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Il contratto a termine dal 2013 costerà di più: +1,4% di contributo addizionale Aspi all’Inps

Per i contratti non a tempo indeterminato, a partire dal 2013, i datori di lavoro devono versare all’Inps col modello F24 un contributo addizionale dell’1,40% per finanziare l’Aspi, Assicurazione sociale per l’impiego. Si tratta di un costo aggiuntivo, che è possibile evitare solo attraverso la trasformazione del rapporto di lavoro. In questo caso prevista una restituzione. Vediamo tutti gli aspetti.
A cura di Antonio Barbato
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contributo aspi 1,4 per cento

Le imprese che hanno contratti di lavoro non a tempo indeterminato, i contratti a termine stipulati con i propri lavoratori dipendenti, devono far fronte a partire dal 2013 ad un nuovo aumento del costo del lavoro. La Riforma del lavoro, la legge n. 92 del 2012, ha previsto che a partire dal 2013, sarà dovuto un contributo addizionale all’Inps dell’1,40%, versato a titolo di finanziamento dell’Aspi, la nuova indennità di disoccupazione.

Questo contributo di 1,40% va ad aggiungersi all’1,61% già parte dell’aliquota contributiva da versare sullo stipendio loro del dipendente. In sostanza, per i contratti a tempo indeterminato il contributo Aspi è pari all’1,61%, per i contratti a termine e tutti gli altri contratto non a tempo indeterminato, il contributo sale al 3,01%. Per ogni 1.000 di imponibile Inps, stipendio lordo del dipendente, l’azienda versa circa 30 euro, con un aumento di 14 euro rispetto al passato. Considerando un’azienda con 15 dipendenti e 30.000 euro lordi di stipendio, abbiamo un aumento di costi di 420 euro mensili da versare all’Inps nel modello F24. Non poco. Ma ci sono casi di esclusione dal versamento, vediamo tutti gli aspetti.

La circolare dell’Inps n. 140 del 14 dicembre 2012, che tratta gli aspetti contributivi dell’Assicurazione sociale per l’Impiego (ASPI), ossia la nuova indennità di disoccupazione, spiega anche le novità normative introdotte dalla Riforma Fornero in materia di finanziamento dell’Aspi, ossia dei contributi versati dalle imprese per finanziare questo nuovo ammortizzatore sociale. Sono previsti due contributi:

  • il contributo di licenziamento, ossia quello per il licenziamento dei lavoratori a tempo indeterminato;
  • ed il contributo addizionale, che ora approfondiamo.

Contributo addizionale all’Inps dell’1,40%. La circolare Inps n. 140 del 2012, riprendendo l’articolo di legge della Riforma Fornero, comunica all’imprese che “con effetto sui periodi contributivi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2013, l’art. 2, co. 28, della legge n. 92 del 2012 introduce un contributo addizionale, pari all’1,40% della retribuzione imponibile, dovuto dai datori di lavoro con riferimento ai rapporti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato”.

Da versare per tutti i rapporti di lavoro non a tempo indeterminato in corso dal 2013. Per effetto di tale disposizione, la contribuzione complessivamente dovuta per l’Aspi si attesterà in misura pari al 3,01% (1,61% + 1,40%) della retribuzione imponibile, fatte salve le eventuali riduzioni del contributo (1,31%).  Stante la formulazione della norma, il contributo addizionale riguarderà tutti i rapporti di lavoro non a tempo indeterminato (con le eccezioni di cui vedremo) in essere al 1 gennaio 2013 e non solamente quelli instaurati a far tempo dalla medesima data. Quindi non solo sui contratti stipulati nel 2013, ma anche su quelli in corso. Insomma tutti i contratti non a tempo indeterminato, contratti a termine su tutti.

Esclusioni dal versamento del contributo addizionale. Il contributo aggiuntivo all’Inps non è dovuto in alcuni casi, previsti dal comma 29 dell’art. 2 della Legge n. 92 del 2012.  Tale contributo non è dovuto con riferimento alle seguenti categorie di lavoratori:

  • lavoratori assunti con contratto a termine in sostituzione di lavoratori assenti;
  • lavoratori assunti a termine per lo svolgimento delle attività stagionali di cui al D.P.R. n. 1525/1963, nonché – per i periodi contributivi maturati dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2015 – per lo svolgimento delle attività stagionali definite tali dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati entro il 31 dicembre 2011, dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative;
  • apprendisti;
  • lavoratori dipendenti (a tempo determinato) delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, co. 2, D.Lgs. n. 165/2001 e successive modificazioni.

E’ evidente che la norma prevista dalla riforma del lavoro mira a rendere meno conveniente alle imprese usare lo strumento del contratto a termine per la copertura delle mansioni necessarie alla politica organizzativa e produttiva aziendale. La Riforma Fornero combatte in maniera decisa la reiterata stipula di contratti a termine con lo stesso lavoratore e per mansioni equivalenti, infatti è stato previsto un consistente ampliamento degli intervalli per il rinnovo del contratto a termine. Dal 18 luglio 2012 sono necessari da 60 a 90 giorni tra un contratto all’altro.

