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Lavoro a domicilio: tutta la normativa sul contratto per i lavoratori da casa

Si tratta di un particolare contratto di lavoro subordinato con la prestazione lavorativa svolta dal lavoratore a domicilio, a casa. Vediamo quali sono i divieti e gli obblighi del datore, gli aspetti sulla retribuzione, i contributi e le prestazioni Inps.
A cura di Antonio Barbato
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lavoratore a domicilio

Nell’ordinamento italiano tra i tipi di contratti atipici previsti dalla legge, ci sono i contratti aventi ad oggetto il lavoro a domicilio ed il telelavoro. Entrambe le tipologie di contratto riguardano un particolare luogo di svolgimento della prestazione lavorativa: il domicilio del lavoratore o un locale a sua disposizione.

La definizione di lavoratore a domicilio. La legge n. 877 del 1973 all’art. 1 definisce il lavoratore a domicilio come “chiunque, con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in locale di cui abbia disponibilità, anche con l’aiuto accessorio di membri della famiglia conviventi e a carico, ma con esclusione di manodopera salariata e di apprendisti, lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materie prime o accessorie e attrezzature proprie o dello stesso imprenditore, anche se fornite per il tramite di terzi”.

Da questa definizione emergono un elenco di precisazioni e caratteri distintivi del lavoro a domicilio, che sono i seguenti:

Il lavoro svolto presso il domicilio del lavoratore. Il luogo della prestazione lavorativa deve essere il domicilio del lavoratore. Non può considerarsi lavoro a domicilio la prestazione lavorativa effettuata in luoghi di pertinenza dell’imprenditore stesso, anche se per l’uso del locale o dei messi di lavoro in esso esistenti, il lavoratore corrisponde all’imprenditore un compenso. In questi casi il lavoratore viene considerato un dipendente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Aiuto dei familiari del lavoratore a domicilio. Tra le altre caratteristiche del lavoro a domicilio indicate nella definizione, c’è che i committenti devono essere imprenditori e che i lavoratori possono farsi aiutare dai familiari conviventi e a carico. Il lavoro prestato dai familiari deve essere di tipo accessorio, cioè il lavoratore a domicilio non deve essere né assumere la qualità di datore di lavoro a sua volta, né deve esserci un alleggerimento del suo lavoro attraverso l’assegnazione di parte del lavoro a terzi in qualità di  intermediario tra l’imprenditore committente ed il terzo esecutore, purché familiare. In entrambi i casi, sia che il lavoratore a domicilio diventi datore di lavoro che intermediario verso terzi, viene escluso dalla legge il rapporto di lavoro a domicilio, come vedremo.

SOMMARIO:

La subordinazione come distinzione tra lavoro autonomo e a domicilio
Divieti e obblighi nel lavoro a domicilio
La retribuzione spettante al lavoratore a domicilio
Contributi e prestazioni Inps per i lavoratori a domicilio
Adempimenti amministrativi e  libro unico del lavoro
Il licenziamento nel lavoro a domicilio
Il telelavoro
Le sanzioni per illegittimo uso del lavoro a domicilio

La subordinazione come distinzione tra lavoro  autonomo e a domicilio

Il vincolo di subordinazione nel lavoro a domicilio. Si tratta dell’elemento distintivo principale del lavoro a domicilio. È necessaria l’esistenza di un vincolo di subordinazione, quanto meno tecnica, nei riguardi dell’imprenditore. Essa, in deroga a quanto stabilito dall’art. 2094 del codice civile, ricorre quando il lavoratore a domicilio è tenuto ad osservare le direttive dell’imprenditore. La Cassazione ha precisato che le direttive possono essere impartite anche all’inizio del rapporto di lavoro, una volta per tutte.

Sulla base di queste caratteristiche, la prestazione lavorativa del lavoratore a domicilio si inserisce nel ciclo produttivo aziendale dell’imprenditore committente e diviene parte integrale dell’attività imprenditoriale stessa.

Le direttive devono riguardare le modalità di esecuzione, le caratteristiche e i requisiti del lavoro da svolgere nell’esecuzione parziale, nel completamento o dell’intera opera di prodotti oggetto dell’attività dell’imprenditore committente. Oltre alle direttive, il datore di lavoro ha anche il potere di controllo sul lavoratore. Tale potere può essere esplicato anche al momento della consegna del lavoro finito.

