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Nuovi termini per l’impugnazione del contratto a termine

La riforma lavoro, a partire dai contratti in scadenza nel 2013, amplia da 60 a 120 giorni il termine per l’impugnazione stragiudiziale del contratto a tempo determinato scaduto. Ridotto invece da 270 a 180 giorni il termine per l’azione legale presso il giudice. Introdotta anche una norma interpretativa che limita definitivamente a 12 mensilità l’indennità sostitutiva del risarcimento del anno per il contratto a termine dichiarato illegittimo.
A cura di Antonio Barbato
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azione stragiudiziale e giudiziale contratto a tempo determinato

La riforma del lavoro cambia il contratto a termine, soprattutto ne cambierà l’utilizzo. I commi da 9 a 13 della Legge n. 92 del 2012 in vigore dal 18 luglio hanno apportato importanti modifiche al Decreto Legislativo n. 36 del 2001 che regola la materia del contratto a tempo determinato. La riforma da un lato ha rafforzato la lotta alla reiterazione dei contratti a termine tra le stesse parti nei rapporti di lavoro, dall’altro lato ha liberalizzato di fatto l’utilizzo del primo contratto a termine tra datore di lavoro e lavoratore prevedendo l’esclusione dell’indicazione delle ragioni giustificative del termine per i primi contratti fino a 12 mesi.

Le novità sui rinnovi dei contratti a termine. Più precisamente l’intervallo di tempo tra un contratto a termine, quello scaduto, e l’altro da rinnovare dal 18 luglio 2012 in poi dovrà essere di 90 giorni, se il contratto a termine scaduto era superiore a 6 mesi oppure di 60 giorni se la durata del contratto era inferiore a 6 mesi. Prima tali intervalli erano rispettivamente di 20 e di 10 giorni. Si tratta di un drastico aumento dell’intervallo. La logica conseguenza è che per le imprese risulterà complicato aspettare 2 o 3 mesi per rinnovare un contratto ad un lavoratore, così come per il lavoratore risulterà durissima aspettare questi mesi senza contratto e senza stipendio, soprattutto. Per maggiori informazioni vediamo il rinnovo del contratto a termine dopo la riforma lavoro.

La novità del primo contratto a termine acasuale. La conseguenza di tali interventi legislativi è che, a fronte del complicato rinnovo di un contratto a termine scaduto, per le imprese risulterà molto più semplice stipulare un primo contratto a termine con un nuovo lavoratore che, come detto, può essere stipulato senza indicazioni delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Tali ragioni se non opportunamente dettagliate potevano portare alla nullità del termine apposto nel contratto con la logica conseguenza della trasformazione del rapporto in indeterminato. Con questa nuova tipologia di contratto a termine tale pericolo non c’è, ed è un forte incentivo per l’imprese all’utilizzo del contratto a termine acasuale.

La legge così favorisce quindi una sorta di turnover di lavoratori precari. Ciò da un lato favorirà le assunzioni di nuovi lavoratori dall’altro lato inasprirà il contenzioso tra i datori di lavoro ed i lavoratori che hanno il contratto a termine scaduto e si vedono lo stesso non rinnovato. Tali lavoratori ovviamente si chiederanno come comportarsi, se impugnare il contratto a termine scaduto oppure no, soprattutto se ci sono delle carenze nelle ragioni giustificative apposte nel contratto o altri vizi.

Il limite dei 36 mesi di contratti a termine oltre il quale c’è la trasformazione a tempo indeterminato dei contratti a termine, aveva favorito un utilizzo elusivo del contratto a termine, continuamente rinnovato tra le parti fino ai 36 mesi totali, appunto. Alcuni lavoratori erano così titolari di più contratti a termine negli anni con lo stesso datore di lavoro. Con l’introduzione delle novità in termini di rinnovi, la riforma ha voluto combattere proprio questo reiterato utilizzo del contratto a termine. Una buona finalità da un lato, dall’altro lato il contratto a termine, così come il contratto a progetto, è la forma più utilizzata tra i contratti diversi dal contratto a tempo indeterminato e con la riforma potrebbero esserci delle perdite di posti di lavoro. Ne nasceranno contenziosi. Anche su questo ci sono delle novità dalla riforma, novità sulle modalità di azione stragiudiziale e giudiziale, vediamole.

Nuovi termini per le azioni stragiudiziali e giudiziali

Azione stragiudiziale entro 120 giorni. Come detto ci sono novità sull’impugnazione in via stragiudiziale del contratto a termine prevista dall’art. 32 del Collegato Lavoro: viene ampliato dagli attuali 60 giorni a 120 giorni il periodo di tempo entro il quale è possibile impugnare il contratto. Ciò consente una maggiore disponibilità di tempo per il lavoratore nella scelta se impugnare o meno il proprio contratto a tempo determinato scaduto. Ci sono esattamente 60 giorni in più, il doppio del tempo rispetto a prima della riforma del lavoro (la legge n. 92 del 2012 in vigore dal 18 giugno 2012).

