La stabilizzazione delle collaborazioni dal 1 gennaio 2016
Per i datori di lavoro dall’entrata in vigore dei Decreti del Jobs Act, con l’abrogazione del contratto a progetto e la stretta sulle collaborazioni dal 1 gennaio 2016, si pone il problema di stabilire quale sia il futuro dei collaboratori in azienda. Il Governo Renzi ha fornito una soluzione alle aziende: la stabilizzazione delle collaborazioni dal 1 gennaio 2016. Ma è la strada giusta? Valutiamo con questo approfondimento cosa cambia per i cocopro, cococo e quale è la convenienza di assumere a tempo indeterminato gli ex collaboratori a progetto o gli ex collaboratori coordinati e continuativi. Oppure, in alternativa, in quali casi è possibile ancora stipulare una collaborazione coordinata e continuativa anche nel 2016.
Prima di tutto va detto che con il Decreto Legislativo n. 81 del 2015, contenente la disciplina organica dei contratti di lavoro, sono state riscritte le normative su contratti di lavoro in Italia (part-time, tempo determinato, apprendistato, somministrazione, ecc.), ma soprattutto nel Decreto è stata confermata la centralità del contratto a tempo indeterminato, che all’art. 1 del Decreto viene definita la “forma contrattuale comune” ed infatti tale articolo prevede che “Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”.
Che il Governo Renzi abbia l’obiettivo di rendere il contratto a tempo indeterminato come la forma contrattuale più utilizzata è chiaro non solo leggendo l’art. 1 del D. Lgs. n. 81/2015 ma anche constatando che lo stesso Governo ha previsto nella Legge di Stabilità 2015 l’esonero contributivo fino a 8.060 euro della Legge n. 190/2014. Fino al 31 dicembre 2015 infatti è possibile avere uno sgravio contributivo totale sui contributi previdenziali, fino ad un massimo di 8.060 euro per 3 anni, per le assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato, anche part-time.
Questa premessa sul D. Lgs. n. 81/2015 e sulla centralità del contratto di lavoro a tempo indeteminato è doverosa se si guarda alle norme, che ora affronteremo, che hanno inciso sul futuro del contratto a progetto, delle collaborazioni coordinate e continuative e di conseguenza sul futuro di tutti i collaboratori impiegati nelle aziende.
Subito dopo l’art. 1, nel quale come abbiamo visto si afferma la centralità del contratto a tempo indeterminato, infatti, il D. Lgs. n. 81/2015 all’art. 2 prevede una specifica norma che “colpisce” subito le collaborazioni dal 1 gennaio 2016. E questa norma (Art. 2 Collaborazioni organizzate dal committente) va letta in combinazione con gli art. 52 e 54 che prevedono rispettivamente “il superamento del contratto a progetto” e “la stabilizzazione dei collaboratori coordinati e continuativi anche a progetto e di persone titolari di partita IVA”.
Va subito sottolineato che la prima norma operativa del Decreto in materia di collaborazioni è stata, anzi è, l’art. 54 che contiene la cancellazione del contratto a progetto. L’art. 2 stabilisce invece, per coloro che hanno intenzione di stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa (di fatto il cocopro senza il progetto), una serie di restrizioni importanti, che riducono sensibilmente la platea di lavoratori ai quali può essere fatta una collaborazione. L’art. 54 del decreto infine, non è altro che una soluzione per i datori di lavoro che leggendo gli articoli 52 e 2 del Decreto si rendono conto che devono trasformare il contratto ai vecchi collaboratori in azienda titolari di un contratto a progetto (cocopro) o una collaborazione coordinata e continuativa (cococo). Neanche a dirlo, la stabilizzazione prevista dalla legge nell’art. 54 è una stabilizzazione verso il contratto a tempo indeterminato.
Ma andiamo con ordine affrontando nello specifico le tre norme del D. Lgs. n. 81/2015.
Il superamento del contratto a progetto
L’art. 52 del Decreto Legislativo n. 81/2015, che è in vigore dal 25 giugno 2015, contiene la normativa sul “Superamento del contratto a progetto”. Tale articolo stabilisce che “Le disposizioni di cui agli articoli da 61 a 69-bis del decreto legislativo n. 276 del 2003 sono abrogate e continuano ad applicarsi esclusivamente per la regolazione dei contratti già in atto alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
In sostanza la normativa della Legge Biagi sul contratto a progetto è abrogata a partire dal 25 giugno 2015, data dalla quale non è più consentita la stipula di contratti a progetto. Il decreto stesso prevede che gli articoli del D. Lgs n. 276 del 2003 sul contratto a progetto restano applicabili esclusivamente per regolare i contratti che erano in corso al 24 giugno 2015 e “fino alla loro naturale scadenza contrattuale”.