Subordinazione e rifiuto del lavoratore. Sempre la Cassazione stabilisce che la configurabilità della subordinazione, sia pure attenuata, va invece esclusa quando il lavoratore goda di piena libertà nell’accettare o rifiutare il lavoro commessogli dall’imprenditore o vanti piena discrezionalità in ordine ai tempi di consegna dello stesso.

La definizione di lavoro autonomo. La Cassazione in una sentenza del 2006 ha precisato che si configura la fattispecie del lavoro autonomo allorché sia riscontrabile, in capo al soggetto cui l’imprenditore abbia commissionato un determinato risultato, una vera e propria organizzazione imprenditoriale, distinta da quella del committente, cosicché l’attività lavorativa possa dirsi prestata con inserimento in quella e non nel ciclo produttivo dell’imprenditore.

Il lavoro autonomo si configura nei casi in cui la prestazione, pur personalmente resa, risulti caratterizzata da autonomia tale da escludere anche la subordinazione attenuata nei confronti dell’imprenditore committente. In mancanza di sufficienti indici rivelatori della sussistenza di un vincolo di subordinazione, la cui dimostrazione è carico di chi lo deduce, va esclusa l’applicabilità al lavoro a domicilio della disciplina del lavoro subordinato.

L’Inps in una circolare del 1997, la n. 79, definisce gli elementi concreti e concomitanti che ravvisano la presenza di un rapporto di lavoro autonomo e non di un rapporto di lavoro a domicilio. Sono i seguenti elementi:

  • la ditta che esegue i lavori e' una ditta iscritta all'Albo provinciale delle imprese artigiane;
  • la ditta fattura il lavoro svolto;
  • non sussistono di norma termini rigorosi per la consegna del prodotto;
  • il lavoro  viene eseguito in locali propri e con macchinari di proprietà della ditta artigiana;
  • l'oggetto della prestazione è il risultato e non la    estrinsecazione di energie lavorative;
  • esiste l'assunzione del rischio in proprio, intendendo per rischio quello di impresa, presente e incidente sulla  quantità di guadagno in rapporto alla rapidità, alla precisione ed organizzazione del lavoro nella quale la ditta committente non ha alcun potere di interferire, essendo interessata solo al risultato della lavorazione.

Divieti e obblighi nel lavoro a domicilio

Divieti al lavoro a domicilio. La legge n. 877 del 1973 all’art. 2 indica anche quali sono i divieti al ricorso al lavoro a domicilio. Il ricorso dell’imprenditore al lavoro a domicilio non è ammessa nei seguenti casi:

  • per le esecuzioni di attività che comportino l’impiego di sostanze o materiali nocivi o pericolosi per la salute o l’incolumità del lavoratore o dei suoi familiari;
  • quando l’azienda è interessata da programmi di ristrutturazione, riorganizzazione e conversione che abbiano comportato licenziamenti o sospensioni dal lavoro (Cassa integrazione guadagni). Tale divieto vale per un anno dall’ultimo provvedimento di licenziamento o dalla cessazione delle sospensioni.

Il divieto di mediazione. Un ulteriore divieto per gli imprenditori committenti di lavoro a domicilio è quello di avvalersi dell’opera di mediatori o intermediari. Eventuali soggetti che abbiano svolto attività di mediazione sono considerati a tutti gli effetti, unitamente alle persone alle quali hanno commesso lavoro a domicilio, alle dipendenze del datore di lavoro per conto e nell’interesse del quale hanno svolto l’attività.

Obblighi del lavoratore a domicilio. Poiché il lavoratore non svolge la sua prestazione nei locali dell’imprenditore sotto diretta sorveglianza, la legge (art. 11 della Legge n. 877 del 1973) circoscrive le sue obbligazioni alle seguenti:

  • obbligo di diligenza e rispetto delle istruzioni del datore di lavoro;
  • obbligo di custodire il segreto sui modelli di lavoro affidatogli;
  • divieto di concorrenza, limitatamente al caso in cui la quantità del lavoro affidato sia tale da assicurare al lavoratore una prestazione continuativa corrispondente al normale orario di lavoro, come definito dalla legge e dai contratti collettivi di categoria.

