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Infortunio in itinere in bicicletta: l’indennizzo Inail ora spetta sempre

La Legge di Stabilità 2016 ha sancito un importante novità: per l’infortunio in itinere occorso in bicicletta spetta sempre l’indennizzo Inail. Cosa fare? Per ottenere il risarcimento è necessario però che ricorrano tutti i presupposti della legge. L’Inail li ha riepilogati in una circolare, vediamola.
A cura di Antonio Barbato
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infortunio in bicicletta andando a lavoro

La Legge di Stabilità 2016 ha sancito un importante principio riguardante il riconoscimento dell’indennizzo Inail per l’infortunio in itinere occorso in bicicletta andando a lavoro. E’ stato sancito espressamente che, a prescindere dal tratto stradale in cui l’evento si verifica, l’infortunio in itinere occorso a bordo di un velocipede deve essere, al ricorrere di tutti i presupposti stabiliti dalla legge per la generalità degli infortuni in itinere, sempre ammesso all’indennizzo.

L’Inail con la circolare n. 14 del 25 marzo 2016 ha pubblicato le “Linee guida per la trattazione dei casi di infortuni in itinere. Utilizzo del velocipede”, proprio per aggiornare la propria posizione dopo questo importante intervento normativo.

Cosa prevede la Legge di Stabilità 2016 sull’infortunio in bicicletta. L’art. 5, commi 4 e 5, della legge 221/2015 prevede l’inserimento, agli articoli 2 e 210 del D.P.R. n.  1124 del 1965, del seguente periodo: “L’uso del velocipede, come definito ai sensi dell’art. 50 del D. Lgs. 30 aprile 1992, n.285 e successive modificazioni deve intendersi sempre necessitato”.

In altre parole, viene considerato come necessario l’uso della bicicletta e quindi l’infortunio in itinere occorso in bicicletta andando a lavoro (tragitto casa-lavoro) è da indennizzare. Vediamo prima di tutto quali sono i velocipedi a cui si riferisce la legge e cosa significa infortunio in itinere.

Quali sono i velocipedi:

“I velocipedi sono i veicoli con due ruote o più ruote funzionanti a propulsione esclusivamente muscolare, per mezzo di pedali o di analoghi dispositivi, azionati dalle persone che si trovano sul veicolo; sono altresì considerati velocipedi le biciclette a pedalata assistita, dotate di un motore ausiliario elettrico avente potenza nominale continua massima di 0,25 KW la cui alimentazione è progressivamente ridotta ed infine interrotta quando il veicolo raggiunge i 25 km/h o prima se il ciclista smette di pedalare. I velocipedi non possono superare 1,30 m di larghezza, 3 m di lunghezza e 2,20 m di altezza”.

L’infortunio in itinere è quell’infortunio che capita al lavoratore durante il “normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro”.

La nuova normativa dell’Inail. Con la circolare Inail n. 14 del 25 marzo 2016 viene confermato dall’Istituto che dopo gli interventi del legislatore nella Legge di Stabilità 2016 è stato superato tutto quel impianto di interpretazione della norma che l’Inail stessa considerava per indennizzare o meno l’infortunio in itinere in bicicletta. La normativa attuale prevede, come già detto, che “a prescindere dal tratto stradale in cui l’evento si verifica, l’infortunio in itinere occorso a bordo di un velocipede deve essere, al ricorrere di tutti i presupposti stabiliti dalla legge per la generalità degli infortuni in itinere, sempre ammesso all’indennizzo”.

L’Inail nella circolare ricorda anche quali erano i criteri interpretativi sugli infortuni sulla base dei quali l’istituto indennizzava gli infortuni in bicicletta:

Con riferimento all’infortunio in itinere occorso facendo uso del velocipede, l’Inail “considerata la sempre maggiore attenzione a livello ambientale e social orientata a favore di una mobilità sostenibile che annovera tra le sue forme l’uso della bicicletta […]”, aveva già impartito istruzioni disponendo “[…] che la valutazione sul carattere “necessitato” dell’uso di tale mezzo di locomozione, per assenza o insufficienza dei mezzi pubblici di trasporto e per la non percorribilità a piedi del tragitto, considerata la distanza tra l’abitazione ed il luogo di lavoro, costituisse discrimine ai fini dell’indennizzabilità soltanto quando l’evento lesivo si fosse verificato nel percorrere una strada aperta al traffico di veicoli a motore e non invece quando tale evento si fosse verificato su pista ciclabile o zona interdetta al traffico”.

In buona sostanza, sulla base di un’interpretazione estensiva dell’art. 12 del D. Lgs.38/2000, l’Istituto aveva stabilito che l’infortunio occorso su strada aperta al traffico di veicoli a motore dovesse essere indennizzato solo “[…] in presenza delle condizioni necessarie per rendere necessitato l’uso della bicicletta, mentre “[…] dalla sussistenza di dette condizioni, si potesse prescindere qualora l’infortunio si fosse verificato in un tratto di percorso protetto”.