La scadenza contrattuale nel contratto a progetto è il termina apposto nel contratto stesso. Ma è risaputo che il contratto a progetto si risolve alla realizzazione del progetto. Nel senso che se il progetto si realizza prima della scadenza del termine apposto nel contratto, il contratto stesso si risolve. Questo per confermare che se prima della scadenza (es. un contratto a progetto in scadenza il 31/12/2015) il progetto stesso indicato nel contratto si realizza, è possibile concludere in anticipo la collaborazione. Ed eventualmente passare ad altra tipologia contrattuale, oppure continuare, se ci sono presupposti (descriveremo a breve i parametri di legge dal 1 gennaio 2016), con una collaborazione coordinata e continuativa.
Possibile la proroga del cocopro?
Chiaro questo aspetto, guardando al contrario, si pone il problema di stabilire se dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 81/2015 un contratto a progetto che scade dopo il 25 giugno 2015 può essere prorogato. Ebbene, pur se ci sono pareri contrastanti, è da rilevare il parere favorevole emesso dalla Fondazione studi Consulenti del Lavoro, secondo la quale la proroga del contratto a progetto è consentita, se funzionale alla realizzazione del progetto. In sostanza, se da un lato si può anticipare la conclusione di un contratto a progetto per realizzazione del progetto, dall’altro lato si può prorogare oltre il termine apposto nel contratto, un contratto a progetto perché il progetto apposto nel contratto è da realizzarsi.
Va comunque detto, e lo vedremo, che dal 1 gennaio 2016, tutte le collaborazioni sono sotto il vaglio dei parametri stringenti previsti dall’art. 2 del D. Lgs. n. 81/2015 che ora vediamo. Pertanto il datore di lavoro deve valutare bene se il contratto a progetto in scadenza, o eventualmente da prorogarsi, è genuino, ossia soprattutto se è genuino il progetto apposto nel contratto stesso.
Inoltre va valutato anche se ci sono i presupposti per prorogare un contratto a progetto per mancata realizzazione del progetto stesso, tenendo conto sia del superamento del contratto a progetto disposto dall’art. 52 del D. Lgs. n. 81/2015 che dei paletti inseriti nell’art. 2 relativamente alla collaborazioni organizzate dal committente, che ora vediamo.
Collaborazioni organizzate dal committente
Dopo l’addio al contratto a progetto, per i datori di lavoro che intendono stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa (di fatto il cococo in luogo del cocopro) arriva una norma stringente dallo stesso D. Lgs. n. 81/2015.
Se fino al 31 dicembre 2015 la normativa per valutare la subordinazione, e quindi il vizio nelle collaborazioni, è stata l’art. 2094 del codice civile, dal 1 gennaio 2016, accanto a tale norma del codice civile, si affianca l’art. 2 del D. Lgs. n. 81/2015 che incide sulle collaborazioni organizzate dal committente.
Lavoro subordinato secondo l’art. 2094 del codice civile. Per valutare la genuinità di una collaborazione, quindi del lavoro parasubordinato, è necessario prima di tutto dare uno sguardo all’art. 2094 del codice civile che stabilisce che “È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore”. Quindi laddove c’è eterorganizzazione e dipendenza dall’imprenditore.
Eterorganizzazione. Si tratta della sottoposizione del prestatore alle direttive del datore nell'esecuzione della prestazione concordata nel contratto di lavoro.
Dipendenza. Si tratta dell’eterodirezione, ossia lo svolgimento della prestazione lavorativa in un contesto organizzativo/produttivo altrui (quello del datore di lavoro) ed “in vista di un risultato di cui il titolare dell'organizzazione” (e dei mezzi di produzione).
I tradizionali indici della subordinazione, che rendono una collaborazione di fatto riconducibile al lavoro subordinato, sono pertanto:
- la sottoposizione del lavoratore ai poteri direttivo (ossia lo svolgimento della prestazione sulla base di istruzioni), di controllo (ossia la verifica sull'attività lavorativa svolta e che deve essere svolta) e disciplinare (ossia l'applicazione di sanzioni disciplinari in caso di inadempimento della prestazione lavorativa) esercitati dal datore di lavoro;
- l'inserimento del dipendente nella organizzazione produttiva aziendale; lo svolgimento della prestazione lavorativa attraverso l'utilizzo di strumenti professionali messi a disposizione del datore di lavoro;
- l'insussistenza di un rischio di impresa in capo al dipendente; la retribuzione periodica;
- l'obbligo di comunicazione delle proprie presenze ed assenze dal posto di lavoro;
- l'osservanza di un orario di lavoro;
- la necessità di concordare con il datore di lavoro i periodi per il godimento delle ferie.