Contratto part-time e rapporto di lavoro a domicilio. A proposito dell’ultimo punto dell’elenco, il Ministero del lavoro in un interpello, n. 19 del 2008, ha precisato che è possibile la coesistenza in capo allo stesso lavoratore di un rapporto di lavoro a domicilio con un altro rapporto di lavoro a tempo parziale quando la quantità del lavoro affidata al lavoratore a domicilio non sia tale da impegnarlo per tutta la durata dell’orario normale.

La retribuzione spettante al lavoratore a domicilio

Premesso che al lavoro a domicilio si applicano le norme dettate in generale sul lavoro subordinato, la retribuzione dovuta al lavoratore a domicilio (o anche al telelavoratore nel caso di contratto avente oggetto l’uso di videoterminali), è corrisposta sulla base di tariffe di cottimo pieno risultanti dai contratti collettivi, non essendo possibile verificare la durata della prestazione dei lavoratori a domicilio. Lo prevede l’art. 8 della Legge n. 877 del 1973. Il pagamento della retribuzione viene normalmente effettuato alla riconsegna della commessa, essendo la retribuzione proporzionata all’entità del lavoro svolto.

Se la tariffa di cottimo pieno non viene stabilita nel contratto collettivo nazionale, territoriale o aziendale, essa dovrà essere determinata da una apposita commissione regionale o, ove questa non vi provveda, dalla Direzione regionale del lavoro, che terrà conto del tempo impiegato da un lavoratore di normali capacità per eseguire la lavorazione oggetto della commessa.

Rimborsi spese. Oltre alle tariffe di cottimo, i CCNL devono anche determinare la percentuale sull’ammontare della retribuzione dovuta al lavoratore a titolo di rimborso spese per l’uso di macchine, locali, energia ed accessori presso il proprio domicilio.

Le maggiorazioni retributive. Nonché devono essere determinate anche le maggiorazioni retributive spettanti a titolo di indennità per lavoro festivo, per le ferie retribuite, per la gratifica natalizia (la tredicesima), l’eventuale quattordicesima, ed il trattamento di fine rapporto (TFR).

Contributi e prestazioni Inps per i lavoratori a domicilio

La legge estende ai lavoratori a domicilio tutto il regime delle assicurazioni obbligatorie, con l’unica eccezione delle integrazioni salariali (cioè la Cassa integrazioni guadagni ordinaria e straordinaria), che quindi non spettano.

I contributi Inps a carico del datore di lavoro. Sono gli stessi della generalità dei lavoratori, con esclusione di quelli per la Cassa integrazione, sia CIG che CIGS. L’importo viene calcolato sull’intero compenso corrisposto al lavoratore. Tale compenso non può essere inferiore all’importo corrispondente a sei minimali giornalieri Inps per ogni sette giorni di commessa.

Il calcolo dei contributi. Per il calcolo dei contributi Inps e Inail da versare bisogna prendere a riferimento la retribuzione spettante al lavoratore a domicilio (o al telelavoratore) riferita al periodo intercorrente tra la data di consegna e la data prevista per la riconsegna al datore di lavoro.

Per quanto riguarda le prestazioni Inps spettanti ai lavoratori a domicilio, quest’ultimi hanno diritto alle prestazioni non pensionistiche corrisposte alla generalità dei lavoratori dipendenti. Vediamo le varie prestazioni.

Malattia del lavoratore a domicilio. Le regole in caso di impossibilità di eseguire la prestazione lavorativa contrattuale per uno stato morboso di malattia sono le stesse previste per la generalità dei dipendenti. Cambia solo il calcolo della retribuzione media giornaliera utile a determinare l’indennità di malattia spettante al lavoratore:

  • Si prende a riferimento la retribuzione lorda del mese precedente l’inizio della malattia, sommando le retribuzioni delle lavorazioni riconsegnate nel mese predetto;
  •  Si determinano poi il numero delle giornate di lavorazione, escluso le domeniche, comprese nel mese considerato (tra la data di consegna e di riconsegna);
  • Si divide infine la retribuzione lorda calcolata in precedenza per il numero dei giorni. Si ottiene così la retribuzione media globale giornaliera.

Maternità della lavoratrice a domicilio. L’indennità spetta per il solo periodo di astensione obbligatoria dal lavoro. Anche in questo caso viene applicata la normativa vigente ad eccezione del trattamento economico. L’indennità di maternità si calcola in base alla media contrattuale giornaliera vigente nella provincia per i lavoratori interni con la stessa qualifica. Se la riconsegna del lavoro avviene nel giorno immediatamente precedente l’inizio dell’astensione obbligatoria, il pagamento dell’indennità viene effettuato direttamente dall’Inps. La lavoratrice al momento dell’entrata in astensione obbligatoria deve riconsegnare al committente tutte le merci ed il lavoro affidato anche se non ultimato.

