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Sanzioni pagamento stipendi in contanti dopo il 1 luglio 2018: diffida, verbale e ricorso

I datori di lavoro sono obbligati a pagare le retribuzioni esclusivamente con strumenti tracciabili (bonifico, assegno, carte prepagate, ecc.). Le sanzioni in caso di pagamento degli stipendi in contanti dopo il 1 luglio 2018 vanno da 1.000 a 5.000 euro, con possibilità di riduzione di 1/3 della sanzione massima (1.667 euro). A chiarirlo è l’Ispettorato del Lavoro, che ha precisato anche che la violazione non sanabile né diffidabile e che avverso il verbale dell’ispettore del lavoro è possibile presentare ricorso o scritti difensivi. Vediamo nel dettaglio.
A cura di Antonio Barbato
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La Legge di Bilancio 2018 ha introdotto il divieto di pagamento degli stipendi in contanti dal 1 luglio 2018. Tutti i datori di lavoro italiani devono pagare le retribuzioni derivanti da contratti di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa esclusivamente con strumenti tracciabili. Le sanzioni per pagamento degli stipendi in contanti dopo il 1 luglio 2018 vanno da 1.000 a 5.000 euro, ma che possono ridursi ad un terzo (1.667 euro), anche se la violazione non è comunque sanabile e quindi neanche diffidabile dagli Ispettori del lavoro.

Ciò significa che una volta commessa anche una sola violazione di un pagamento, anche di un acconto, dello stipendio di un lavoratore in contanti, in caso di accesso ispettivo scatta l'automatica sanzione per il datore di lavoro.

L’Ispettorato del Lavoro, con la nota protocollo n. 4538 del 22 maggio 2018 si è pronunciato con un parere riguardo le procedure di contestazione della violazione di cui all’art. 1, comma 910-913, della Legge 27 dicembre 2017 n. 2015. Si tratta della Legge di Bilancio 2018 e della normativa sul pagamento degli stipendi dal 1 luglio 2018.

 

Stipendi in contanti vietati dal 1 luglio 2018

L’art. 1, comma 910 della L. n. 205/2017 (Legge di bilancio per il 2018) ha stabilito che a far data dal 1° luglio 2018 i datori di lavoro o committenti debbano corrispondere ai lavoratori la retribuzione, nonché ogni anticipo di essa, attraverso gli strumenti di pagamento individuati dalla stessa norma, non essendo più consentito, da tale data, effettuare pagamenti in contanti della retribuzione e di suoi acconti, pena l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 5.000 euro.

Ai sensi del successivo comma 912, l'obbligo di pagamento delle retribuzioni con strumenti tracciabili o comunque il divieto di pagamento degli stipendi in contanti ai applica ai rapporti di lavoro subordinato di cui all’art. 2094 c.c., indipendentemente dalla durata e dalle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa ed infine ai contratti di lavoro stipulati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci. Restano espressamente esclusi dal predetto obbligo i rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni di cui al comma 2 dell’art. 1 del D.Lgs. n. 165/2001, nonché i rapporti di lavoro domestico.

Devono altresì ritenersi esclusi, in quanto non richiamati espressamente dal comma 912, i compensi derivanti da borse di studio, tirocini, rapporti autonomi di natura occasionale.

Pagamento stipendi: strumenti tracciabili consentiti

Le modalità elencate attraverso le quali effettuare la corresponsione della retribuzione sono costituite dai seguenti strumenti:

  • bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore;
  • strumenti di pagamento elettronico;
  • pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
  • emissione di assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato.

Sanzione stipendi in contanti: da 1.000 a 5.000 euro

In merito alle sanzioni per il divieto di pagamento stipendi in contanti, il comma 913 dell’art. 1 della Legge di Bilancio 2018 stabilisce che approvato è il seguente: "Al datore di lavoro o committente che viola l'obbligo di cui al comma 509-bis si applica la sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000 euro a 5.000 euro".

La sanzione dovrebbe riguardare tutti i rapporti di lavoro del datore di lavoro, in caso di accesso ispettivo e quindi la sanzione fino a 5.000 euro dovrebbe riferirsi alla totalità dei rapporti di lavoro, quindi indipendentemente dal numero di violazioni.

Le sanzioni di legge previste dalla nuova normativa sono state poi affrontare dalla nota dell’Ispettorato che ha chiarito è possibile una riduzione della sanzione pari ad un terzo del massimo, quindi 1.667 euro, ovviamente nei casi in cui la sanzione amministrativa pecuniaria irrogata è superiore a 1.000 euro ed è ovviamente superiore anche a 1.667 euro.

Casi in cui scatta la sanzione per stipendi pagati in contanti

L’Ispettorato nazionale del Lavoro (INL) con la nota protocollo n. 4538 del 22 maggio 2018 ha specificato, “in considerazione del tenore letterale e della ratio della normaquali sono le violazioni che secondo l’Ispettorato fanno scattare le sanzioni:

a) quando la corresponsione delle somme avvenga con modalità diverse da quelle indicate dal legislatore;

b) nel caso in cui, nonostante l’utilizzo dei predetti sistemi di pagamento, il versamento delle somme dovute non sia realmente effettuato, ad esempio, nel caso in cui il bonifico bancario in favore del lavoratore venga successivamente revocato ovvero l’assegno emesso venga annullato prima dell’incasso; circostanze che evidenziano uno scopo elusivo del datore di lavoro che mina la stessa ratio della disposizione.