Questa scelta di raddoppiare i tempi è dovuta anche alla circostanza che il lavoratore generalmente attende le decisioni del datore di lavoro in termini di rinnovo del contratto. Essendo stati elevati a 60 o 90 giorni i tempi di intervallo tra un contratto e l’altro, sarebbe stata una incongruenza concedere solo 60 giorni al lavoratore per la decisione quando il rinnovo del datore di lavoro eventualmente arriva dopo 60 o 90 giorni, quindi più tardi. Con 120 giorni il lavoratore ha il tempo di attendere che siano passati i 60 o 90 giorni dalla scadenza del suo contratto e capire se il datore di lavoro provvede alla riassunzione.

In caso contrario, può optare per l’azione stragiudiziale, ossia inviare la lettera che impugna il contratto a termine scaduto. Questo ovviamente se ravvisa vizi nelle ragioni giustificative di apposizione del termine oppure se ci sono gli estremi per impugnare e agire per vizi del contratto.

Azione giudiziale entro 180 giorni. In controtendenza rispetto al discorso della concessione da parte della riforma lavoro di un maggior lasso di tempo al lavoratore per impugnare il contratto a termine con l’azione stragiudiziale, in termini di azione legale giudiziale arriva invece la riduzione a 180 giorni del termine per agire in giudizio. Nella disciplina precedente questo termine era fissato in 270 giorni. Quindi si è passati da 60 giorni a 120 giorni per impugnare il contratto e da 270 giorni a 180 giorni per poi agire in giudizio. Ridottissimi i tempi tra l’impugnazione e l’azione legale quindi.

Questo intervento ha avuto la finalità di non ampliare i tempi del contenzioso tra datore di lavoro e lavoratore, però comporta una importante novità: il lavoratore avrà più tempo per decidere se agire ma poi tramite il proprio avvocato dovrà predisporre l’azione in maniera molto più celere, cioè avrà pochi mesi (fino a soli 2 mesi) per agire in giudizio.

Questi nuovi termini sono a partire dal 2013. Il comma 12 dell’art. 1 della Riforma lavoro chiarisce che i nuovi termini di impugnazione si applicano alle cessazioni di contratti a termine che si verificano dal 1 gennaio 2013. Quindi attenzione a questo aspetto: i contratti in scadenza nel 2012 seguiranno la vecchia disciplina. I contratti che scadranno dopo l’entrata in vigore della legge (18 luglio 2012) ma prima di tale data (quindi fino al 31 dicembre 2012) continuerà ad applicarsi la regola precedente (quindi 60 giorni per l’impugnazione stragiudiziale e 270 per quella giudiziale).

Sanzione per contratto a termine illegittimo: niente indennizzo aggiuntivo

La riforma del contratto a termine si chiude con alcune norme che ritoccano la disciplina in materia di controversie di lavoro. Tra le norme c’è anche una norma interpretativa che pone fine ad alcuni dubbi riguardanti la possibilità di riconoscere al lavoratore un indennizzo aggiuntivo a copertura del periodo intercorso tra la data di deposito del ricorso e la sentenza.

La norma chiarisce in via definitiva questo aspetto: “La disposizione di cui al comma 5 dell'articolo 32 della  legge 4 novembre 2010, n. 183, si interpreta nel senso che l'indennità ivi prevista ristora per intero il  pregiudizio  subito  dal  lavoratore, comprese  le  conseguenze  retributive  e  contributive  relative  al periodo compreso fra la scadenza  del  termine  e  la  pronuncia  del provvedimento  con  il   quale   il   giudice   abbia   ordinato  la ricostituzione del rapporto di lavoro”.

Inteso che l’indennità riconosciuta in caso di conversione del rapporto di lavoro a termine, essendo qualificata dalla legge come “onnicomprensiva”, copre tutte le conseguenze retributive e contributive derivanti dall’illegittimità del contratto a termine, senza la possibilità di riconoscimento di altri importi.

La legge n. 183 del 2010 in materia di controversie di lavoro prevede una doppia sanzione. Nel caso in cui il contratto a termine sia dichiarato illegittimo dal giudica si applicano le seguenti sanzioni:

  • Conversione a tempo indeterminato del contratto a termine;
  • Riconoscimento al lavoratore di un’indennità sostitutiva del risarcimento di importo variabile compreso tra le 2,5 e le 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Questa disciplina, soprattutto nel secondo punto che limita il risarcimento del danno ad un massimo di 12 mensilità è stata portata alla Corte Costituzionale che ne ha riconosciuto la piena legittimità con la sentenza n. 303 del 2011. Ciò ha comportato comunque un dubbio interpretativo riferito alla possibilità di un riconoscimento al lavoratore di un indennizzo aggiuntivo per il periodo tra il deposito del ricorso e la data della sentenza. Questa ipotesi era stata avallata da alcune sentenze anche se più volte smentita dalla Corte di Cassazione. La Riforma del Lavoro chiude il contenzioso: niente indennizzo aggiuntivo, il massimo del risarcimento è di 12 mensilità, come previsto dalla legge, dal 18 luglio 2012 rafforzata dalla norma interpretativa contenuta nella riforma.

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