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Promoter, il contratto a progetto è vietato. Nelle Onlus no, ma in alcuni casi

Le attività dei promoters sono difficilmente inquadrabili nelle collaborazioni coordinate e continuative a progetto. Mentre il lavoro svolto nelle Onlus e Ong, può riguardare progetti specifici, ma solo se sussistono determinati requisiti. Queste le indicazioni del Ministero del lavoro ai propri ispettori in applicazione della riforma del mercato del lavoro sul contratto a progetto. C’è quindi il rischio di trasformazione in un contratto a tempo indeterminato.
A cura di Antonio Barbato
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collaborazione a progetto e promoter, hostess, onlus e ong

Continuano i chiarimenti ministeriali in materia di utilizzo del contratto a progetto, dopo le modifiche approvate dalla riforma del mercato del lavoro. La legge n. 92 del 2012, con la riforma del contratto a progetto, ha introdotto nuovi elementi di valutazione della genuinità delle collaborazioni coordinate e continuative a progetto. Il Ministero del Lavoro è intervenuto in materia di attività svolte nel settore commerciale dai c.d. “promoters”. E in materia di lavoro svolto all’interno di organizzazioni non governative (ONG/ONLUS) e di organizzazioni aventi finalità socio/assistenziali e sanitarie.

E’ stata emessa la circolare n. 7 del 2013 a seguito di richieste di chiarimenti in ordine alla possibilità di far ricorso alla tipologia contrattuale delle collaborazioni coordinate e continuative a progetto di cui agli artt. 61 e seguenti del D. Lgs. n. 276 del 2003, come modificati dalla riforma Fornero art. 1, commi 23-25, Legge n. 92 del 2012, ed in riferimento ai due specifici ambiti settoriali.

La circolare ministeriale ha chiarito che nelle attività di promoter il ricorso al contratto a progetto è sostanzialmente vietato, o di difficile giustificazione innanzi agli ispettori del lavoro. Ha altresì chiarito o rafforzato la valutazione che, aldilà dei contratti di tipo subordinato, nel settore è utilizzabile la prestazione occasionale, nel limite di 30 giorni e nel limite di 5.000 euro annui.

Mentre per quanto riguarda le Onlus e le Ong c’è un’apertura all’utilizzo del contratto a progetto nel settore, ma solo se il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa ha degli specifici elementi di giustificazione del ricorso a questa tipologia contrattuale, che il Ministero indica puntualmente.

A seguito delle novità apportate dalla c.d. riforma lavoro, si è assistito alla traduzione in legge del consolidato orientamento giurisprudenziale volto a delimitare l’ambito di utilizzo del contratto a progetto, esclusivamente per lo svolgimento di attività connotate dal raggiungimento di uno specifico risultato obiettivamente riscontrabile e non coincidente con l’oggetto sociale dell’impresa committente. 

Come già chiarito con circolare n. 29 del 2012, sempre dal Ministero, il progetto gestito autonomamente dal collaboratore non può sinteticamente identificarsi con l’oggetto sociale, ma deve essere caratterizzato da una sua specificità, compiutezza, autonomia ontologica e predeterminatezza del risultato atteso e rappresentare una vera e propria “linea guida” contenente le modalità di esplicitazione dell’obbligazione del collaboratore.

Vediamo ora le precisazioni ministeriali al fine di fornire al personale ispettivo alcune indicazioni operative sulle base delle quali uniformare l’attività di vigilanza in ordine all’utilizzo delle collaborazioni a progetto negli indicati settori.

Attività di promoter e collaborazione a progetto

Il Ministero nella circolare n. 7 del 2013 chiarisce la propria posizione in merito alle attività svolte da promoter e l’eventuale stipula di un contratto di collaborazione coordinata continuativa a progetto. Ecco le indicazioni fornite ai propri ispettori, da applicare dagli stessi nelle loro ispezioni nelle aziende.

Il lavoro dei promoter si svolge normalmente presso fiere, centri commerciali, convegni (ecc.) e consiste sia nell'organizzazione di un evento e/o sponsorizzazione di un determinato prodotto, mediante la consegna del materiale promozionale o attraverso la pubblicizzazione di specifiche qualità ed offerte in ordine al prodotto stesso. La figura del promoter, pertanto, va ad identificarsi non solo con colui o colei che si limita a promuovere un prodotto, ma anche con chi lo vende nell’ambito di strutture commerciali.

In proposito il Ministero nella circolare evidenzia che tali attività tendenzialmente involgono l’espletamento di compiti per lo più di carattere operativo in attuazione di indicazioni organizzative e logistiche impartite dall’azienda committente, senza la possibilità di rinvenire significativi margini di autodeterminazione da parte del lavoratore, la cui attività, peraltro, non presenta profilli di particolare complessità.

Ciò premesso, si ritiene che la figure descritte finiscano con lo svolgere attività con caratteristiche pressoché analoghe a quelle dei commessi e/o addetti alle vendite che, come già chiarito con circ. n. 29/2012, difficilmente risultano inquadrabili nell’ambito di un genuino rapporto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto, pur risultando astrattamente riconducibili ad altri rapporti di natura autonoma.

Il Ministero richiama anche la legge n. 173 del 2005, recante la “disciplina della vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidali”, in cui si prevede che l’attività in questione, con o senza vincolo di subordinazione, è soggetta all’obbligo del possesso del tesserino di riconoscimento (D. Lgs. n. 114 del 1998), e che la natura della prestazione svolta senza vincolo di subordinazione deve ritenersi di carattere occasionale sino al conseguimento di un reddito annuo, derivante da tale attività, non superiore ad euro 5.000.

