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Dimissioni e disoccupazione: tutti i casi in cui spetta l’indennità dell’Inps

L’ex indennità di disoccupazione ordinaria, agricola e non agricola, con requisiti normali o ridotti, così come l’Nuova assicurazione sociale per l’impiego NASPI (ex Aspi e Mini-Aspi), sono riconosciute anche per le dimissioni volontarie per giusta causa da parte del lavoratore. Vediamo tutti i casi in cui il recesso dà diritto alla percezione dell’assegno da parte dell’Inps.
A cura di Antonio Barbato
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dimissioni per giusta causa e indennità disoccupazione

(UPDATE – Aggiornamento 10 ottobre 2015) – A favore dei lavoratori che perdono l’occupazione è previsto dall’ordinamento previdenziale un trattamento economico sostitutivo della retribuzione, erogato dall’Inps. Si tratta dell’indennità di disoccupazione (Naspi 2015), che consente, al lavoratore che ha perso il posto di lavoro, la percezione di un assegno che riduca gli effetti negativi della mancanza di un lavoro.

Ora, cerchiamo di rispondere alla domanda "se mi licenzio, ho diritto all'indennità di disoccupazione?" o "se uno si licenzia ha diritto all'indennità di disoccupazione?" o alla domanda "quando si ha diritto alla disoccupazione?". Vediamo quindi la disoccupazione in caso di dimissioni.

Ad essere tutelata è la disoccupazione non volontaria, quindi non la risoluzione di un rapporto di lavoro per volontà del lavoratore.

Normalmente, infatti, non si ha diritto all’indennità di disoccupazione, né quella ex ordinaria né quella ex con requisiti ridotti, nel caso di dimissioni volontarie da parte del lavoratore. Ossia quando il rapporto di lavoro, appunto, cessa per volontà del lavoratore. Ma se il caso in questione è una dimissione è per giusta causa, le cose cambiano totalmente. Vediamo perché.

Sul tema del diritto all’indennità di disoccupazione nel caso di dimissioni volontarie è intervenuta la Corte Costituzionale, chiarendo quali sono i casi in cui, pur essendo intervenuta una dimissione da parte del lavoratore, essa è riconducibile alla disoccupazione involontaria e quindi dà comunque diritto alla percezione dell’indennità di disoccupazione. Ossia quando appunto la dimissione è per giusta causa.

La Corte Costituzionale, con una sentenza del 2002, ha stabilito che le dimissioni per giusta causa non sono riconducibili alla libera scelta del lavoratore, in quanto indotte da comportamenti altrui idonei ad integrare la condizione di improseguibilità del rapporto di lavoro. Comportano, quindi, uno stato di disoccupazione involontaria. Di conseguenza il diritto all’indennità ordinaria di disoccupazione, agricola e non agricola, deve essere riconosciuto ogni qual volta la cessazione del rapporto di lavoro avvenga per giusta causa, e cioè quando si verifichi una causa che non consente la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro (articolo 2119 del codice civile).

La Corte Costituzionale è intervenuta per dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 comma 5 della legge n. 448 del 1998 che aveva disposto che la cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni intervenuta successivamente al 31 dicembre 1998 non dà titolo in nessun caso all’erogazione dell’indennità ordinaria di disoccupazione, agricola e non agricola, con requisiti normali  e con requisiti ridotti. Sulla base di questa sentenza che ha cancellato quanto stabilito dalla legge 448 del 1998, l’Inps ha elencato tutti i casi in cui la dimissione è considerata per giusta causa e quindi dà diritto all’indennità di disoccupazione, sia ordinaria, agricola e non agricola, con requisiti normali o ridotti. Nonché il diritto all’Assicurazione sociale per l’impiego dal 2013.

La circolare Inps n. 163 del 2003 ha chiarito che si considerano “per giusta causa” le dimissioni determinate dai seguenti eventi:

  • dal mancato pagamento della retribuzione;
  • dall'aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro;
  • dalle modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative;
  • dal cosiddetto mobbing, ossia di crollo dell’equilibrio psico-fisico del lavoratore a causa di comportamenti vessatori da parte dei superiori gerarchici o dei colleghi (spesso, tra l’altro, tali comportamenti consistono in molestie sessuali o “demansionamento”, già previsti come giusta causa di dimissioni);
  •  dalle notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione ad altre persone (fisiche o giuridiche) dell’azienda;
  • dallo spostamento del lavoratore da una sede ad un’altra, senza che sussistano le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” previste dall’art. 2103 codice civile (Corte di Cassazione, sentenza n. 1074/1999);
  • dal comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico nei confronti del dipendente (Corte di Cassazione, sentenza n.5977/1985). 

