Licenziamento disciplinare: il lavoratore ha diritto all’Aspi, il datore deve il contributo all’Inps
L’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi), l’ex indennità di disoccupazione, spetta anche ai lavoratori destinatari di un licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, la negazione di tale diritto “costituirebbe un’ulteriore reazione sanzionatoria” nei confronti del lavoratore. E’ così che il Ministero del lavoro risponde in un importante interpello, equiparando il caso a quello sul quale la Corte Costituzionale dichiarò illegittimo negare l’erogazione dell’indennità di maternità alle donne licenziate per motivi disciplinari.
Di conseguenza, vista l’erogazione dell’ex indennità di disoccupazione (ora Aspi) al lavoratore destinatario del licenziamento disciplinare, anche in questi casi il contributo d’ingresso (ticket licenziamento) all’Inps è dovuto dal datore di lavoro, costituendo un costo rilevante a tal punto da poter anche incidere sulla scelta di attivare o meno il procedimento disciplinare nei confronti del dipendente. Vediamo l’interpello nel dettaglio.
L’interpello del Ministero del Lavoro n. 29 del 23 ottobre 2013
L’istanza di interpello è stata avanzata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti in merito alla possibilità che si configuri il diritto del lavoratore a percepire l’ASpI e il conseguente obbligo del datore di lavoro di versare il contributo di cui all’art. 2, comma 31 della L. n. 92/2012, nell’ipotesi di licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa. In particolare la richiesta riguarda se il licenziamento disciplinare possa costituire un’ipotesi di disoccupazione “involontaria”, per la quale è prevista la concessione della indennità di disoccupazione Aspi.
Il Ministero premette: “L’art. 2 della L. n. 92/2012 (Riforma Fornero) ha introdotto l’Assicurazione Sociale per l’Impiego (ASpI), con l’intento di fornire un’indennità di disoccupazione ai lavoratori colpiti da disoccupazione involontaria, nonché un contributo a carico del datore di lavoro per i casi di interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, dovuto nelle stesse ipotesi che darebbero diritto all’ASpI.
Dal dettato della citata normativa, può evincersi che le cause di esclusione dall’ASpI e del contributo a carico del datore di lavoro sono tassative e riguardano i casi di dimissioni (con l’eccezione delle dimissioni per giusta causa, ovvero delle dimissioni intervenute durante il periodo di maternità tutelato dalla legge) e di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.
Tra le ipotesi di esclusione dall’Aspi non c’è il licenziamento disciplinare: “Non sembra potersi escludere che l’indennità di cui al comma 1 (l’Aspi) e il contributo di cui al comma 31 dell’art. 2 (il ticket di licenziamento) della Legge n. 92 del 2012 siano corrisposti in ipotesi di licenziamento disciplinare, così come del resto ha inteso chiarire l’Inps, il quale è intervenuto con numerose circolari per disciplinare espressamente le ipotesi di esclusione della corresponsione dell’indennità e del contributo di licenziamento senza trattare l’ipotesi del licenziamento disciplinare.
La Corte Costituzionale dichiarò illegittimo negare l’indennità di maternità post licenziamento disciplinare. Il Ministero collega il diritto all’Aspi a quello dell’indennità di maternità: “A supporto di quanto sopra rappresentato, si evidenzia che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 405/2001, aveva statuito in merito all’opportunità che, in caso di licenziamento disciplinare, venisse corrisposta l’indennità di maternità, pronunciandosi nel senso di ritenere che una sua esclusione integrasse una violazione degli artt. 31 e 37 della Costituzione, in quanto alla protezione della maternità andava attribuito un rilievo superiore rispetto alla ragione del licenziamento, trovando già “il fatto che ha dato causa al licenziamento (…) comunque in esso efficace sanzione”.
A giudizio del Ministero infatti “la fattispecie in argomento è suscettibile di essere analizzata con il medesimo metodo di ragionamento adottato dalla Corte Costituzionale atteso che, analogamente a quanto argomentato dalla Corte a proposito della corresponsione dell’indennità di maternità, anche nel caso di specie il licenziamento disciplinare può essere considerato un’adeguata risposta dell’ordinamento al comportamento del lavoratore e, pertanto, negare la corresponsione della ASpI costituirebbe un’ulteriore reazione sanzionatoria nei suoi confronti”.
Sotto altro profilo va evidenziato che il licenziamento disciplinare non possa ex ante essere qualificato come disoccupazione “volontaria”. Ciò in quanto la sanzione del licenziamento quale conseguenza di una condotta posta in essere dal lavoratore, sia pur essa volontaria, non è “automatica” (v. Cass. sent. 25 luglio 1984 n. 4382, secondo cui “l’adozione del provvedimento disciplinare è sempre rimessa alla libera determinazione e valutazione del datore di lavoro e costituisce esercizio di potere discrezionale”), senza contare l’impugnabilità dello stesso. In tali casi potrebbe risultare peraltro iniquo negare la protezione assicurata dalla’ASpI nell’ipotesi in cui il giudice ordinario dovesse successivamente ritenere illegittimo il licenziamento impugnato.
Al datore di lavoro deve il ticket anche per licenziamento disciplinare. Il Ministero conclude: “Atteso quanto sopra esposto, non sembrano esservi margini per negare il contributo a carico del datore di lavoro previsto dall’art. 2, comma 31 della L. 92/2012, in quanto lo stesso è dovuto “per le causali che, indipendente dal requisito contributivo, darebbero diritto all’ASpI”. E questo è un aspetto economico molto importante.
A quanto ammonta il contributo di licenziamento. L’art. 2 comma 31 della Legge Fornero sul ticket licenziamento recita: “ “nei casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le causali che, indipendentemente dal requisito contributivo, darebbero diritto all’indennità ASpI (la nuova indennità di disoccupazione), intervenuti a decorrere dal 1° gennaio 2013, è dovuta, a carico del datore di lavoro, una somma pari al 41 per cento del massimale mensile di ASpI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni”. Il massimale per il 2013 è pari a 1.180 euro, quindi per ogni anno di anzianità aziendale vanno versati 483,80 euro. Se il lavoratore a cui è stato intimato il licenziamento disciplinare ha un’anzianità aziendale pari o superiore a 36 mesi, l’importo arriva al massimo, ossia 1.451 euro. Per maggiori informazioni vediamo il ticket di licenziamento.