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Il nuovo articolo 18 e la normativa sui licenziamenti dopo il Jobs Act

Reintegrazione nel posto di lavoro spettante solo per il licenziamento discriminatorio e alcuni casi di licenziamenti disciplinari. Il nuovo testo dell’articolo 18 post emendamento al Jobs Act del Governo Renzi, prevede solo un indennizzo a titolo di risarcimento per i lavoratori per i licenziamento economico: è addio al diritto al reintegro e alla tutela reale dello Statuto dei Lavoratori. Modificata tutta la normativa sui licenziamenti, vediamo le novità più importanti.
A cura di Antonio Barbato
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articolo 18 dopo Jobs Act

Siamo giunti alla fase finale che porterà al definitivo cambiamento dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e di conseguenza della normativa sui licenziamenti. L’emendamento al Jobs Act del Governo Renzi, approvato in commissione lavoro alla Camera va ad incidere nuovamente sulla difesa dei lavoratori contro il licenziamento per motivi economici, il licenziamento disciplinare e collega il tutto al nuovo contratto a tutele crescenti. Gli indennizzi economici possono essere ottenuti, ma il reintegro nel posto di lavoro resta solo per i licenziamenti discriminatori dichiarati nulli dal Giudice e per alcuni casi di licenziamento disciplinare che saranno specificamente definiti da appositi decreti.

Dopo le modifiche della Riforma Fornero era stato fortemente limitato il diritto al reintegro, ma con il Jobs Act si va verso la cancellazione della tutela reale dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Sostanzialmente per quasi tutte le tipologie di licenziamento, anche se dichiarati illegittimi, addirittura anche per insussistenza del fatto, il datore di lavoro rischia di dover riconoscere un indennizzo economico al lavoratore, ma non rischia più la condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro, che era il diritto fondamentale del lavoratore che ha reso storicamente difeso dai lavoratori e dai sindacati l’articolo 18 e la sua tutela reale.

Vediamo il nuovo testo dell'articolo 18 e cosa cambia con gli emendamenti al Jobs Act riguardo la normativa sui licenziamenti.

Reintegra solo per i licenziamento discriminatorio

Della vecchia normativa dell’articolo 18, dopo le modifiche della Riforma Fornero e del Jobs Act, restano in piedi solo le ipotesi di reintegrazione per licenziamento dichiarato discriminatorio e quindi nullo. Si tratta delle ipotesi più gravi di licenziamento illegittimo. Ossia quando il lavoratore riesce a dimostrare che il licenziamento è di tipo discriminatorio quindi collegato a idee, affiliazioni, genere, lingua, razza, stato di salute o provenienza del dipendente. In questo caso, sempre che il lavoratore lo dimostri, il licenziamento è nullo e resta il diritto alla reintegrazione. In sostanza nulla cambia rispetto al passato.

Nei licenziamenti dichiarati dal Giudice come discriminatori, la tutela reale dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori viene applicata in ogni caso. Anche nelle aziende con un numero di dipendenti inferiore a 15, per le quali normalmente scatta la tutela obbligatoria.

Nei casi di licenziamento discriminatorio oltre alla reintegrazione il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno e al pagamento della retribuzione perduta dalla data del licenziamento fino alla data di reintegrazione. E in ogni caso al almeno 5 mensilità di risarcimento.

Oltre al licenziamento discriminatorio, restano in piedi altre ipotesi di diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, come il licenziamento intimato in concomitanza del matrimonio ad esempio, o in altre ipotesi di divieto di licenziamento per disposizioni legislative. Per maggiori informazioni vediamo quando si ha diritto alla reintegrazione.

I cambiamenti derivanti dal Jobs Act sono sulle altre ipotesi di licenziamento, quelle largamente diffuse, ossia i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo o soggettivo, o i licenziamenti per giusta causa. Vediamo in questi casi quali sono le novità dopo l’approvazione degli emendamenti del Jobs Act.

Licenziamento economico: addio alla reintegrazione

Con l’introduzione della Legge Fornero è stato previsto il licenziamento per motivi economici, ossia il licenziamento per giustificato motivo oggettivo per il quale veniva riconosciuto il solo indennizzo al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, senza quindi reintegrazione nel posto di lavoro.

Quella riforma Fornero aveva già limitato il reintegro al solo caso in cui il giudice accertasse l’illegittimità del licenziamento economico per insussistenza del fatto posto dal datore di lavoro a base del licenziamento. In quel caso scattava quindi la tutela speciale della reintegrazione nel posto di lavoro con risarcimento del danno. Mentre aveva limitato al solo indennizzo economico senza reintegra, il licenziamento per motivi economici che fosse intimato senza che ricorressero gli estremi del giustificato motivo, diversamente dalla totale insussistenza del fatto.

Ma l’emendamento approvato al Jobs Act modifica anche questo. Il Giudice infatti anche nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per motivi economici dichiarato illegittimo per insussistenza del fatto non potrà più disporre la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore, ma potrà disporre solo un indennizzo economico certo a favore del lavoratore il cui importo  è crescente con l’anzianità di servizio.

In sostanza nel giro di due anni si è passati dalla reintegrazione nel posto di lavoro, in caso di applicazione della tutela reale (aziende con più di 15 dipendenti) spettante per  tutti i licenziamenti per motivo oggettivo dichiarato illegittimo, alla cancellazione della reintegrazione per tutti i licenziamenti di questo tipo, anche quelli per i quali il giudice dichiara insussistente il fatto (ossia assenza del giustificato motivo) e non solo quando mancano gli estremi del giustificato motivo oggettivo (non ci sono le motivazioni economiche.

Al lavoratore , d’ora in poi, non spetta che un indennizzo economico che va da 12 a 24 mensilità riconosciute dal Giudice.

Licenziamento disciplinare: reintegro solo in alcuni casi

Per i licenziamenti per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, ossia quando c’è la rottura del rapporto di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore tale da comportare una giusta causa di licenziamento, oppure c’è una condotta del lavoratore, che impedisce la prosecuzione del rapporto di lavoro, e che per la quale sussiste un giustificato motivo soggettivo di licenziamento, c’è una limitazione del diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro solo per alcune “specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato”. Queste fattispecie saranno poi stabilite da appositi decreti.

In sostanza il Governo Renzi interviene riducendo ancora di più la possibilità di reintegro, laddove la Riforma Fornero aveva già limitato i casi. Laddove sussiste il fatto a base del licenziamento, ma il licenziamento è dichiarato illegittimo, il giudice poteva condannare il datore di lavoro, con le modifiche imposte dalla Legge Fornero, solo al pagamento di un’indennità risarcitoria, che non è superiore alle 12 mensilità.

Termini per impugnare i licenziamenti

L’emendamento al Jobs Act stabilisce solo che saranno previsti “termini certi” per l’impugnazione del licenziamento. Quest’azione, l’impugnativa di licenziamento, è alla base di qualsiasi reazione del lavoratore al licenziamento subito. Senza la lettera con la quale si impugna il licenziamento, anche quello orale, non si può ottenere una condanna del datore di lavoro.

La riforma Fornero è già intervenuta sull’iter per impugnare un licenziamento. Deve essere inviata una lettera di impugnazione del licenziamento, da parte del lavoratore, entro 60 giorni dal licenziamento e più precisamente dalla data di comunicazione da parte del datore di lavoro. Poi il lavoratore ha 180 giorni, quindi 6 mesi, dalla data di impugnazione del licenziamento come tempo per intraprendere l’azione legale. Prima della riforma Fornero erano 270 i giorni a disposizione.

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