Scattano i controlli sulle partite iva
A partire dal 1 gennaio 2015 diventa operativa la norma prevista dalla Riforma Fornero contro le false partite IVA. Scattano i i controlli sulle partite IVA da parte degli ispettori del lavoro. Destinatari sono i datori di lavoro committenti che hanno beneficiato delle prestazioni professionali di un lavoratore autonomo con partita IVA per più di 8 mesi all’anno nel biennio 2013-2014, e in regime di monocommittenza, oppure se hanno destinato in azienda una postazione fissa al titolare di partita IVA che gli rilascia regolare fattura. Il rischio è la trasformazione del rapporto in una collaborazione coordinata e continuativa, imposta dagli ispettori in forza di legge, con tanto di obbligo di versare i contributi previdenziali pregressi.
La norma prevista dalla Riforma Fornero è stata introdotta per contrastare il fenomeno delle false partite IVA ossia di quei lavoratori che lavorano sostanzialmente alle dipendenze, o comunque con una collaborazione fissa, coordinata e continuativa nel tempo, in favore di un solo datore di lavoro committente, verso il quale rilasciano fatture in qualità di titolari di partita IVA, pur essendo di fatto lavoratori dell’azienda.
Contro questi falsi o sospetti lavoratori autonomi, sostanzialmente obbligati ad esserlo, e soprattutto contro i committenti è stata previsto il lancio di attività ispettive di controllo al fine di contrastarne l’abuso. E’ quindi possibile a partire dal 1 gennaio 2015, per i datori di lavoro committenti, subire un’ispezione riguardante le prestazioni rese dai titolari di partita IVA nei loro confronti negli anni 2013 e 2014. O comunque nel biennio precedente.
Se sussistono i requisiti previsti dalla Riforma Fornero, che ora vediamo, scattano le conseguenze previste dalla norma, dalla trasformazione del rapporto in un contratto di collaborazione coordinata e continuativa fino alla possibile trasformazione in un contratto a tempo indeterminato.
Dal tenore della norma si capisce subito che tra gli esclusi dalla norma ci sono i professionisti, ossia le prestazioni professionali rese da professionisti iscritti ad un Albo professionale (es. Avvocati, Commercialisti, Consulenti del Lavoro, Ingegneri, ecc.). Ma sono altresì esclusi, come vedremo, i titolari di partita IVA che hanno avuto un fatturato annuale superiore a 18.000 euro. Esclusi anche coloro che nei confronti del committente effettuano prestazioni connotate da “competenze teoriche di grado elevato o capacità tecniche elevate”. Spiegheremo il perché in seguito.
La norma, per consentire agli ispettori di operare una presunzione contro la quale il datore di lavoro committente deve fornire prova contraria, prevede dei requisiti che devono essersi perfezionati nel biennio 2013-2014. Vediamoli.
I requisiti che fanno condannare il datore di lavoro committente
La riforma del lavoro dice che le prestazioni lavorative rese da persona titolare di posizione fiscale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto (titolari di partita Iva) sono considerate, salvo che sia fornita prova contraria da parte del committente (ossia il datore di lavoro), rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (contratto di lavoro a progetto), qualora ricorrano almeno due dei seguenti tre presupposti:
- che la collaborazione abbia una durata complessivamente superiore a otto mesi annui per 2 anni consecutivi (come modificato dalla successiva legge n. 134 del 2012. La riforma del Lavoro aveva previsto otto mesi nell'arco dell'anno solare). Con 8 mesi si intende almeno 241 giorni all’anno;
- che il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d'imputazione di interessi, costituisca più dell'80 per cento dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore nell'arco di due anni solari consecutivi (sempre per effetto delle modifiche della legge n. 134 del 2012. La riforma aveva previsto un solo anno solare);
- che il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.
Se nel biennio 2013 e 2014, si sono verificati due dei tre requisiti, allora scatta la presunzione di collaborazione e quindi il datore di lavoro committente subisce la presunzione, contro la quale dovrà difendersi dimostrando che non si tratta di una collaborazione coordinata e continuativa ma di un contratto d’opera, ai sensi dell’art. 2222 del codice civile, con un titolare di partita IVA e quindi lavoratore autonomo.
Gli 8 mesi saranno accertati attraverso i periodi di attività desumibili da elementi documentali (es. lettere di incarico o fatture in cui è indicato l’arco temporale di riferimento della prestazione professionale). Ma anche tramite testimonianze durante la verifica ispettiva.