L’Inail ci tiene a precisare anche quanto segue: “Nel ribadire che le disposizioni sin qui impartite in materia di infortunio in itinere devono continuare ad essere osservate in termini generali anche con riferimento all’uso del velocipede, si conferma che, per quanto riguarda gli infortuni occorsi facendo uso di tutte le altre tipologie di mezzi privati, nulla cambia anche con riferimento alla valutazione relativa al carattere necessitato del mezzo di trasporto privato”.

La normativa sull’infortunio in itinere

E’ bene ricordare quali sono gli aspetti fondamentali che qualificano l’infortunio in itinere. Vediamoli.

In riferimento alla disciplina giuridica dell’infortunio in itinere, l’art. 12 D. Lgs. 38/2000, come già più volte citato, sancisce il seguente principio: “l’assicurazione infortunistica opera nell’ipotesi di infortunio occorso a lavoratore assicurato durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro”.

Cosa significa “Normalità del percorso”. Innanzitutto, va ribadito il concetto di normalità del percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro che deve essere affrontato per esigenze e finalità lavorative e, ovviamente, in orari confacenti con quelli lavorativi in modo tale che il lavoratore non abbia possibilità di una scelta diversa, né in ordine al tragitto, né in ordine all’orario (È questo l’elemento aggiuntivo e qualificante, sempre necessario per poter distinguere la posizione del lavoratore rispetto a quella degli altri utenti della strada, il quid pluris che, ponendo il lavoratore in rapporto di connessione funzionale con l’attività lavorativa crea un rischio diverso da quello cui è esposto chiunque per la semplice attività di spostamento spaziale).

Il percorso da seguire deve essere quello normalmente compiuto dal lavoratore, anche se diverso da quello oggettivamente più breve, purché giustificato dalla concreta situazione della viabilità (es. traffico più scorrevole rispetto a quello del percorso più breve ecc.).

A titolo di esempio, se l’infortunio occorso a bordo di velocipede si verifica su pista ciclabile per accedere alla quale il lavoratore abbia affrontato un percorso più lungo di quello normale nei termini surriferiti, l’evento dovrà essere indennizzato, purché, ovviamente, detto percorso sia stato affrontato per esigenze e finalità lavorative e in orari congrui rispetto a quelli lavorativi.

Interruzioni o deviazioni del percorso. Anche nell’ipotesi di infortunio occorso a bordo del velocipede, la tutela assicurativa non opera nel caso di interruzioni e deviazioni del percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro che siano del tutto indipendenti dal lavoro o comunque non necessitate (art.12 d.lgs.38/2000 il quale dispone che l’interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a causa di forza maggiore, a esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti).

Le brevi soste che non espongono l’assicurato a un rischio diverso da quello che avrebbe dovuto affrontare se il normale percorso casa-lavoro fosse stato compiuto senza soluzione di continuità non interrompono, invece, il nesso causale tra lavoro e infortunio e, dunque, non escludono l’indennizzabilità dello stesso.

Utilizzo del mezzo di trasporto privato. Ai fini della tutela assicurativa, ogni volta che il tragitto può essere compiuto a piedi o con mezzi pubblici, l’eventuale scelta del mezzo privato deve risultare necessitata.

L’uso del mezzo privato è ritenuto necessitato:

  • quando non esistono mezzi pubblici di trasporto dall’abitazione del lavoratore al luogo di lavoro (o non coprono l’intero percorso),
  • nonché quando non c’è coincidenza fra l’orario dei mezzi pubblici e quello di lavoro,
  • o quando l’attesa e l’uso del mezzo pubblico prolungherebbero eccessivamente l’assenza del lavoratore dalla propria famiglia.

La valutazione in ordine alla necessità dell’uso del mezzo privato di trasporto va condotta con “criteri di ragionevolezza”. In tale valutazione bisogna tener presente che, per quanto possibile, va data prevalenza alle esigenze umane e familiari del lavoratore, evitandogli scelte usuranti o tali da creare rilevante disagio con ulteriore consumo delle sue energie e prolungamenti oltre misura dell’assenza dalla famiglia (Inail, Direzione centrale prestazioni “Linee guida per la trattazione dei casi di infortuni in itinere del 4 maggio 1998, n.2.0.0”).

Tali criteri sono stati così individuati:

a) la sussistenza di un nesso eziologico tra il percorso seguito e l’evento, per cui il percorso deve costituire quello normale per recarsi al lavoro e per tornare alla propria abitazione;

b) la sussistenza di un nesso causale, sia pure occasionale, tra l’itinerario seguito e l’attività lavorativa, cioè il percorso non deve essere seguito per ragioni personali o in orari non ricollegabili al lavoro;

c) la necessità dell’uso del mezzo privato, per cui si deve tener conto degli orari di lavoro e quelli dei servizi pubblici, della eventuale carenza o inadeguatezza di mezzi pubblici, della distanza tra il posto di lavoro e l’abitazione al fine di determinare la percorribilità a piedi o meno.