Le collaborazioni organizzate dal committente (art. 2 del D. Lgs. 81/2015). Dal 1 gennaio 2016, i parametri del codice civile di cui sopra vanno letti in combinazione con l’art. 2 del D. Lgs. n. 81/2015, che recita: “A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”. Sono quindi introdotti i seguenti requisiti:
Prestazioni di lavoro esclusivamente personali. L’esclusività personale nel condotta va rilevata quando nell’esecuzione della collaborazione sussistono molteplicità di incarichi espletati con impiego prevalemente di attività personale del collaboratore, anche rispetto alla struttura organizzativa del datore.
Prestazioni di lavoro continuative. In questo caso la collaborazione rischia di non essere genuina (e quindi si applica la disciplina del lavoro subordinato), se la prestazione non è occasionale, ossia se si è in presenza di reiterate prestazioni e impegno costante a favore del committente.
Organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. Questo è il parametro più stringente al sussistere del quale alla collaborazione si applica la disciplina del lavoro subordinato. In sostanza se il committente datore di lavoro organizza i tempi e il luogo di lavoro, allora la collaborazione non è genuina. Il mirino è sicuramente puntato su tutte quelle collaborazioni che si svolgono con la prestazione lavorativa resa all’interno dell’azienda, pur se il collaboratore non è sottoposto a vincoli d’orario di lavoro, ma può usufruire della struttura aziendale in fasce orarie.
Questo parametro stabilisce che il collaboratore è inserito nel contesto produttivo e nell’organizzazione aziendale la collaborazione è da considerarsi riconducibile al lavoro subordinato.
Si pone infatti l’accento sulle modalità organizzative adottate dall’azienda, attribuendo le medesime tutele previste per i lavoratori subordinati, anche a quelle forme di collaborazione (con o senza partita iva) che per caratteristiche di tempo e di luogo (e quindi per i profili organizzativi) sono sostanzialmente assimilabili al lavoro subordinato.
La deroga. L’art. 2 del Decreto Legislativo n. 81 del 2015 contiene anche un comma 2 che recita testualmente: “La disposizione di cui al comma 1 (quindi la norma sulle collaborazioni organizzate dal committente alle quali si applica la disciplina del lavoro subordinato) non trova applicazione con riferimento:
a) alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;
b) alle collaborazioni prestate nell'esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali;
c) alle attività prestate nell'esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;
d) alle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I., come individuati e disciplinati dall'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
Ciò significa che se il contratto collettivo nazionale, il CCNL, prevede uno specifico accordo sulle collaborazioni, la norma stringente dell’art. 2, non si applica. E’ il caso ad esempio del CCNL sulle collaborazioni nel settore dei call center. Va precisato che la norma parla di collaborazioni previste dai CCNL nazionali, pertanto non è possibile derogare all’art. 2 del D. Lgs. n. 81/2015 con un contratto aziendale o di prossimità.
La certificazione della collaborazione. Il comma 3 dell’art. 2 del D. Lgs n. 81/2015 consente la certificazione della collaborazione, che può essere una strada utile per i datori di lavoro che sono alle prese con collaborazioni genuine e che quindi possono essere portate avanti anche dal 1 gennaio 2016, nonostante i parametri stringenti dell’art. 2, comma 1. Il comma 3 dell’art. 2 stabilisce che “Le parti possono richiedere alle commissioni di cui all'articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, la certificazione dell'assenza dei requisiti di cui al comma 1 (prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro).
Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.
Gli effetti tipici della certificazione, tra i quali l’impossibilità per i terzi (Enti quali l’Inps) di contestare direttamente la qualificazione del rapporto (art. 79 e 80 d.lgs. n. 276/2003). Il lavoratore può invece rivendicare innanzi al giudice le eventuali proprie pretese relativamente alla qualificazione del rapporto di lavoro.
Cosa significa “si applica la disciplina del lavoro subordinato”?
Nel concludere l’analisi dell’art. 2 del D. Lgs. n. 81/2015 in materia di collaborazioni organizzate dal committente, è bene chiedersi, in caso di una collaborazione non genuina, dal 1 gennaio 2016 cosa rischia il datore di lavoro. L’art. 2 infatti stabilisce che se si tratta di prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro, “si applica la disciplina del lavoro subordinato”. Ma questo in termini pratici cosa significa.
Il Ministero del Lavoro al Forum Lavoro 2015 organizzato dai Consulenti del Lavoro, ad apposita domanda “Con riferimento all’art. 2 del D.lgs. n. 81/2015 cosa si intende con l’espressione “si applica la disciplina del rapporto subordinato”? non vi è quindi una vera e propria trasformazione del rapporto in corso?” la risposta è: “Non vi è una vera e propria riqualificazione del rapporto ma, in presenza dei requisiti di legge (“collaborazioni che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”) la semplice applicazione degli istituti che caratterizzano il rapporto di lavoro subordinato”.