Del resto, la finalità antielusiva della norma risulta avvalorata anche dalla previsione dell’ultimo periodo del comma 912 a mente del quale la firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione.

Ne consegue che, ai fini della contestazione si ritiene sia necessario verificare non soltanto che il datore di lavoro abbia disposto il pagamento utilizzando gli strumenti previsti ex lege ma che lo stesso sia andato a buon fine”.

Con questa disposizione, l’Ispettorato nazionale del lavoro avverte i datori di lavoro sulla circostanza che gli ispettori del lavoro controlleranno non solo che sia stato effettuato il pagamento tracciabile (es. bonifico o assegno o carta di debito rilasciata al lavoratore), ma che il pagamento della retribuzione sia andato a buon fine con l’accredito dello stipendio stesso sul conto corrente del lavoratore o comunque nell’estratto conto della carta.

Chiaramente una revoca del bonifico o un assegno non incassato determina l’irrogazione della sanzione nei confronti del datore di lavoro.

Contestazione illecito pagamento stipendi: nessuna diffida e sanatoria

L’Ispettorato nazionale del lavoro nella nota chiarisce che “con riferimento alla contestazione dell’illecito al trasgressore, trovano applicazione, le disposizioni di cui alla L. n. 689/1981 e al D.Lgs. n. 124/2004 ad eccezione del potere di diffida di cui al comma 2 dell’art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004 trattandosi di illecito non materialmente sanabile”.

Con questa disposizione, l’Ispettorato si pronuncia sull’assenza di profili penali riguardo alla violazione commessa dai datori di lavoro che pagano la retribuzione ai lavoratori in contanti, ma sottolinea che per tale violazione non trova applicazione il potere di diffida ai sensi dell’art. 13 del D. Lgs. n 124/2004.

Ciò vuol dire che l’Ispettore del Lavoro non può diffidare il datore di lavoro ad regolarizzare le inosservanze fissando un termine per farlo evitando le sanzioni.

In altre parole, siccome il lavoratore è stato retribuito in contanti e quindi il datore di lavoro ha commesso la violazione del pagamento delle retribuzioni senza optare per uno degli strumenti tracciabili consentiti dalla legge, l’Ispettore del Lavoro non può fare altro che irrogare la sanzione, che per legge sarebbe da 1.000 a 5.000 euro.

Sanzione ridotta per stipendi in contanti a 1.667 euro

L’Ispettorato del Lavoro nella nota non chiarisce se la sanzione riguarda tutti i rapporti di lavoro o va considerata per ogni singolo rapporto di lavoro per il quale è avvenuta la sanzione, né stabilisce quando si applica la sanzione minima di 1.000 euro e quando la sanzione è elevata fino a 5.000 euro, ma comunque consente la riduzione ad un terzo del massimo della sanzione.

Siccome alla contestazione dell’illecito consistente nel pagamento della retribuzione in contanti è applicabile la legge n. 689 del 1918, l’Ispettorato chiarisce che di conseguenza “la sanzione sarà determinata nella misura ridotta di cui all’art. 16 della L. n. 689/1981 e, in caso di mancato versamento delle somme sul cod. tributo 741T, l’autorità competente a ricevere il rapporto, ai sensi dell’art. 17 della L. n. 689/1981, è da individuare nell’Ispettorato territoriale del lavoro”.

L’art. 16 della Legge n. 689 del 1981 richiamata stabilisce che “E' ammesso il pagamento di una somma in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa, o, se più favorevole e qualora sia stabilito il minimo della sanzione edittale, pari al doppio del relativo importo, oltre alle spese del procedimento, entro il termine di sessanta giorni dalla contestazione immediata o, se questa non vi è stata, dalla notificazione degli estremi della violazione”.

Con questa disposizione che consente il pagamento della sanzione in misura ridotta in caso di violazione della normativa sul pagamento degli stipendi dal 1 luglio 2018, l’Ispettore del Lavoro comunica ai datori di lavoro che la sanzione può essere ridotta e versata entro 60 giorni dalla notifica del verbale di accertamento, nella misura di 1/3 della sanzione massima di 5.000 euro, quindi pagando 1.667 euro con il codice tributo 741T.

Ricorso amministrativo e scritti difensivi entro 30 giorni

Il datore di lavoro che riceve un verbale di accertamento contenente la sanzione per pagamento delle retribuzioni in contanti può effettuare ricorso. E lo specifica la nota dell’Ispettorato del Lavoro in conclusione del parere: “Va, infine, ricordato che avverso il verbale di contestazione e notificazione adottato dagli organi di vigilanza di cui all’art. 13, comma 7, del D.Lgs. n. 124/2004 è possibile presentare ricorso amministrativo al direttore della sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro ai sensi dell’art. 16 del D.Lgs. n. 124/2004 entro trenta giorni dalla sua notifica”.

Il datore di lavoro può altresì far precedere il ricorso da scritti difensivi: “Entro il medesimo termine è altresì possibile presentare scritti difensivi all’Autorità che riceve il rapporto ai sensi dell’art. 18 della L. n. 689/1981. In proposito, si rinvia alla circolare n. 4 del 29 dicembre 2016 nel cui contesto sono state riportate le avvertenze da inserire in calce ai verbali di accertamento adottati dal personale di codesti Comandi”.

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