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Contratti a termine nelle attività di produzione di spettacoli, programmi televisivi e radiofonici

Con un interpello il Ministero chiarisce che le attività svolte da personale artistico e tecnico della produzione di spettacoli, programmi radiofonici e televisivi rientrano tra le attività stagionali e quindi l’intervallo tra un contratto a termine e l’altro non deve essere rispettato. La successione dei contratti quindi non deve rispettare i 10 o 20 giorni di stop and go.
A cura di Antonio Barbato
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contratti a termine nel settore spettacolo

Il Ministero del Lavoro ha fatto chiarezza sui contratti a termine nei settori della produzione di spettacoli, programmi radiofonici e televisivi. Vista la specificità della tipologia di lavoro, è frequente in queste produzioni il ricorso al contratto a tempo determinato. Con un interpello il Ministero ha chiarito che la successione dei contratti è libera dal rispetto degli intervalli di 10 e 20 giorni tra un contratto e l’altro previsti dal Decreto Legislativo n. 368 del 2001, dopo le recenti modifiche del Decreto Lavoro.

Nello specifico, l’A’Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro ha avanzato istanza di interpello per conoscere il parere della Direzione generale del Ministero del Lavoro in ordine alla corretta applicazione dell’art. 5, comma 4 ter, del D.Lgs. n. 368/2001 e delle disposizioni di cui al D.P.R. n. 1525/1963, recante l’“elenco delle attività per le quali, ai sensi dell’art. 1 secondo comma, lettera a), della legge 18 aprile 1962, n. 230, è consentita per il personale assunto temporaneamente la apposizione di un termine nei contratti di lavoro”.

In particolare, l’istante chiede se l’attività svolta dal personale artistico e tecnico della produzione di spettacoli o da quello assunto per specifici spettacoli, ovvero programmi radiofonici o televisivi, possa essere considerata attività stagionale, ai fini dell’esclusione dal rispetto della disciplina in materia di intervalli temporali tra due contratti a termine.

Il Ministero del lavoro ha risposto con l’interpello n. 6 del 30 gennaio 2014. Doverosa una premessa sulla normativa, recentemente modificata più volte, sulla successione dei contratti a termine. Gli intervalli tra un contratto a termine e l’altro per le mansioni equivalenti sono stati oggetto recentemente di numerosi interventi legislativi. La Riforma Fornero aveva esteso a 60 o 90 giorni l’intervallo tra contratti a termine, se l’ultimo contratto scaduto era di durata rispettivamente inferiore e superiori a 6 mesi. Per maggiori informazioni vediamo l’intervallo di 60 o 90 giorni.

Come ricorda il Ministero nell’interpello, il comma 3, dell’art. 5, del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, il Decreto contenente l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato in linea con le normative europee, è stato modificato dall’ultimo Decreto Legge n. 76 del 2013. Il Decreto Lavoro ha apportato ulteriori modifiche al regime degli intervalli tra due contratti a tempo determinato rispetto a quelle introdotte con L. n. 92 del 2012, la Riforma Fornero.

Reintrodotti gli intervalli di 10 e 20 giorni. La norma dispone, infatti, che laddove il lavoratore venga riassunto a termine prima che sia trascorso un periodo di dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero prima di venti giorni, nell’ipotesi di contratto superiore a sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato.

Chiarito ciò, e ritornando al caso oggetto dell’interpello n. 6 del 2014 del Ministero del Lavoro, quest’ultimo Ministero precisa che “la suddetta disciplina in materia di intervalli nella successione dei contratti a termine per mansioni equivalenti non trova poi applicazione “nei confronti dei lavoratori impiegati in attività stagionali di cui al comma 4-ter, nonché in relazione alle ipotesi individuate dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”. Il comma 4-ter deroga riguardo al rispetto degli intervalli.

Continua il Ministero nell’Interpello: “Il comma 4-ter sopra citato opera un rinvio all’elenco delle attività a carattere stagionale declinate nel D.P.R. n. 1525/1963, tra le quali è possibile annoverare le attività concernenti la “preparazione e produzione di spettacoli per il personale non menzionato nella lett. e) dell’art. 1 della Legge 18 aprile 1962, n. 230, addetto ai singoli spettacoli o serie di spettacoli consecutivi di durata prestabilita”(punto n. 49).

