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Limite di 36 mesi nel contratto a termine e somministrazione a tempo determinato

Il Ministero del lavoro con un interpello ha chiarito: un datore di lavoro, una volta esaurito il periodo massimo di 36 mesi di contratti a termine (tra rinnovi e proroga), può impiegare il medesimo lavoratore ricorrendo alla somministrazione di lavoro a tempo determinato, senza incorrere nella trasformazione a tempo indeterminato del rapporto per superamento del limite.
A cura di Antonio Barbato
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contratto a tempo determinato superamento 36 mesi

Le novità introdotte dalla riforma del mercato del Lavoro in materia di contratti a termine, hanno messo i lavoratori con contratto in scadenza e le loro aziende di fronte ad una situazione complicata. La Manovra Monti mira (o mirava) ad una stabilizzazione dei contratti, a responsabilizzare le aziende sulla scelta di ricorrere maggiormente ai contratti a tempo indeterminato rispetto alla reiterazione di contratti a termine. Ma i risultati in questo senso non ci sono stati, in quanto sono stati quasi esclusivamente i lavoratori a subire gli effetti della manovra di riforma del mercato del lavoro.

I lavoratori hanno a più riprese manifestato i loro dubbi (o paure) sulle concrete possibilità di ricevere un rinnovo del contratto a termine scaduto o in scadenza, dopo l’introduzione dei nuovi intervalli per la successione di contratto a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti. Tali intervalli sono stati elevati a 60 giorni se il contratto a tempo determinato scaduto era di 6 mesi o meno, ed a  90 giorni di intervallo in caso di contratto superiore a 6 mesi. La disposizione normativa si traduce in termini pratici, piuttosto che in una stabilizzazione da parte dell'azienda con un contratto a tempo indeterminato fatto firmare al lavoratore, in una assenza da lavoro dei lavoratori per 2 o 3 mesi, senza percepire ovviamente lo stipendio. Quest’ultimo aspetto economico aggrava la precarietà e quindi è stato oggetto di numerose lamentele e preoccupazioni da parte dei lavoratori precari.

In questa situazione, più che le aziende, in questi mesi sono moltissimi i lavoratori si sono chiesti come fare per ricevere un nuovo contratto, almeno a termine. Come fare per non saltare alcun mese di lavoro. E molti si sono chiesti se l’azienda poteva ricorrere alla somministrazione di lavoro a tempo determinato “per superare il problema”. E su questo aspetto ci sono importanti novità che arrivano da una precisazione ministeriale.

Anche se gli aspetti legali di questa modalità di prosecuzione del rapporto di lavoro tra le parti sono francamente discutibili, proprio perché trattasi di una serie di contratti a termine (o un contratto a termine di 36 mesi) seguiti da una successiva valutazione di proseguire il rapporto dopo 36 mesi di contratti a termine con una somministrazione di lavoro a tempo determinato (per molti altri mesi), è arrivata la risposta del Ministero del lavoro sul caso in questione. La risposta è nell’interpello n. 32 del 19 ottobre 2012. Ed è a favore del ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato dopo il raggiungimento di 36 mesi nel contratto a termine.

Il parere richiesto è in ordine alla “corretta interpretazione del disposto normativo ex art. 5, comma 4 bis, Decreto Legislativo n. 368 del 2001, afferente al computo del periodo massimo di occupazione del lavoratore in caso di successione di più contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti. In particolare, l’istante chiedeva se sia possibile per un’azienda utilizzatrice, una volta esaurito il periodo massimo di trentasei mesi consentito dalla legge, far ricorso al contratto di somministrazione a tempo determinato nei confronti del medesimo lavoratore”.

Il Ministero del lavoro premette: “In via preliminare, occorre ricordare che prima dell’entrata in vigore della Legge n. 92/2012, l’articolo 5, comma 4 bis, D.Lgs. n. 368/2001 prevedeva che “qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi (…) il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato”.

Nel computo dei 36 mesi anche la somministrazione: “Rispetto alla previgente disciplina, la nuova formulazione stabilisce che, ai fini del calcolo del periodo massimo di trentasei mesi, si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi soggetti, ai sensi del comma l bis dell’articolo 1 del presente decreto e del comma 4 dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, inerente alla somministrazione di lavoro a tempo determinato”.

La novella normativa è, principalmente, finalizzata a scongiurare l’elusione della disciplina limitativa. Conseguentemente, come già chiarito dal Ministero del Lavoro con la circolare  n. 18 del 2012, a far data dal 18 luglio 2012 “nel limite dei 36 mesi andranno computati anche i periodi di occupazione, sempre con mansioni equivalenti, formalizzati attraverso una somministrazione a tempo determinato”. Per maggiori informazioni vediamo computo dei 36 mesi, vale anche la somministrazione. 

