui il lavoratore o la lavoratrice assista una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa con connotazione di gravità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, che abbia necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, è riconosciuta la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.

In caso di richiesta del lavoratore o della lavoratrice, con figlio convivente di età non superiore a tredici anni o con figlio convivente portatore di handicap ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 104 del 1992, è riconosciuta la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.

Il lavoratore può chiedere, per una sola volta, in luogo del congedo parentale od entro i limiti del congedo ancora spettante ai sensi del Capo V del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, purché con una riduzione d'orario non superiore al 50 per cento. Il datore di lavoro è tenuto a dar corso alla trasformazione entro quindici giorni dalla richiesta.

Diritto di precedenza nel part-time. Lo ribadiamo, il lavoratore il cui rapporto sia trasformato da tempo pieno in tempo parziale ha diritto di precedenza nelle assunzioni con contratto a tempo pieno per l'espletamento delle stesse mansioni o di mansioni di pari livello e categoria legale rispetto a quelle oggetto del rapporto di lavoro a tempo parziale.

In caso di assunzione di personale a tempo parziale il datore di lavoro è tenuto a darne tempestiva informazione al personale già dipendente con rapporto a tempo pieno occupato in unità produttive site nello stesso ambito comunale, anche mediante comunicazione scritta in luogo accessibile a tutti nei locali dell'impresa, ed a prendere in considerazione le domande di trasformazione a tempo parziale dei rapporti dei dipendenti a tempo pieno.

Trasformazione contratto di lavoro: come si calcola la pensione. Il comma 4 dell’art. 11 del D. Lgs. n. 81/2015 stabilisce che “Nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale e viceversa, ai fini della determinazione dell'ammontare del trattamento di pensione si computa per intero l'anzianità relativa ai periodi di lavoro a tempo pieno e, in proporzione all'orario effettivamente svolto, l'anzianità inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale.

Trasformazione da part-time a full-time

Il Decreto Legislativo n. 81/2015 disciplina tutti i casi in cui si effettua una trasformazione dell’orario di lavoro con riduzione oraria, quindi da full-time a part-time. Ovviamente esistono anche i casi in cui datore di lavoro e lavoratore decidono di proseguire il loro rapporto trasformando il contratto part-time in un contratto full-time o a tempo pieno.

Nell’ipotesi di una trasformazione a tempo pieno di un rapporto a tempo parziale, così come nelle ipotesi in cui ci sa un aumento o una diminuzione delle ore di lavoro, della durata della prestazione dedotta nel contratto, non sono previsti obblighi di forma né di convalida in sede amministrativa (L’unico obbligo previsto è quello della comunicazione della trasformazione da part-time a full-time da effettuarsi online, entro 5 giorni, al servizio competente nel cui ambito territoriale è ubicata la sede di lavoro utilizzando il modello UNILAV).

Anzi, un rapporto part-time può trasformarsi in tempo pieno anche per fatti concludenti, cioè quando ad esempio ci sia una costante effettuazione di un orario di lavoro a tempo pieno (con l’utilizzo di lavoro supplementare). Questo soprattutto se il lavoro supplementare non è giustificato da ragioni tecniche, organizzative e produttive.

Il diritto di precedenza e il risarcimento del danno. La normativa vigente e diversi CCNL nazionali prevedono un diritto di precedenza a favore del lavoratore part-time. Diritto da rispettare da parte del datore di lavoro nel caso di nuove assunzioni di personale a tempo pieno con la stessa qualificata del lavoratore o dei lavoratori in regime di part-time, oppure nel caso di mansioni identiche, in una unità produttiva sita nello stesso ambito comunale. Ma nel caso della trasformazione a tempo pieno di un rapporto ex a tempo parziale, in caso di nuove assunzioni a tempo pieno non c’è diritto di precedenza, a meno che non sia contenuto in un apposita clausola del contratto individuale o che si tratti di un rapporto che è stato trasformato da full-time a part-time.

In questo caso quindi il lavoratore ha la precedenza ed in caso di violazione di questo suo diritto, il datore di lavoro può essere condannato al risarcimento del danno in misura pari alla differenza tra l’importo della retribuzione percepita e quella che sarebbe stata corrisposta al lavoratore a seguito del passaggio al tempo pieno nei sei mesi successivi al passaggio (la data di violazione).

