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Contributi sanitari deducibili dal reddito: limiti e convenienza

Aziende e lavoratori possono optare per il versamento di contributi sanitari integrativi, con reciproca convenienza. I versamenti ai fondi sono infatti esenti da qualsiasi tipo di tassazione, rientrano tra gli oneri deducibili dal reddito complessivo del contribuente fino al limite di 3.615,20 euro. Oltre è possibile fruire della detrazione fiscale al 19% per spese sanitarie. Vediamo tutti gli aspetti relativi alla deducibilità.
A cura di Antonio Barbato
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contributi a fondi sanitari

I contributi versati dalle aziende o dagli enti pensionistici ai fondi sanitari integrativi del Servizio sanitario nazionale, e a favore dei propri dipendenti o dei propri pensionati, rientrano per quest’ultimi tra gli oneri deducibili dal reddito complessivo per un importo non superiore a 3.615,20 euro. Ossia il lavoratore, o il pensionato, può sottrarre i contributi sanitari versati dal proprio reddito imponibile ai fini del calcolo dell’imposta sul reddito (Irpef). Tale agevolazione fiscale, unitamente alla convenienza sanitaria del versamento, consentono ad azienda e lavoratore di avere convenienza ad optare per un versamento di contributi sanitari integrativi.

La convenienza di contributi sanitari integrativi. Sia per il lavoratore che per l’azienda può convenire destinare parte del costo del lavoro, per l’azienda, e parte della retribuzione ad una cassa sanitaria, la quale garantisce al dipendente il rimborso delle spese mediche e sanitarie sostenute nell’anno.

Le somme di denaro destinate al versamento di contributi sanitari integrativi sono esenti da qualsiasi tipo di tassazione. Ne consegue che se l’azienda decide di destinare una cifra al dipendente, ad esempio di 300 euro netti, potrebbe aver convenienza all’opzione per il versamento di un contributo integrativo piuttosto che erogare al dipendente 300 euro nette di quota di retribuzione. E con essa il lavoratore. In quest’ultimo caso, sui 300 euro l’azienda dovrà pagare tra contribuzione previdenziale e imposte circa 100 euro, portando il costo aziendale a 400 euro circa, mentre al dipendente per effetto dell’imposizione fiscale arriva poco meno di 200 euro. In sostanza tra previdenza e fisco, vanno via 200 euro.

Nel caso in cui i 300 euro siano invece destinati dalle parti ad un fondo integrativo di copertura sanitaria, il dipendente riceverà una copertura di 300 euro e l’azienda dal suo lato avrà un costo maggiorato solo del contributo di solidarietà all’Inps del 10%, quindi 330 euro. I contributi sanitari sono esenti da imposizione, quindi niente rincari dal Fisco. Rientrano tra gli oneri deducibili dal reddito, come già detto.

Oltre a questo vantaggio fiscale, il dipendente avrà poi rimborsate nel corso dell’anno le proprie spese sanitarie, avendo un indubbio vantaggio economico ulteriore. Inoltre avrà la possibilità di dedurre dal reddito imponibile il contributo versato alla cassa sia per sé che per i propri familiari. E sulla quota eccedente il limite di legge, avrà la possibilità di recupero tramite le detrazioni fiscali. Vediamo come.

Contributi sanitari integrativi e la detrazione del 19% per spese sanitarie

Contributi sanitari deducibili. L’art. 51 comma 2 del TUIR infatti dice che “non concorrono a formare il reddito, i contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza a disposizioni di legge; i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore ad enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, che operino negli ambiti di intervento stabiliti con il decreto del Ministro della salute di cui all'articolo 10, comma 1, lettera e-ter), per un importo non superiore complessivamente ad euro 3.615,20. Ai fini del calcolo del predetto limite si tiene conto anche dei contributi di assistenza sanitaria versati ai sensi dell'articolo 10, comma 1, lettera e-ter)”.

Vanno ribaditi i requisiti, cioè per essere destinatari dell’agevolazione fiscale, i contributi devono essere versati ad una cassa avente esclusivamente finalità assistenziale. Il versamento dei contributi alla cassa di assistenza deve essere previsto da uno specifico contratto o accordo collettivo o da un regolamento aziendale.

Il contributo, che risulterà versato dal lavoratore, è trattenuto dal datore di lavoro direttamente dalla retribuzione lorda del dipendente, a monte dell’imposizione fiscale, quindi come ulteriore contributo previdenziale in busta paga. Il datore di lavoro, nella sua qualità di sostituto d’imposta, poi consegnerà al lavoratore il modello Cud nel quale dovrà indicare in apposita casella l’ammontare dei contributi sanitari versati alla cassa di assistenza che non hanno concorso a formare il reddito di lavoro dipendente.

Nel calcolo del limite di 3.615,20 euro rientra l’importo indicato nel punto 129 del CUD 2012 o nel punto 61 del CUD 2011. La deduzione spetta anche se la spesa è stata sostenuta per le persone fiscalmente a carico per la sola parte non dedotta da queste ultime. Per ottenere la deduzione fiscale è necessario compilare il rigo E26 del modello 730/2012. Il limite dei 3.615,20 euro è riferito cumulativamente anche per i contributi i contributi di assistenza sanitaria  versati direttamente dal contribuente.

Detrazione fiscale del 19% dei contributi sanitari.  Il lavoratore dipendente nel momento in cui  ottiene dalla cassa di assistenza il rimborso delle spese sanitarie sostenute, potrà avvalersi, in sede di dichiarazione personale dei redditi, della detrazione d’imposta nella misura del 19% che spetta sull’importo che eccede 129,11 euro, limitatamente alla parte di spesa rimasta effettivamente a suo carico e non rimborsata dalla cassa di assistenza integrativa.

I contributi sanitari versati dal datore di lavoro all’ente e che non sono stati tassati come fringe benefit sono indicati nel punto 129 del Cud 2012 o al punto 61 del Cud 2011. Se l’azienda ha versato all’ente un importo di contributi sanitari superiore al limite previsto dal TUIR di 3.615,20 euro, la parte eccedente viene tassata in capo al dipendente e nel modello Cud sarà indicato nelle annotazioni. In questo caso il lavoratore potrà avere accesso alla detrazione fiscale del 19% per spese mediche, vediamo come.

Se ad esempio il datore di lavoro, o l’ente pensionistico in caso di pensionati, ha versato 5.000 euro di contributi per l’assistenza sanitaria ad enti o a case, con fini esclusivamente assistenziali e in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, come descrive il TUIR, lo stesso datore di lavoro ha tassato come fringe benefit un importo di 1.384,80 euro (5.000 euro – 3615,20 euro).

Se nel corso dell’anno il dipendente o il pensionato ha pagato 1.000 euro di spese mediche e gli sono state rimborsate dall’ente o dalla cassa di assistenza sanitaria, il contribuente può detrarre dall’Irpef il 19% di 147,89 euro. Cioè va fatta una proporzione tra quanto tassato nei cedolini paga, ossia 1.384,80 euro e quanto pagato complessivamente dal datore di lavoro attraverso i versamenti, ossia 5.000 euro. La percentuale è del 27,70% (1.384,80/5.000) e va moltiplicata per le spese mediche sostenute (1.000). Ai 277 euro va tolta la franchigia prevista per le spese sanitarie, cioè 129,11 euro.

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