Più precisamente, 60 giorni di attesa per il rinnovo di contratti a termine scaduti di durata di 6 mesi, e 90 giorni di attesa per il rinnovo di contratti a termine di durata superiore a 6 mesi. Anche se su questa linea, date le difficoltà che hanno incontrato più i lavoratori che le imprese, il Governo ha fatto marcia indietro delegando alla contrattazione collettiva la possibilità di ridurre gli intervalli a 20 e 30 giorni.

In questa ottica, seguendo questa politica, forse in maniera più incisiva dal punto di vista economico, è stato previsto il contributo addizionale che aumenta dell’1,4% il costo del lavoro dell’azienda. Proprio per favorire la stabilizzazione dei rapporti di lavoro a termine, la legge Fornero prevede un incentivo per le trasformazioni a tempo indeterminato, legato appunto al contributo addizionale. Vediamo quale incentivo è.

Restituzione del contributo addizionale in caso di trasformazione a tempo indeterminato. L’art. 2, comma 30, della legge di riforma disciplina i casi di restituzione, nel limite massimo di sei mensilità, del contributo addizionale. Al fine, infatti, di incentivare le stabilizzazioni dei rapporti di lavoro, la norma prevede che il contributo dell’1,40% potrà essere recuperato (superato il periodo di prova) dai datori di lavoro che, alla scadenza, trasformano il rapporto in un contratto a tempo indeterminato.

6 mesi di tempo dalla scadenza del contratto a termine. La restituzione può avvenire anche se il datore di lavoro, entro 6 mesi dalla scadenza del contratto a termine, riassume il medesimo lavoratore a tempo indeterminato. In tal caso, tuttavia, opererà una riduzione corrispondente ai mesi che intercorrono tra la scadenza e la stabilizzazione.

In sintesi, quindi, la restituzione piena (sei mensilità) ricorrerà solamente nei casi di trasformazione (entro la scadenza) del contratto da tempo determinato a indeterminato nonché nell’ipotesi di stabilizzazione intervenuta il mese successivo a quello di scadenza del contratto a termine. Nei casi di stabilizzazione successiva, opererà la contrazione prevista dalla norma.

Esempio di calcolo della restituzione. La circolare Inps n. 140 del 2012 fornisce un esempio: Lavoratore a tempo determinato (1/1-31/12/2013) al quale, negli ultimi 6 mesi di contratto, sono state corrisposte le somme indicate e per il quale è stato versato il contributo dell'1,40%. Poniamo che il lavoratore ha avuto le seguenti retribuzioni e versato i relativi contributi dell’140%:

  • luglio, imponibile previdenziale di 2.500 euro, il contributo addizionale ammonta a 35 euro;
  • agosto, imponibile previdenziale di 2.100 euro, contributo addizionale ammonta 29 euro;
  • settembre, imponibile previdenziale di 2.000 euro, contributo addizionale ammonta 28 euro;
  • ottobre, imponibile previdenziale di 2.000 euro, contributo addizionale ammonta 28 euro;
  • novembre, imponibile previdenziale di 2.100 euro, contributo addizionale ammonta 29 euro;
  • dicembre, ultima busta paga comprensiva di ratei di tredicesima, permessi, ecc., imponibile previdenziale di 3.900 euro, contributo addizionale ammonta a 55 euro.

La contribuzione addizionale è pari ad un totale di 204 euro versati dal datore di lavoro per un imponibile Inps al lavoratore di 14.600 euro. A questo punto, il datore ha l’opportunità di recuperare parte di questi 204 euro versati in più, attraverso la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto. Poniamo che il lavoratore in esempio viene stabilizzato ad aprile dell’anno successivo, quindi entro i 6 mesi di tempo. A quel punto l’importo spettante è di 3 mensilità (aprile-giugno) su sei possibili ed il calcolo è 204 euro / 6 mesi e moltiplicato per tre mesi. L’ammontare della restituzione del contributo addizionale è di 102 euro.

Il contributo di licenziamento

Il licenziamento costa ancor di più: 50% dell’Aspi, fino a 1.500 euro a carico del datore di lavoro. Le novità introdotte dalla Riforma Lavoro in materia di Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi) non si esauriscono certamente nella previsione di un contributo addizionale per i contratti non a tempo indeterminato, ma riguardano anche i contratti a tempo indeterminato, che si interrompo per cause diverse dalla dimissione del lavoratore, che tra l’altro è oggetto di convalida di dimissioni.

L’art. 2 comma 31 della legge n. 92 del 2012 stabilisce che “in tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per causa diversa dalle dimissioni, intervenuti a  decorrere dal 1° gennaio 2013, è dovuta, a carico del datore di  lavoro, una somma pari al 50 per cento del trattamento mensile iniziale di ASpI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni”.

Un contributo che può arrivare e superare i 1.500 euro, considerato che l’Aspi è il 75% della retribuzione imponibile Inps del lavoratore e che il 50% va a carico del datore di lavoro per ogni anno di rapporto di lavoro con il lavoratore licenziato, fino ad un massimo di tre, ossia il 150% dell’importo del primo mese dell’Aspi. Per maggiori informazioni relative anche al calcolo vediamo il contributo di licenziamento.

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