Quindi alla collaborazione pur restando fino alla sua scadenza (termine apposto nel contratto) una collaborazione, l’ispettore del lavoro applica la disciplina del lavoro subordinato quindi richiedendo tutte le differenze retributive in favore del lavoratore in termini di ferie, permessi, tredicesima, eventuale quattordicesima, le eventuali differenze retributive tra il lordo della collaborazione e la retribuzione spettante secondo il livello del CCNL per un rapporto di lavoro subordinato, nonché le differenze in materia contributiva tra l’aliquota della Gestione Separata e l’aliquota contributiva prevista per il settore di inquadramento dell’azienda.
La stabilizzazione dei collaboratori
La chiara stretta sulle collaborazioni, dalla cancellazione del contratto a progetto a questa norma appena descritta sull’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato alle collaborazioni coordinate e continuative, spinge le aziende a scegliere il contratto a tempo indeterminato, anche alla luce dell’esonero contributivo della Legge 190/2014, pur se quest’ultimo esonero verrà ridotto sensibilmente con la Legge di Stabilità 2016.
A supporto delle aziende, come dicevamo, il Decreto prevede all’art. 54 una stabilizzazione agevolata delle collaborazioni.
L’art. 54 prevede che “a decorrere dal 1° gennaio 2016, i datori di lavoro privati che procedano alla assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di soggetti già parti di contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto e di soggetti titolari di partita IVA con cui abbiano intrattenuto rapporti di lavoro autonomo, godono dei seguenti effetti:
L'assunzione a tempo indeterminato comporta l'estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all'erronea qualificazione del rapporto di lavoro, fatti salvi gli illeciti accertati a seguito di accessi ispettivi effettuati in data antecedente alla assunzione”.
Lo stesso articolo 54 pone due condizioni:
a) che i lavoratori interessati alle assunzioni sottoscrivano, con riferimento a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro, atti di conciliazione in una delle sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, del codice civile, o avanti alle commissioni di certificazione;
b) che nei dodici mesi successivi alle assunzioni, i datori di lavoro non recedano dal rapporto di lavoro, salvo che per giusta causa ovvero per giustificato motivo soggettivo.
Quindi è possibile dal 1 gennaio 2016 effettuare un operazione di “trasformazione” in contratto a tempo indeterminato delle collaborazioni, che si ritengono non genuine alla luce dei parametri sopra descritti di cui all’art. 2 del D. Lgs. n. 81/2015.
L’operazione comprende la stipula di un atto di conciliazione che va effettuato in una delle seguenti sedi:
- davanti al giudice;
- davanti alla Commissione provinciale di Conciliazione;
- in sede sindacale;
- Oppure innanzi alle commissioni di certificazione, ivi compreso quella presso gli ordini provinciali dei Consulenti del Lavoro.
La permanenza in azienda per almeno un anno. Il datore di lavoro che stipula tale accordo deve essere consapevole che gli effetti giuridici positivi di tale norma (estinzione degli illeciti) sono condizionati dalla permanenza del lavoratore in azienda per almeno un anno, salvo che non intervenga la necessità di operare un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo (quindi è escluso il licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per motivi economici).
Un chiarimento, infine, sulla dicitura “estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all'erronea qualificazione del rapporto di lavoro”. La norma sembra far riferimento a tutte le differenze retributive maturate dal lavoratore se eventualmente la collaborazione fosse stata ritenuta un rapporto di lavoro subordinato. Sembra far riferimento altresì anche alle differenze in termini di contributi previdenziali a quel punto omessi nonché in termini di maggiori imposte dovute per la riqualificazione del rapporto di lavoro. C’è da ipotizzare, infine, che gli effetti di tale estinzione riguardino tutti gli anni pregressi nel limite della prescrizione (5 anni).
In conclusione, per il datore di lavoro va quindi fatta un apposita analisi di convenienza, economica ma anche normativa e legale. Fino al 31 dicembre 2015 c’è il maggior sconto rappresentato dall’esonero contributivo di 8.060 euro per un triennio previsto dalla Legge n. 190/2014, ma in quel caso le collaborazioni non possono essere stabilizzate applicando l’estinzione degli illeciti amministrativi, fiscali e contributivi prevista dal 1 gennaio 2016. A partire da tale data, il datore può approfittare dell’assist di legge per stabilizzare i collaboratori, escludendo gli illeciti pregressi, ma accontentandosi dell’esonero contributivo del 40% dei contributi (e non più del 100%) fino ad un massimo di 3.250 per due anni.