Congedo matrimoniale. Il lavoratore a domicilio ha diritto all’assegno per il  congedo matrimoniale per 7 giorni, con il pagamento che viene effettuato da parte dell’Inps con anticipazione a cura del datore di lavoro.

Assegno per il nucleo familiare. I lavoratori a domicilio hanno diritto all’assegno, come tutti gli altri lavoratori dipendenti. Per quanto riguarda il pagamento, esso deve avvenire in occasione della corresponsione dei compensi collegati alla specifica commessa ed il numero dei giorni per cui moltiplicare la quota giornaliera dell’assegno per il nucleo familiare è pari al rapporto 6 giorni ogni 7 di commessa, per un massimo di 26 giorni nel caso la commessa sia di durata pari ad un mese.

Adempimenti amministrativi e libro unico del lavoro

Dal 25 giugno 2008, data dell’entrata in vigore del Decreto Legge n. 112 del 2008, non c’è più per i datori di lavoro l’obbligo di iscrizione nel registro dei committenti, istituito presso la Direzione provinciale del lavoro dall’art. 3 commi 1-4 della Legge n. 877 del 1973. Lo stesso Decreto Legge, sempre a partire dalla data del 25 giugno, ha soppresso gli adempimenti connessi al registro dei lavoratori a domicilio ed al libretto di controllo.

L’indicazione della retribuzione nel libro unico. Il D. L. n. 112 del 2008 ha modificato l’art. 3 comma 5. Il datore di lavoro deve trascrivere nel libro unico del lavoro il nominativo ed il domicilio dei lavoratori esterni all’unità produttiva, nonché la misura della retribuzione loro corrisposta.

Sulla base di quanto disposto dall’art. 10 comma 1 della Legge n. 877 del 193, nel Libro Unico vanno inseriti anche l’iscrizione delle date e delle ore di consegna e riconsegna del lavoro, della descrizione del lavoro eseguito, della specificazione delle quantità e delle qualità di esso. Questo per ciascun lavoratore a domicilio. Nel caso di mancata indicazione nel libro unico, ci sono delle sanzioni amministrative.

Il licenziamento nel lavoro a domicilio

Sul tema relativo al licenziamento del lavoratore a domicilio ci sono stati parecchi dibattiti ed orientamenti dottrinali contrastanti soprattutto in materia di applicazione della disciplina di tutela contro i licenziamenti, quali la tutela reale e la tutela obbligatoria dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, la legge n. 300 del 1970.

Secondo un orientamento dottrinale, il rapporto di lavoro a domicilio si inquadra nella categoria del lavoro autonomo e quindi per esso non è applicabile la disciplina contro i licenziamenti. Secondo un diverso orientamento invece, tale disciplina è sempre applicabile, essendo speciale nel rapporto di lavoro subordinato solo il luogo di svolgimento della prestazione, che è il domicilio del lavoratore.

Poi c’è un orientamento di merito che consente il licenziamento senza motivo ed esclude il preavviso e la relativa indennità sostitutiva del preavviso nel lavoro a domicilio in quanto il lavoratore viene ritenuto un cottimista pieno, il cui compenso è correlato ai mezzi prodotti e con la tariffa onnicomprensiva.

L’esclusione della tutela sul licenziamento. La Cassazione con delle sentenze ha chiarito che la disciplina limitativa relativa al licenziamento di cui alla legge n. 604 del 1966 e le tutele dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori non sono applicabili nel rapporto di lavoro subordinato a domicilio.

La prova della continuità di prestazione. La Cassazione ha però indicato la fattispecie che legittima le tutele limitative sul licenziamento. Infatti essa non è applicabile “tranne che per accordo tra le parti e per il concreto suo svolgimento, il rapporto non abbia ad oggetto una qualificata e ragionevole continuità di prestazione lavorativa”. Questa continuità deve essere valutata specificamente in rapporto alla durata dell’ordinario orario di lavoro, previsto nel settore di attività produttiva esercitata dall’impresa committente. In sostanza, il lavoratore deve dimostrare di essere come sottoposto ad orario di lavoro come i lavoratori interni, dimostrare che il suo lavoro a domicilio era solo una variazione del luogo in cui viene svolta l’attività lavorativa aziendale.

