Permessi legge 104: i tre giorni spettano anche ai parenti entro 3° grado
I parenti e affini entro il terzo grado hanno diritto ai permessi mensili della legge 104, ossia i tre giorni di permesso retribuito ogni mese per poter assistere una persone handicappata in situazione di gravità. Il Ministero ha chiarito che per poter fruire dei permessi, il parente deve dimostrare che sussistono le condizioni previste dalla norma senza dover dimostrare che parenti più stretti, ossia di primo o secondo grado, non sono in grado di assistere la persona con handicap.
I requisiti e condizioni per poter richiedere i permessi retribuiti della legge 104/1992 previste sono l’essere lavoratori dipendenti e assicurati per la maternità presso l’Inps e che la persona con handicap sia in situazione di disabilità grave e non sia ricoverata a tempo pieno.
Il Ministero del Lavoro con l’interpello n. 19 del 26 giugno 2014 ha risposto ad un quesito riguardante l’articolo 33 della Legge 104 del 1992, come modificato dall’art. 24, L. n. 183/2010, e riguardante il diritto alla fruizione di tre giorni di permesso mensile per l’assistenza di persona con handicap in situazione di gravità – parenti o affini entro il terzo grado.
I parenti di 1° grado sono i genitori e i figli. Gli affini di primo grado sono i suoceri, i generi e le nuore. I parenti di 2° grado sono i nonni, i nipoti (figli dei figli), i fratelli, le sorelle e i cognati.
I parenti di terzo grado sono i bisnonni, i bisnipoti (figli dei nipoti da parte dei figli), gli zii (fratelli e sorelle dei genitori) e i nipoti (figli di fratelli e sorelle).
La domanda era: se l’estensione del diritto ai 3 giorni di permesso retribuito in busta paga al parente o affine entro il terzo grado prevista dalla disposizione sopra citata possa prescindere dalla eventuale presenza nella famiglia dell’assistito di parenti o affini di primo e secondo grado che siano nelle condizioni di assisterlo, dovendo dunque essere esclusivamente comprovata una delle particolari condizioni del coniuge e/o dei genitori della persona in situazione di gravità richieste dalla norma stessa.
L’art. 33 comma 3 prevede che “a condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa”.
Il Ministero risponde così: “Da quanto sopra si evince che sono legittimati a fruire dei permessi per l’assistenza a persona in situazione di gravità prioritariamente il coniuge e il parente o affine entro il secondo grado. Nei casi in cui i genitori o il coniuge della persona da assistere si trovino in una delle condizioni individuate dal Legislatore (abbiano compiuto i 65 anni di età, siano affetti da patologie invalidanti, siano deceduti o mancanti) la fruizione dei permessi è possibile da parte di un parente o affine entro il terzo grado”.
E precisa che “può fruire dei permessi in argomento il parente o affine entro il terzo grado anche qualora le condizioni sopra descritte si riferiscano ad uno solo dei soggetti menzionati dalla norma”.
Conclude il Ministero: “Inoltre, una diversa interpretazione – cioè consentire l’estensione al terzo grado solo quando tutti i soggetti prioritariamente interessati (coniuge, parente o affine entro il secondo grado) si trovino nella impossibilità di assistere il disabile – finirebbe per restringere fortemente la platea dei soggetti interessati.
Alla luce delle osservazioni svolte, si ritiene pertanto che al fine di consentire la fruizione dei permessi ex art. 33, comma 3, L. n. 104/1992 ai parenti o affini entro il terzo grado debba essere dimostrata esclusivamente la circostanza che il coniuge e/o i genitori della persona con handicap grave si trovino in una delle specifiche condizioni stabilite dalla medesima norma, a nulla rilevando invece, in quanto non richiesto, il riscontro della presenza nell’ambito familiare di parenti o affini di primo e di secondo grado”.