Criteri Inail sull’uso del mezzo privato. Da ciò consegue che la necessità del mezzo privato va accertata caso per caso. In linea di massima l’uso del mezzo privato è ritenuto ragionevole al ricorrere dei seguenti requisiti:

1) per quanto riguarda la lunghezza del percorso da effettuare a piedi, intercorrente tra luogo di dimora abituale e luogo di lavoro oppure tra tali luoghi e la più vicina fermata del servizio pubblico, può considerarsi “irragionevole” e dunque tale da giustificare l’uso del mezzo privato di trasporto, una distanza superiore ad un km per ogni tragitto considerato separatamente;

2) per quanto riguarda, invece, gli orari dei servizi pubblici rispetto all’orario di lavoro, possono considerarsi “irragionevoli” e, dunque tali da giustificare l’uso del mezzo privato di trasporto, attese superiori complessivamente ad un’ora.

Per analogia devono considerarsi “rilevanti”, se superiori complessivamente ad un’ora, i risparmi di tempo consentiti dall’uso del mezzo privato rispetto all’utilizzo del mezzo pubblico. A questo riguardo, va tuttavia precisato che il risparmio di tempo deve avere carattere di regolarità ed essere oggettivamente riscontrabile (Inail, Direzione centrale prestazioni “Linee guida per la trattazione dei casi di infortuni in itinere del 4 maggio 1998, n.2.0.0”).

Fuori dalle ipotesi di necessità dell’utilizzo del mezzo privato si ricade nell’ambito del rischio elettivo non assicurativamente protetto. Ricorrente ogni qual volta il nesso eziologico tra attività lavorativa ed evento sia stato interrotto da una condotta dell’assicurato tale, in base a criteri di ragionevolezza e di normalità, da potersi ritenere “frutto di una scelta arbitraria”.

Tale valutazione risulta, alla luce dell’art.5, commi 4 e 5, della legge 221/2015, superflua per gli infortuni occorsi a bordo del velocipede in quanto il suo utilizzo è considerato dalla norma sempre necessitato e, quindi, equiparato a quello del mezzo pubblico o al percorso a piedi.

Resta, invece confermato che riguardo all’infortunio accaduto per colpa del lavoratore, gli aspetti soggettivi della condotta dell’assicurato (negligenza, imprudenza, imperizia, violazione di norme) non assumono rilevanza ai fini dell’indennizzabilità, in quanto la colpa del lavoratore non interrompe il nesso causale tra rischio lavorativo e sinistro, salvo che si tratti di comportamenti così abnormi da sfociare nel rischio elettivo.

L’art.12 del D. Lgs. n. 38/2000 individua alcune cause di esclusione dell’indennizzabilità nelle ipotesi di infortuni occorsi con l’utilizzo del mezzo privato di locomozione riconducibili a specifiche condotte colpevoli dell’assicurato ritenendo che tale previsione possa fungere da deterrente e possa quindi svolgere una fondamentale funzione sociale. Tali cause di esclusione, peraltro sono ben delimitate e circostanziate ed assumono rilevanza soltanto se costituiscono la ragione esclusiva dell’infortunio (infortuni causati dall’abuso di alcolici e psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti e allucinogeni).

L'Inail nella circolare cita alcune sentenze:

In merito, soccorre l’orientamento espresso dalla Suprema Corte di Cassazione la quale, nel sostenere che “la colpa del lavoratore, anche esclusiva, nella causazione dell'infortunio sul lavoro non esclude la indennizzabilità di quest'ultimo […]”, afferma che “tali acquisizioni vanno tuttavia interpretate nell'intero contesto dei principi enunciati da questa Corte.

Vengono in rilievo in primo luogo le sentenze le quali, facendo riferimento all'elemento psicologico del lavoratore, affermano che il comportamento del lavoratore interrompe il nesso causale quando sia caratterizzato da esorbitanza, atipicità ed eccezionalità rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento […].

In secondo luogo viene in considerazione l'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale sul rischio elettivo, qualificato come una deviazione puramente arbitraria dalle normali modalità lavorative per finalità personali, che comporta rischi diversi da quelli inerenti alle normali modalità di esecuzione della prestazione […].

Se ne deduce che l'elemento psicologico del lavoratore, anche solo colposo, nella causazione dell'infortunio, quando è particolarmente qualificato per la sua abnorme deviazione dalla corretta esecuzione del lavoro, può comportare un aggravamento del rischio tutelato talmente esorbitante dalle finalità di tutela, da escluderla”.

Ne consegue che, anche l’infortunio occorso a bordo del velocipede dovrà essere escluso dalla tutela ogniqualvolta, esaminate le circostanze nelle quali l’incidente si sia verificato (es. avere imboccato una strada interdetta alla circolazione del velocipede o essersi messo alla guida in stato di ubriachezza) la qualificazione dell’elemento soggettivo del lavoratore debba essere definito in termini di rischio elettivo e non di colpa.

Quando si applicano le nuove disposizioni Inail. Le disposizioni sull’infortunio in itinere in bicicletta si applicano ai casi futuri (successivi al 25 marzo 2016) nonché alle fattispecie in istruttoria e a quelle per le quali sono in atto controversie amministrative o giudiziarie o, comunque, non prescritte o decise con sentenza passata in giudicato.

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