L’accesso all’indennità di mobilità. La Cassazione civile in una sentenza del 2001 ha precisato che i lavoratori a domicilio che dovessero trovarsi in stato di disoccupazione a causa di licenziamento collettivi per riduzione di personale o per cessazione dell’attività aziendale intimato da imprese diverse da quelle edili rientranti nel campo di applicazione della disciplina sulla Cassa integrazione straordinaria, pur se non hanno diritto alla CIG o alla CIGS, hanno diritto all’indennità di mobilità quando possano far valere una dipendenza dall’impresa di almeno 12 mesi, di cui 6 di lavoro effettivo prestato, ivi compreso i periodi di sospensione per ferie, infortuni e festività. La dipendenza deve essere con un rapporto a carattere continuativo o comunque a termine.

Il telelavoro: normativa sul lavoro da casa al pc

Si tratta di una particolare tipologia di lavoro a domicilio, ma è forse la più diffusa. Il telelavoro è una forma di organizzazione e/o di svolgimento del lavoro che si avvale delle tecnologie dell’ informazione nell’ambito di un contratto o di un rapporto di lavoro, in cui l’attività lavorativa, che potrebbe anche essere svolta nei locali dell’impresa, viene regolarmente svolta al di fuori dei locali della stessa.

Si tratta dei lavoratori che svolgono il proprio lavoro utilizzando un videoterminale, un personal computer. Si parla infatti di telelavoratori. La disciplina di questo contratto è doppia: una riguardante il pubblico impiego, l’altra riguardante il telelavoro nel settore privato. In quest’ultimo settore, il telelavoro è regolato da principi indicati nell’Accordo interconfederale del 9 luglio 2004 che ha recepito un accordo-quadro europeo sulla normativa del telelavoro. Vedremo l’approfondimento sul contratto di telelavoro.

Le sanzioni per illegittimo uso del lavoro a domicilio

Ci sono diverse sanzioni previste dalla Legge n.877 del 1973 ed anche dal Decreto Legge n. 112 del 2008. Vediamo quali sono:

L’esecuzione di lavoro a domicilio per attività vietate, cioè quelle che comportino l’impiego di sostanze o materiali nocivi o pericolosi per la salute o l’incolumità del lavoratore e dei suoi familiari, di cui all’art. 2 comma 1 della Legge n. 877 del 1973, è punito con l’arresto sino a 6 mesi (art. 13 comma 1 della legge stessa).

La mancata retribuzione sulla base delle tariffe di cottimo, di cui all’art. 8 comma 1 della Legge n. 877/1973 è punito con una sanzione amministrativa da € 516 a € 2.582 (art. 13 comma 3 della legge stessa). L’estinzione mediante diffida/prescrizione è pari a € 516. Gli importi sanzionatori sono quintuplicati sulla base dell’ex art. 1, comma 1177 della Legge n. 296 del 2006;

L’omessa o infedele trascrizione nel Libro unico del lavoro, del nominativo e del relativo domicilio dei lavoratori esterni all’unità produttiva, nonché della misura della retribuzione, di cui all’art. 3 comma 5 della legge n. 877/1973 è punita con la sanzione amministrativa da € 150 a € 1.500 (se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori la sanzione va da € 500 a € 3.000). Sono fatti salvi i casi di errore meramente materiale e solo qualora la violazione determini differenti trattamenti retribuitivi, previdenziali o fiscali (art. 39 comma 7 del Decreto Legge n. 112 del 2008 convertito nella Legge n. 133 del 2008). Anche in questo caso l’estinzione mediante diffida/prescrizione (solo nei casi di omessa trascrizione) è pari a € 150, che sale a € 500 se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori;

L’omessa o infedele iscrizione per ciascun lavoratore a domicilio nel Libro unico del lavoro, delle date e delle ore di consegna e riconsegna del lavoro, della descrizione del lavoro eseguito, della specificazione delle quantità e della qualità di esso, è punita con le stesse sanzioni amministrative di cui al punto precedente, ivi compreso il caso di più di 10 lavoratori ed i casi di estinzione tramite diffida/prescrizione, sempre solo per omessa trascrizione.

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