L’80% del fatturato va verificato invece solo con i redditi derivanti da prestazioni di lavoro autonomo, quindi l’ammontare totale delle fatture emesse dal titolare di partita Iva nell’anno, aldilà se le fatture sono incassate o no. Non sono da considerarsi altri redditi per lavoro subordinato.
Riguardo alla postazione fissa, che è uno dei tre requisiti, si intende una postazione stabilmente assegnata al lavoratore, anche se non esclusiva, nei locali del committente. Per maggiori informazioni vediamo l’approfondimento sui requisiti della presunzione di collaborazione.
Quando la presunzione non opera
Prima di tutto va subito precisato che la norma non opera se le prestazioni di lavoro autonomo sono state rese dai un professionista iscritto ad un ordine professionale, ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati. L’elenco degli ordini professionali è nell’allegato 1 del D.M. 20 dicembre 2012. Si tratta tra gli altri degli ordini professionali relativi alle seguenti figure professionali: Notariato, Ingegneri, Chimici, Avvocati, Architetti, Medici, Odontoiatri, Veterinari, Farmacisti, Giornalisti, Geologi, Biologi, Consulenti del Lavoro, Psicologi, Dottori Commercialisti, ecc.
Inoltre, la presunzione di un rapporto di lavoro parasubordinato a progetto o, anche, subordinato non opera (ossia c’è l’esclusione dal campo di applicazione della norma) qualora la prestazione lavorativa presenti i seguenti requisiti:
- sia connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell'esercizio concreto di attività;
- sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 2 agosto 1990, n. 233 (ossia la Gestione Commercianti). Ciò significa che se il titolare di partita IVA ha un reddito superiore a 18.663 euro, la presunzione non opera.
Quali sono le competenze teoriche di grado elevato o capacità tecnico-pratiche. Il Ministero ritiene di grado elevato delle competenze e le rilevanti esperienze che conferiscono professionalità al collaboratore, possono essere comprovate attraverso:
- il possesso di un titolo rilasciato al termine del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione (sistema dei licei e sistema dell’istruzione e formazione professionale);
- il possesso di un titolo universitario (laurea, dottorato di ricerca, master post laurea);
- il possesso di qualifiche o diplomi conseguiti al termine di una qualsiasi tipologia di apprendistato (apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale; apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere; apprendistato di alta formazione e ricerca);
- il possesso di una qualifica o specializzazione attribuita da un datore di lavoro in forza di un rapporto di lavoro subordinato e in applicazione del contratto collettivo di riferimento. In tale ultima ipotesi si ritiene tuttavia che solo una qualifica o specializzazione posseduta almeno 10 anni possa garantire capacità tecnico-pratiche derivanti da “rilevanti esperienze”);
- lo svolgimento dell’attività autonoma in questione, in via esclusiva o prevalente sotto il profilo reddituale, da almeno 10 anni.
In ogni caso poter essere considerati utili ai fini dell’esclusione, i certificati, i diplomi o i titoli devono evidentemente essere pertinenti alla attività svolta dal collaboratore.
La trasformazione in un contratto a progetto. O in un contratto a tempo indeterminato
Se le attività ispettive dimostrano la monocommittenza ed i requisiti previsti dalla norma, e il committente non riesce a dimostrare il contrario, ossia la presenza di un puro contratto d’opera, scatta la trasformazione del rapporto in un contratto di collaborazione coordinata e continuativa. Pertanto, dovrà versare all’Inps i contributi previdenziali alla Gestione Separata per tutta la durata del rapporto di lavoro.
Il lavoratore titolare di partita Iva non è tenuto più a versare la contribuzione interamente a proprio carico. Ricade invece sul datore di lavoro l’onere del versamento di due terzi, come previsto dalla normativa riguardante i contributi da versare sui contratti a progetto alla Gestione Separata dell’Inps. Si ricorda che l’aliquota in vigore nel 2013 era del 27,72% e nel 2014 era del 28,72%.
La possibile trasformazione in un contratto a tempo indeterminato. Se il rapporto di lavoro tra le parti diventa contratto a progetto trova applicazione anche la disposizione contenuta nell’articolo 1 comma 24 della riforma che dispone riguardo ad una interpretazione autentica dell’art. 69 comma 1 del Decreto Legislativo n. 276 del 2003. Cioè il rapporto di lavoro può essere considerato di natura subordinata e non parasubordinata con la conseguente trasformazione in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.