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Licenziamento lavoratrice in gravidanza legittimo nel lavoro domestico

Nel lavoro domestico il licenziamento della lavoratrice in gravidanza non è illegittimo, né nullo né discriminatorio. La Cassazione ha affermato che rispetto alle altre donne, per le lavoratrici addette ai servizi domestici (Colf e Badanti) non vige il divieto di licenziamento dall’inizio della gestazione fino al compimento del primo anno di vita del bambino. Ma quali sono allora i diritti delle baby sitter, colf e badanti rimaste incinte? Vediamo in termini di legge quali sono le risposte.
A cura di Antonio Barbato
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licenziamento durante la gravidanza

Il licenziamento della lavoratrice in gravidanza è consentito nel lavoro domestico. La Cassazione con la Sentenza del 2 settembre 2015, n. 17433, ha dichiarato che le lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari possono essere licenziate durante la gravidanza. Più precisamente non è illegittimo per legge il licenziamento avvenuto dall’inizio della gestazione fino al compimento di un anno d’età del bambino, se si tratta di una lavoratrice nel settore domestico. E ciò significa che il recesso da parte del datore di lavoro non è qualificabile come illecito o licenziamento discriminatorio, ma può essere validamente esecutivo.

Nella sentenza la Suprema Corte di Cassazione ha chiarito che in base all’ex art. 62, comma 1, del Decreto Legislativo n. 151/2001 (Testo unico sulla maternità e paternità), alle lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari si applicano le norme relative al congedo per maternità e le disposizioni di cui agli articoli 6, 16, 17, 22 del Decreto stesso. Il lavoro domestico è invece escluso dalla normativa sul divieto di licenziamento della lavoratrice madre prevista, invece, dall’art. 54 del Testo unico sulla maternità e paternità.

Pertanto, mentre per la generalità delle lavoratrici dipendenti c’è un divieto per legge di licenziamento dall’inizio della gestazione e fino al compimento di 1 anno di età del bambino, nel lavoro domestico invece tale divieto assoluto non c’è. Il licenziamento della lavoratrice madre nel settore domestico (colf e badanti ad esempio) quindi non può essere di per sé nullo o discriminatorio, perché intimato durante il periodo di gravidanza o maternità.

Per quanto riguarda il caso specifico trattato dalla sentenza, ad origine del contenzioso c’era stato un licenziamento in tronco non appena la lavoratrice aveva comunicato di essere incinta. Il Tribunale, al quale la lavoratrice si era rivolta, aveva condannato il datore di lavoro a pagare l’indennità sostitutiva del preavviso. Ma giunti in Cassazione, quest’ultima ha precisato che il licenziamento in tronco senza giusta causa ha dato diritto all’indennità ma l’assenza di giusta causa ha ribadito che “non implica di per sé alcuna necessaria e indispensabile affermazione di discriminatorietà del licenziamento”.

Quali sono i diritti della lavoratrice madre nel settore domestico

A questo punto è importante precisare quali sono i diritti di una donna incinta che lavora nel settore domestico come baby sitter, colf o badante. La stessa Cassazione ha richiamato gli articoli del Testo unico sulla maternità e paternità che sono applicabili nel settore domestico, ossia gli articoli 6, 16, 17 e 22 del D. Lgs. n. 151 del 2001.

L’art. 6 tratta la tutela della sicurezza e della salute della lavoratrice in gravidanza e fino a 7 mesi di età del figlio (nato o adottato). Tali lavoratrici possono fruire di visite ostetrico-ginecologiche e delle prestazioni specialistiche per la tutela della maternità.

In materia più strettamente connessa al rapporto di lavoro, appurato che il datore di lavoro può licenziare liberamente la donna lavoratrice incinta nel settore domestico, qualora il rapporto di lavoro continuasse, vige il divieto di adibire al lavoro le donne di cui all’art. 16. E più precisamente “E' vietato adibire al lavoro le donne:

a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto all'articolo 20;

b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;

c) durante i tre mesi dopo il parto;

d) durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo il parto”.

Non solo, ai sensi dell’art. 17, scatta l’estensione del divieto (interdizione anticipata) in alcuni casi: “Il divieto e' anticipato a tre mesi dalla data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate in lavori che, in relazione all'avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli”. Si tratta dei casi di gravi complicanze della gravidanza o di preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza. Oppure quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino. Ed in generale quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni.

Anche alla lavoratrice madre del settore domestico spetta ovviamente, ai sensi dell’art. 22 del D. Lgs. 51/2001 il trattamento economico e normativo di tutte le lavoratrici in congedo di maternità quindi l’indennità giornaliera pari all’80% della retribuzione. Ed i periodi di congedo di maternità sono computati nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie.

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