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Contributi a carico del lavoratore e sanzioni penali al datore di lavoro

La Corte Costituzionale ritiene legittime le sanzioni penali al datore di lavoro (reclusione fino a 3 anni e 1.032 euro di multa) in caso di mancato versamento dei contributi a carico del lavoratore trattenuti in busta paga, anche senza la previsione di una soglia di non punibilità di 50.000 euro come nel caso delle ritenute fiscali. Vediamo le motivazioni.
A cura di Antonio Barbato
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mancato versamento contributi a carico lavoratore

La Corte Costituzionale ha dichiarato legittima la norma che punisce il datore di lavoro che non versa le ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori con la reclusione fino a 3 anni e la multa fino a 1.032 euro. Il reato penale per omesso versamento dei contributi a carico lavoratore non può essere considerato alla stessa stregua degli omessi versamenti per ritenute fiscali, per i quali le sanzioni penali scattano al superamento di una soglia di non punibilità di 50.000 euro.

La norma riguardante la sentenza n. 139 del 19 maggio 2014 della Consulta è l’articolo 2, comma 1-bis del Decreto Legge n. 463 del 1983 convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1-bis, della legge 11/11/1983, n. 638: “L'omesso versamento delle ritenute di cui al comma 1 (le ritenute previdenziali e assistenziali) è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire due milioni (1.032 euro). Il datore di lavoro non è punibile se provvede al versamento entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione”

Pertanto il datore di lavoro che trattiene in busta paga i contributi previdenziali a carico del lavoratore (il 9,19% trattenuto ai lavoratori dipendenti oppure anche 1/3 dei contributi dovuti in caso di collaboratori con contratto a progetto), e che non provvede a versare questa quota a carico dei lavoratori trattenuta, incorre legittimamente nella sanzione penale, aldilà di quanto è l’importo non versato.

Si tratta infatti di un’appropriazione indebita severamente punita e che non è paragonabile al mancato versamento delle ritenute fiscali o dell’Iva. Nel caso delle trattenute previdenziali, sostanzialmente si tratta di una quota di retribuzione spettante al lavoratore che viene appunto trattenuta dal datore di lavoro per il successivo versamento agli enti previdenziali.

Quindi questa norma, ritenuta legittima dalla Corte Costituzionale, prevede la sanzione penale nel caso di omesso versamento dei contributi anche per importi bassi, a differenza dall’omissione di versamenti per ritenute fiscali che prevedono una sanzione penale solo al superamento della soglia di 50.000 euro di ritenute non versate.

La Corte Costituzionale nega che la norma sia irragionevole e lesiva del principio di uguaglianza e conferma che “la finalità della norma sospettata di illegittimità costituzionale è quella di ovviare al fenomeno costituito dalla grave forma di evasione, quale quella contributiva, con un inasprimento delle sanzioni, prevedendo, per il datore di lavoro, sia la reclusione sia la sanzione pecuniaria nell’ipotesi di mancato versamento dei contributi trattenuti sulla retribuzione dei lavoratori”.

Continua la Consulta: “A tal fine, la disciplina in scrutinio è corredata dalla previsione dell’ulteriore obbligo del datore di lavoro, di versare una somma aggiuntiva fino a due volte l’importo, in caso di omesso o incompleto pagamento dei contributi direttamente dovuti.”

Sulla differenza tra i due reati: ”Anche sul piano della tipizzazione della fattispecie penale emergono sostanziali differenze tra i reati posti a confronto (mancato versamento dei contributi rispetto al mancato versamento delle ritenute Irpef), atteso che, mentre la norma censurata prevede un reato a consumazione istantanea con una speciale causa di estinzione collegata al versamento tardivo delle ritenute previdenziali entro tre mesi dalla contestazione, di contro, l’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 − in ossequio alla diversa finalità dell’opzione punitiva prescelta − introduce una condizione oggettiva di punibilità, che impedisce di configurare il disvalore penale delle condotte non ritenute di rilevante offensività.

Quanto precede dimostra, ancora una volta, l’impraticabilità del raffronto posto dal rimettente a sostegno della censurata omessa previsione della soglia di non punibilità nella disciplina dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, in quanto l’acclarata eterogeneità delle norme in comparazione costituisce espressione di autonome scelte del legislatore, non irragionevoli e neppure arbitrarie in considerazione della natura e dell’intensità degli interessi protetti, ai quali corrisponde la modulazione degli interventi sanzionatori ispirati a scelte punitive differenziate.”.

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