Ciò premesso, ai fini della soluzione del quesito, va evidenziata la finalità della disciplina già contenuta nella Legge n. 230/1962 e nel D.P.R. n. 1525/1963. Con la prima il Legislatore ha individuato le ipotesi tassative per le quali era possibile la stipulazione di un contratto a termine, mentre con il secondo, emanato ai sensi dell’art. 1, comma 2 lett. a), della medesima Legge, tali ipotesi sono state implementate.

Più in particolare, con specifico riferimento al settore dello spettacolo, se l’art. 1 lett. e) della L. n. 230/1962 consentiva l’apposizione del termine “nelle scritture del personale artistico e tecnico della produzione di spettacoli” (testo in vigore alla data di emanazione del D.P.R. n. 1525/1963), il D.P.R. estendeva la possibilità di stipulare contratti a termine anche nelle citate ipotesi di “preparazione e produzione di spettacoli per il personale non menzionato nella lett. e) dell’art. 1 della Legge 18 aprile 1962, n. 230, addetto ai singoli spettacoli o serie di spettacoli consecutivi di durata prestabilita”.

In sostanza, il quadro regolatorio di riferimento ammetteva l’apposizione del termine sia per il “personale artistico e tecnico della produzione di spettacoli”, sia per personale diverso (ad esempio il personale operaio e impiegatizio).

La conclusione del Ministero: “Sulla base di quanto sopra si ritiene che la deroga in materia di intervalli, dal momento che fa riferimento al D.P.R. n. 1525/1963, debba tener conto della ratio che è stata seguita nella elaborazione dello stesso Decreto, finalizzato ad implementare, come detto, le ipotesi in cui era ammessa l’apposizione di un termine al contratto di lavoro.

Tale operazione interpretativa deve inoltre tener conto delle contestuali restrizioni operate dallo stesso D.P.R. e che, in particolare, vogliono riferirsi al personale – sia artistico che tecnico ma anche personale diverso – “addetto ai singoli spettacoli o serie di spettacoli consecutivi di durata prestabilita”.

Si ritiene pertanto che la deroga di cui all’art. 5, comma 3, del D.Lgs. n. 368/2001 in materia di intervalli, possa trovare oggi applicazione proprio nelle ipotesi già citate e cioè con riferimento alla attività prestata da tutto il personale “addetto ai singoli spettacoli o serie di spettacoli consecutivi di durata prestabilita”, sia questo personale artistico, tecnico, impiegatizio o operaio.

Giurisprudenza sulla legittimità del contratto a termine nel settore spettacolo. Con specifico riferimento al settore dello spettacolo, secondo una consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, ai fini della legittimità dell’apposizione del termine, è necessario che ricorrano i requisiti:

a) temporaneità della occasione lavorativa rappresentata dalla trasmissione o dallo spettacolo, intesi come eventi non necessariamente straordinari od occasionali, ma di durata limitata dell’arco temporale della programmazione complessiva;

b) specificità del programma, unico (anche articolato in più puntate o ripetuto nel tempo) e con connotazione particolare;

c) connessione reciproca tra specificità dell’apporto del lavoratore e specificità del programma o spettacolo, c.d. vincolo di necessità diretta.

Pertanto se gli intervalli non sono da rispettare nei casi in questione, secondo quanto stabilito dall’interpello del Ministero del Lavoro, è pur vero, ed il Ministero nello stesso interpello lo ricorda, che è necessario a monte rispettare quanto previsto dalla giurisprudenza in materia di legittimità dell’apposizione del termine nel contratto di lavoro. E’ inteso che il mancato rispetto delle ipotesi di cui ai punti precedentemente elencati, come la non temporaneità dell’occasione lavorativa o la specificità del programma o la connessione tra specificità dell’apporto lavorativo o del programma stesso, può portare all’illegittima apposizione del termine con la conseguenza della nullità dello stesso con conseguente trasformazione del rapporto in un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

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