Il Ministero del lavoro dà il via libera: “È stato, altresì, chiarito con la citata circolare che il periodo massimo costituisce solo “un limite alla stipulazione di contratti a tempo determinato e non, invece, al ricorso alla somministrazione di lavoro. Ne deriva che, una volta raggiunti i trentasei mesi, il datore di lavoro potrà ricorrere alla somministrazione a tempo determinato con lo stesso lavoratore”. Non c’è la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto, non si applica la disciplina del contratto a termine riguardo il superamento dei 36 mesi. 

Viene così sottolineato che il legislatore ha voluto incidere sulla normativa riguardante il contratto a tempo determinato di cui al Decreto Legislativo n. 368 del 2001 e non sulla normativa relativa alla somministrazione a tempo determinato di cui al Decreto Legislativo n. n. 276 del 2003. La motivazione fornita dal Ministero è “in quanto i due istituti contrattuali rappresentano degli strumenti di flessibilità differenti”. È dunque evidente che il Legislatore non ha introdotto ex novo nel nostro ordinamento un limite legale di durata alla somministrazione di lavoro a tempo determinato.

La direttiva comunitaria citata dal Ministero. Tale soluzione interpretativa trova peraltro conferma nella diversa disciplina comunitaria posta a fondamento dei due istituti. La direttiva comunitaria sul lavoro a tempo determinato (1999/70/CE), recepita con il D. Lgs. n. 368 del 2001, ha imposto agli Stati membri, per prevenire gli abusi “derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”, richiedendo misure restrittive anche alla durata massima dei contratti (clausola 5). La stessa Direttiva, tuttavia, nel preambolo, esclude l’applicabilità dei principi ivi contenuti ai lavoratori a termine “messi a disposizione di un’azienda utilizzatrice da parte di un’agenzia di lavoro interinale”, evidenziando pertanto come alla somministrazione di lavoro non trovino applicazione le restrizioni in argomento.

Inoltre va ricordato che, ai sensi dell’art. 22, comma 2, del Decreto Legislativo n. 276 del 2003 “in caso di somministrazione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro è soggetto alla disciplina di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, per quanto compatibile, e in ogni caso con esclusione delle disposizioni di cui all’articolo 5, commi 3 e seguenti (fra cui, pertanto, anche il limite dei trentasei mesi di cui al comma 4 bis dello stesso art. 5).

La conseguenza di tutto ciò è che nel computo dei 36 mesi relativi alle mansioni equivalenti nel contratto a termine, va considerata la somministrazione. Mentre la stessa somministrazione di lavoro a tempo determinato non comporta la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto, se stipulata al termine dei 36 mesi relativi al contratto a termine.

Dalla lettura della norma, e dell’interpello del Ministero, quindi è possibile stipulare 36 mesi di contratti a termine e successivamente ricorrere alla somministrazione per lo stesso lavoratore che svolge le stesse mansioni. Se invece il datore di lavoro ricorre ad esempio a 30 mesi di contratti a termine, poi a 6 mesi di somministrazione e successivamente stipula un nuovo contratto a termine, sempre con lo stesso lavoratore e per le mansioni equivalenti, allora su quest’ultimo contratto e su tutto il periodo pende il superamento dei 36 mesi e la possibilità di trasformazione del rapporto a tempo indeterminato. Analogo discorso se ad un periodo di somministrazione si dà seguito al rapporto con contratti a termine che complessivamente superano i 36 mesi.

I limiti di 36 o 42 mesi nella somministrazione: potere al CCNL

In materia di somministrazione di lavoro restano comunque ferme le disposizioni limitatrici introdotte dalla contrattazione collettiva, lo precisa il Ministero. Con questa disposizione contenuta nell’interpello n. 32 del 2012, il Ministero ha voluto ribadire che i limiti del contratto di somministrazione, in termini di proroga o di trasformazione del contratto a tempo indeterminato, sono di esclusiva competenza del CCNL dei lavoratori somministrati. E più precisamente all’art. 42 e 43 del CCNL.

L’art. 42 stabilisce che sono possibili 6 proroghe in 36 mesi, elevabili a 6 proroghe in 42 mesi se nei 24 mesi sono state fatte solo due proroghe. Per quanto riguarda la trasformazione del contratto a tempo indeterminato, l’art. 43 dispone che la trasformazione può avvenire dopo 42 mesi di somministrazione con l’agenzia e dopo 36 mesi se il periodo lavorato è presso lo stesso datore di lavoro utilizzatore. Per tutte le informazione sulla proroga, sulla trasformazione, il computo dei 42 mesi e l’azzeramento dell’anzianità lavorativa presso l’Agenzia di somministrazione, vediamo la successione di contratti nella somministrazione.

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