E’ legittimo il passaggio da un contratto a tempo parziale ad uno a tempo pieno avente durata limitata nel tempo per poi tornare al rapporto di lavoro part-time alla scadenza. E’ il caso in cui il datore di lavoro ha un incremento di produttività e chiede, e ottiene, al lavoratore di passare per alcuni mesi il contratto a tempo pieno.

Criteri di computo dei lavoratori a tempo parziale

L’art. 9 del D. Lgs. n. 81/2015 stabilisce i criteri di computo dei lavoratori a tempo parziale: “Ai fini della applicazione di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattuale per la quale sia rilevante il computo dei dipendenti del datore di lavoro, i lavoratori a tempo parziale sono computati in proporzione all'orario svolto, rapportato al tempo pieno. A tal fine, l'arrotondamento opera per le frazioni di orario che eccedono la somma degli orari a tempo parziale corrispondente a unità intere di orario a tempo pieno”.

Questa normativa è importante ad esempio per il computo dei lavoratori ai fini della normativa sull’obbligo di assunzione dei lavoratori disabili.

Sanzioni nel part-time

L’art. 10 del Decreto Legislativo n. 81/2015 elenca le sanzioni nel part-time.

Mancanza della forma scritta. Ne abbiamo già parlato. Il comma 1 stabilisce che “In difetto di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale del contratto di lavoro, su domanda del lavoratore è dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno, fermo restando, per il periodo antecedente alla data della pronuncia giudiziale, il diritto alla retribuzione ed al versamento dei contributi previdenziali dovuti per le prestazioni effettivamente rese”.

Omessa indicazione della durata della prestazione. Il comma 2: “Qualora nel contratto scritto non sia determinata la durata della prestazione lavorativa, su domanda del lavoratore è dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla pronuncia.

Mancata collocazione temporale dell’orario di lavoro. Sempre il comma 2: “Qualora l'omissione riguardi la sola collocazione temporale dell'orario, il giudice determina le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale, tenendo conto delle responsabilità familiari del lavoratore interessato e della sua necessità di integrazione del reddito mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro. Per il periodo antecedente alla pronuncia, il lavoratore ha in entrambi i casi diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta per le prestazioni effettivamente rese, a un'ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno”.

Quindi riguardo all'ipotesi di determinazione da parte del giudice delle modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale, il decreto fa riferimento al criterio della valutazione equitativa. Mentre con riferimento sia all'ipotesi suddetta di determinazione giudiziale delle modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale sia all'ipotesi di determinazione giudiziale della durata della prestazione lavorativa (sempre a tempo parziale), lo schema conferma il diritto del lavoratore, per il periodo precedente la data della pronuncia, ad un ulteriore emolumento – in aggiunta alla retribuzione dovuta per le prestazioni effettivamente rese (ed ai relativi contributi previdenziali) – a titolo di risarcimento del danno, senza far riferimento (come invece fa la corrispondente norma vigente) al criterio della valutazione equitativa.

Violazioni sulle clausole elastiche. Il comma 3 prevede che “Lo svolgimento di prestazioni in esecuzione di clausole elastiche senza il rispetto delle condizioni, delle modalità e dei limiti previsti dalla legge o dai contratti collettivi comporta il diritto del lavoratore, in aggiunta alla retribuzione dovuta, a un'ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno”.

Part-time e assicurazione Inail e contro le malattie professionali

L’art. 11 comma 3 del D. Lgs. n. 81/2015 stabilisce che “La retribuzione dei lavoratori a tempo parziale, a valere ai fini dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è uguale alla retribuzione tabellare prevista dalla contrattazione collettiva per il corrispondente rapporto di lavoro a tempo pieno. La retribuzione tabellare è determinata su base oraria in relazione alla durata normale annua della prestazione di lavoro espressa in ore.

La retribuzione minima oraria da assumere quale base di calcolo dei premi per l'assicurazione di cui al presente comma è stabilita con le modalità di cui al comma 1 dell’art. 13, che appunto stabilisce, come abbiamo visto, che la retribuzione minima oraria, da assumere quale base per il calcolo dei contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale, si determina rapportando alle giornate di lavoro settimanale ad orario normale il minimale giornaliero e dividendo l'importo così ottenuto per il numero delle ore di orario normale settimanale previsto dal contratto collettivo nazionale di categoria per i lavoratori a tempo pieno”.

