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Il datore di lavoro non può spiare le conversazioni dei dipendenti su Skype

Con un comunicato il Garante della privacy annuncia di aver condannato un datore di lavoro per aver spiato le conversazioni di una dipendente su Skype: “Le comunicazioni di tipo elettronico o telematico scambiate dai dipendenti durante il rapporto di lavoro godono di garanzie di segretezza”. Vediamo nel dettaglio.
A cura di Antonio Barbato
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controllo a distanza dipendenti

Il datore di lavoro non può  spiare le conversazioni Skype dei dipendenti. Il principio è stato riaffermato dal Garante privacy nell'accogliere il ricorso proposto da una dipendente che lamentava l'illecita acquisizione di conversazioni, avute con alcuni clienti/fornitori, poste poi alla base del suo licenziamento.

Con un comunicato il Garante della privacy annuncia un proprio provvedimento con il quale ha condannato un datore di lavoro che aveva interferito sulle conversazioni di una dipendente.

La pronuncia del Garante arriva come risposta alle numerose polemiche di questi mesi sui controlli a distanza dei lavoratori (e sulla possibilità di controlli su telefonini e tablet dati in dotazione ai dipendenti), dopo che nel Jobs Act il Governo ha modificato in maniera sostanziale l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (legge 300 del 1970).

Tornando al caso delle conversazioni su skype e sulle intercettazioni datoriali delle stesse, secondo il Garante, il contenuto di comunicazioni di tipo elettronico o telematico scambiate dai dipendenti nell'ambito del rapporto di lavoro godono di garanzie di segretezza tutelate anche a livello costituzionale.

Quindi sia le email che tutte le conversazioni che intervengono durante il rapporto di lavoro (vedi skype ma anche altri social network) sono tutelate a livello costituzionale e deve esserci segretezza.

A seguito del provvedimento del Garante il datore di lavoro non potrà effettuare alcun trattamento dei dati personali contenuti nelle conversazioni ottenute in modo illecito, limitandosi alla conservazione di quelli finora raccolti ai fini di una eventuale acquisizione da parte dell'autorità giudiziaria.

Nel caso esaminato, rileva il Garante, il datore di lavoro è incorso in una grave interferenza nelle comunicazioni, attuata, per sua stessa ammissione, attraverso l'installazione di un software sul computer assegnato alla dipendente in grado di visualizzare sia le conversazioni effettuate dalla ricorrente dalla propria postazione di lavoro prima di uscire dall'azienda, sia quelle avvenute successivamente da un computer collocato presso la propria abitazione.

Una procedura, secondo il Garante, in evidente contrasto con le "Linee guida del Garante per posta elettronica e Internet" e con le disposizioni poste dall'ordinamento a tutela della segretezza delle comunicazioni, nonché con la stessa policy aziendale approvata anche dalla competente Direzione territoriale del lavoro.

Pur spettando, infatti, al datore di lavoro definire le modalità di utilizzo degli strumenti aziendali, occorre comunque che queste rispettino la libertà e la dignità dei lavoratori, nonché i principi di correttezza (secondo cui le caratteristiche essenziali dei trattamenti di dati devono essere rese note ai lavoratori), di pertinenza e non eccedenza stabiliti dal Codice privacy. Principi questi da tenere ben presenti, in considerazione del fatto che l'esercizio  del controllo da parte del datore di lavoro può determinare la raccolta di informazioni personali, anche non pertinenti, di natura sensibile oppure riferite a terzi.

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Giornalista dal 2016 e consulente del lavoro, sono caposervizio dell'area Job. Scrivo di lavoro, fisco e previdenza.
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