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La Cassazione: articolo 18 e licenziamenti anche nel pubblico impiego

L’articolo 18 dello Statuto dei Lavoraratori, la norma sui licenziamenti e le tutele crescenti modificata da uno dei decreti Jobs Act, si applica anche nel pubblico impiego. Lo dice la Cassazione in una recente sentenza, dove chiarisce però che l’origine dell’applicazione è in una norma del 2001. Vediamo quali sono gli effetti.
A cura di Antonio Barbato
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licenziamento dipendenti pubblici

L’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori si applica anche per i licenziamenti nel pubblico impiego. La Cassazione con una sentenza ha quindi confermato che si applica anche agli statali il nuovo articolo 18, la normativa sui licenziamenti, come modificato dai Decreti del Jobs Act.

Ciò significa che i dipendenti pubblici, se licenziati, hanno diritto al reintegro nel posto di lavoro solo in casi eccezionali (se il licenziamento viene considerato discriminatorio o in alcuni casi di licenziamenti disciplinari). E che quindi l’amministrazione pubblica dalla quale dipendono può sostanzialmente licenziare per giustificato motivo o per giusta causa.

Ebbene, in questi mesi, il Governo Renzi ha più volte rassicurato i dipendenti pubblici sulla circostanza che il Decreto Legislativo n. 23 del marzo 2015 in materia di tutele crescenti e nuovo articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori si applicasse solo nel settore privato.

La Cassazione in recente sentenza (qui il testo integrale) spiega però l’applicazione dello Statuto dei Lavoratori, Legge n. 300 del 1970, e del relativo articolo 18 sui licenziamenti, ai dipendenti pubblici, ha origine diverse dal Jobs Act. In sostanza non è dall’emanazione dei decreti del Jobs Act che l’art. 18 si applica ai dipendenti pubblici.

Si legge nella sentenza che il “tenore equivocabile dell’art. 51 del Decreto Legislativo n. 151 del 2001 prevede l’applicazione anche al pubblico impiego cosiddetto contrattualizzato della legge n. 300 del 1970 e successive modificazioni e integrazioni”. Pertanto la Cassazione collega l’applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori già ad una norma del 2001.

Articolo 51 – Disciplina del rapporto di lavoro, comma 2: La legge 20 maggio 1970, n.300, e successive modificazioni ed integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti.

Infatti, si legge nella sentenza: “Dunque, è innegabile che il nuovo testo dell’art. 18 dell’art. 18 legge 300/70, come novellato dall’art. 1 della legge 92/2012 (Riforma Fornero), trovi applicazione ratione temporis al licenziamento per cui è processo e ciò a prescindere dalle iniziativa normative di armonizzazione previste dalla cosiddetta Legge Fornero”.

In sostanza l’applicazione dell’articolo 18 ai dipendenti pubblici era già prevista da tempo. Non solo, la Cassazione ci tiene a ribadire che non contano tutti gli sforzi del Governo per modificare la tutela sui licenziamenti escludendo dall’applicazione i dipendenti pubblici.

E’ da precisare che la Cassazione fa riferimento ai dipendenti pubblici contrattualizzati, quindi tutti i dipendenti statali e locali, ma esclusi i professori, i magistrati ed i militari.

Nel Jobs Act va detto, manca un esplicita esclusione dei dipendenti pubblici dalla disciplina dei licenziamenti. Il Ministro Madia continua a sostenere che l’articolo 18 non si applica al pubblico impiego, ma ciò è smentito dalla giurisprudenza. Lo stesso Ministro della Pubblica amministrazione promette però che nel testo unico sul pubblico impiego ci sarà un chiarimento esplicito riguardo all’applicazione delle tutele crescenti ai dipendenti pubblici.

E su questo punto sorge un altro problema che riguarda la parità di trattamento dei lavoratori del settore privato e del settore pubblico. Si potrebbero infatti creare dei profili anticostituzionali laddove una norma crei una discriminazione tra lavoratori pubblici e privati, con l’intervento della Corte Costituzionale.

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