In linea con le argomentazioni sopra sostenute, ove non trovi applicazione la disciplina di cui alla Legge menzionata, il personale ispettivo dovrà esaminare la fattispecie concreta posta in essere ed eventualmente ricondurre nell’alveo della subordinazione le eventuali collaborazioni a progetto, previa puntuale verifica dell’assenza dei requisiti richiesti dall’art. 61, D.Lgs. n. 276/2003 (che esclude le prestazioni occasionali di durata complessiva non superiore a 30 giorni e con limite di 5.000 euro nell’anno solare ad esempio), o della sussistenza di quelli di cui all’art. 2094 c.c. (quindi le prestazioni di lavoro subordinato che consentono di inquadrare il rapporto di lavoro nell’ambito del lavoro dipendente).

Promoter e allestimento postazioni per la vendita di prodotti. Nell’ambito delle attività in esame, peraltro, occorre segnalare che rientra spesso anche l’allestimento di postazioni per la vendita dei prodotti, realizzato da personale “fornito” dall’azienda produttrice mediante diverse tipologie contrattuali. In tal caso vanno verificate, in primo luogo, la tipologia del rapporto a base della prestazione di servizi (sia esso un appalto o una prestazione accessoria alla vendita), e, in secondo luogo, la corrispondenza del tipo contrattuale alle modalità di effettiva prestazione lavorativa posta in essere.

Il carattere di orientamento delle disposizioni. Il Ministero chiarisce che tale indicazione opera esclusivamente sotto il profilo della metodologia accertativa, al fine di orientare e uniformare l’attività ispettiva, non volendo dunque costituire alcun indice presuntivo di carattere generale in ordine ai criteri di distinzione tra attività di natura autonoma e subordinata.

Il lavoro a progetto nelle ONG/ONLUS e nelle organizzazioni socio assistenziali

In merito alle ONG/ONLUS (Organizzazioni non governative e  Organizzazione non lucrativa di utilità sociale) e ad altre e diverse tipologie di organizzazioni socio assistenziali, il Ministero premette che le stesse operano prioritariamente per il raggiungimento di scopi sociali e umanitari (ad esempio miglioramento dell’ambiente, rispetto dei diritti umani, incremento del benessere per le fasce di popolazione meno abbienti, ecc.).

La finalità sociale di ciascuna organizzazione non governativa caratterizza evidentemente il suo oggetto e dunque l’attività svolta dagli appartenenti alla stessa, che operano attraverso forme di collaborazione gratuite ovvero mediante tipologie contrattuali di natura subordinata o autonoma.

Nell’ambito di tale attività è possibile individuare specifici progetti che, pur contribuendo al raggiungimento dello scopo sociale, se ne distinguono per una puntuale declinazione di elementi specializzanti che consentono anche l’attivazione di forme di collaborazione coordinata e continuativa riconducibili alla disciplina di cui agli artt. 61 e seguenti del Decreto Legislativo n. 276 del 2003 (Riforma Biagi).

Specificità del progetto, raggiungimento di un autonomo risultato e autodeterminazione del prestatore. Sono queste le caratteristiche che rendono genuino il contratto a progetto stipulato nelle Onlus o nelle Ong. In sostanza, ove l’attività del collaboratore sia connotata da elementi di specificità puntualmente declinati nel progetto e finalizzati al raggiungimento di un autonomo risultato conseguito attraverso una attività che presenti margini di autodeterminazione del prestatore, appare possibile l’utilizzo del contratto a progetto. 

Elementi caratterizzanti il contratto a progetto nelle Onlus e Ong. Più in particolare, la sussistenza di una genuina co.co.pro. è condizionata, nei settori in esame, alla presenza dei seguenti elementi:

  • assoluta determinatezza dell’oggetto dell’attività inteso anche come parte integrante del più generale obiettivo perseguito dall’organizzazione;
  • circoscritta individuazione dell’arco temporale per l’espletamento dell’attività progettuale in funzione dello specifico risultato finale;
  • apprezzabili margini di autonomia anche di tipo operativo da parte del collaboratore, obiettivamente riconoscibili nelle modalità di svolgimento della prestazione stessa ossia per lo svolgimento di compiti non meramente esecutivi;
  • possibilità di obiettiva verifica circa il raggiungimento dei risultati attesi. 

Esempio del Ministero. A titolo esemplificativo, l’attività del collaboratore svolta in ambito socio assistenziale non può rispondere a puntuali direttive o specifiche indicazioni operative da parte del committente che vanifichino ogni margine di autonomia tecnica e metodologica nella scelta delle prestazioni in funzione delle esigenze degli utenti beneficiari e delle finalità dell’intervento.

In ordine alle modalità concrete di svolgimento della prestazione è possibile rinvenire, infatti, margini di autonomia laddove i collaboratori concordino di volta in volta con il destinatario finale della prestazione gli aspetti operativi afferenti alla tipologia di intervento, gli orari di assistenza nonché le concrete modalità di erogazione del servizio.

In definitiva, la natura autonoma del contratto oggetto di accertamento può essere riconosciuta a condizione che il collaboratore determini unilateralmente e discrezionalmente, senza necessità di preventiva autorizzazione e successiva giustificazione, la quantità di prestazione socio/assistenziale da eseguire e la collocazione temporale della stessa (interpello del Ministero del Lavoro n. 5 del 2010).

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