L’articolo 2119 codice civile (“Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto … a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto …”) demanda alla giurisprudenza il compito di enucleare le varie fattispecie di “giusta causa”. Per tale motivo, l’INPS può riconoscere l'indennità di disoccupazione solo nei casi in cui sussista una delle cause già indicate dalla giurisprudenza. 

Indennità di disoccupazione e risoluzione consensuale. Una circolare Inps del 2006 ha chiarito che rientra nelle “notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione ad altre persone (fisiche o giuridiche) dell’azienda” di cui all’elenco precedente, il caso in cui la cessazione dell’attività lavorativa consegua a risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. E soprattutto il caso in cui il lavoratore venga trasferito ad una diversa sede dell’azienda, quando quest’ultima si trovi ad una notevole distanza dalla residenza e/o dall’ultima sede presso la quale il dipendente prestava la propria attività.

Anche in quest’ultimo caso possono ricorrere i presupposti per riconoscere l’indennità di disoccupazione ordinaria, poiché la volontà del lavoratore può essere stata indotta dalle notevoli variazioni delle condizioni di lavoro conseguenti al trasferimento del dipendente ad altra sede della stessa azienda. In particolare va posta in considerazione la circostanza che la sede di destinazione disti più di 50 km dalla residenza del lavoratore e\o trovarsi in un luogo mediamente raggiungibile in 80 minuti con i mezzi pubblici. In questo caso il lavoratore ha diritto all’indennità di disoccupazione.

Relativamente alla presentazione delle domande, se il lavoratore dichiara che si è dimesso per giusta causa, dovrà corredare la domanda con una documentazione (dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà) da cui risulti almeno la sua volontà di “difendersi in giudizio” nei confronti del comportamento illecito del datore di lavoro (allegazione di diffide, esposti, denunce, citazioni, ricorsi d’urgenza ex articolo 700 c.p.c., sentenze ecc. contro il datore di lavoro, nonché ogni altro documento idoneo), impegnandosi a comunicare l’esito della controversia giudiziale o extragiudiziale. Laddove l’esito della lite dovesse escludere la ricorrenza della giusta causa di dimissioni, si dovrà procedere al recupero di quanto pagato a titolo di indennità di disoccupazione, così come avviene nel caso di reintegra del lavoratore nel posto di lavoro successiva a un licenziamento illegittimo che ha dato luogo al pagamento dell’indennità di disoccupazione.

Dimissioni lavoratrici madri durante il divieto di licenziamento. Un ulteriore caso di dimissioni, oltre a quelle per giusta causa, è quello delle lavoratrici madri durante il divieto di licenziamento. Si tratta di un caso tutelato dalle legge: Dalla data di gestazione, vale a dire 300 giorni prima della data presunta del parto, fino al compimento del primo anno di vita del bambino, esiste il divieto di licenziamento. Le lavoratrici madri che si dimettono durante questo periodo hanno diritto all’indennità di disoccupazione (ora Naspi).

Va precisato che la riforma Fornero, la legge n. 92 del 2012, ha introdotto la convalida delle dimissioni ed in questo specifico caso delle lavoratrici madri che si dimettono ha previsto che la convalida è estesa fino ai tre anni di vita del bambino. Ma il Ministero del Lavoro con un interpello ha chiarito che l’estensione della convalida delle dimissioni da un anno di vita del bambino a tre anni di vita, non comporta l’allungamento a tre anni di età del bambino del periodo entro il quale le dimissioni della lavoratrice danno diritto all’Aspi, ex indennità di disoccupazione. Per maggiori informazioni vediamo le dimissioni della lavoratrice madre e l’indennità Aspi.

I requisiti per l’indennità di disoccupazione Naspi. Quanto disposto dall’Inps in materia di dimissioni volontarie nonché di risoluzione consensuale o dimissioni della lavoratrice madre, non basta per ottenere l’indennità di disoccupazione. Piuttosto, rientrare nei casi di cui sopra, consente di evitare l’esclusione dal diritto, che opera nei confronti di coloro che dimettono volontariamente al di fuori dei casi di cui sopra.

Il lavoratore o la lavoratrice devono possedere poi i requisiti previsti per l’indennità di disoccupazione, che ora è la Nuova assicurazione sociale per l'impiego Naspi. Per valutare tutti i requisiti, ecco l'approfondimento sulla Naspi.

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