Lavoro a tempo parziale nelle amministrazioni pubbliche

L’art. 12 del D. Lgs. n. 81/2015 stabilisce che “Ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le disposizioni della presente sezione (ossia tutta la normative sul part-time) si applicano, ove non diversamente disposto, anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, con esclusione di quelle contenute negli articoli 6, commi 2 (limiti al lavoro supplementare) e 6 (clausole elastiche pattuite innanzi alle commissioni di certificazioni), e 10 (le sanzioni sopra descritte), e, comunque, fermo restando quanto previsto da disposizioni speciali in materia”.

Limiti al part time in edilizia

Nel settore dell’edilizia, il ricorso al contratto di lavoro a tempo parziale è stato nel passato molto frequente. In un settore storicamente colpito da alte percentuali di lavoro nero, il part time è stato troppo spesso utilizzando come strumento per un parziale occultamento dei rapporti di lavoro di fatto a tempo pieno.

Per contrastare questo utilizzo improprio del contratto part time, il Contratto Collettivo Nazionale (CCNL) del settore edile (CCNL Edilizia Industria) ha introdotto nell’accordo collettivo del 18 giugno 2008 un limite all’utilizzo del part time in edilizia.

L’art. 18 del CCNL infatti recita “fermo restando quanto previsto dalla legge, nelle more dell'adozione dei criteri di congruità da parte delle Casse edili le parti stabiliscono che un'impresa edile non può assumere operai a tempo parziale per una percentuale superiore al 3% del totale dei lavoratori occupati a tempo indeterminato”. La stessa norma contrattuale dispone, inoltre, che “resta ferma la possibilità di impiegare almeno un operaio a tempo parziale, laddove non ecceda il 30% degli operai a tempo pieno dipendenti dell'impresa”.

Sono stati introdotti quindi i seguenti limiti all’utilizzo del part time:

  • Lavoratori part time non superiori al 3% del lavoratori a tempo pieno nell’impresa;
  • Lavoratori part time non superiori al 30% degli operai a tempo pieno.

Di fatto, possibile l’inquadramento di un operaio con contratto part time ogni quattro operai a tempo pieno.

Si precisa al riguardo che il predetto limite del 3% è riferibile soltanto alle assunzioni a tempo parziale effettuate dopo l’entrata in vigore del nuovo CCNL (2008), rimanendo esclusi dal calcolo I contratti part-time che a tale data risultino già stipulati.

Tali limiti introdotti dal CCNL sono “autorizzati dalla stessa normative sul rapporto di lavoro part time, il D. Lgs. N. 61/2000, che all’art. 1 comma 3 recita “I contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali di cui all'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, ovvero dalle rappresentanze sindacali unitarie possono determinare condizioni e modalità della prestazione lavorativa del rapporto di lavoro [part-time]”.

Il superamento dei limiti e le conseguenze. Il Ministero del Lavoro con l’interpello n. 8/2011 è intervenuto sia per chiarire le conseguenze in termini di rilascio del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC), il cui rilascio da parte della Cassa Edile è necessario per ottenere i pagamenti dagli enti pubblici per esempio , sia per sottolineare le conseguenze di un utilizzo improprio, ed oltre i limiti stabiliti dal CCNL, del contratto di lavoro part time in edilizia.

Contribuzione virtuale e contributi Inps a tempo pieno. L’Inps con la circolare n. 6 del 2010 ha stabilito che per il settore edile il trattamento previdenziale caratteristico è quello della contribuzione virtuale, che trova applicazione ove non si verifichi l’impiego del lavoratore per tutto l’orario contrattualmente previsto e tale minore prestazione lavorativa non sia dovuta ad eventi ben determinati, che sono indicate tassativamente nell’art. 29 del D.L. 244/1995.

L’Istituto previdenziale ha chiarito che la contribuzione virtuale debba essere applicata anche al part-time in edilizia nel caso in cui la stipula di tale tipologia di rapporto sia avvenuta in violazione del limite contrattualmente stabilito. Pertanto, per ogni rapporto stipulato in violazione di tale limite, la carenza di legittimazione contrattuale alla stipula comporta l’applicazione della contribuzione virtuale, come se il rapporto non fosse a tempo parziale.

Anche l’INAIL e la Cassa Edile fanno riferimento alla contribuzione virtuale dovuta ed al mancato rilascio del DURC in caso di utilizzo improprio del part time. L’omissione contributiva che si verifichi in conseguenza del mancato versamento contributivo, sia pur della c.d. contribuzione virtuale, determinerà appunto il mancato rilascio del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC).

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