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Trattenuta del 2,50% TFS in busta paga: L’Inps risponde alle richieste di restituzione

L’Inps non intende restituire la trattenuta del 2,5% ai fini TFS applicata nella busta paga dei dipendenti pubblici. La motivazione sta nel ripristino della normativa TFS e l’abrogazione del passaggio al TFR. Le istanze di rimborso sono numerose e quindi l’ente risponde con un messaggio, anche a coloro ai quali si applica il trattamento di fine rapporto. Sostanzialmente rimandata la questione al datore di lavoro, ossia l’ente pubblico di appartenenza.
A cura di Antonio Barbato
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messaggio Inps trattenuta busta paga

Il contenzioso sull’illegittimità costituzionale della trattenuta del 2% ai fini TFS nelle buste paga dei dipendenti pubblici si espande e costringe l’Inps ad emettere un messaggio: L’Inps comunica a tutti i lavoratori statali che stanno presentando istanze di rimborso del contributo del 2,5% dell’80% della retribuzione imponibile, trattenuto mensilmente in busta paga a titolo di finanziamento del trattamento di fine servizio (TFS), che tale trattenuta è legittima e che la sentenza che ne dichiarava l’illegittimità è stata “superata” con il Decreto Legge n. 185 del 2012 che ripristinava il TFS, abrogando il passaggio a TFR dei dipendenti pubblici a partire dal 2011.

Si tratta di quella trattenuta in busta paga evidenziata nella parte in basso, dove ci sono indicate le trattenute previdenziali a carico del lavoratore. Accanto alla trattenuta per i contributi obbligatori a carico lavoratore, da destinare all’ex Inpdap ora Inps, c’è anche una trattenuta di un importo vicino ai 30-40 euro, che è il 2,5% dell’80% della retribuzione imponibile. Si tratta, cioè, di un 2% dello stipendio lordo, versato dal lavoratore, a proprio carico, come finanziamento del proprio trattamento di fine servizio (TFS). In un anno la cifra trattenuta è importante.

Questa trattenuta è dovuta dai dipendenti pubblici in regime di TFS, ma non lo è per coloro che sono in regime di trattamento di fine rapporto (TFR), ossia gli assunti dopo il 2001. L’Inps però chiarisce, nella circolare, che i datori di lavoro possono trattenerla per assicurare “l’invarianza della retribuzione netta” tra i vari dipendenti pubblici, quelli in regime di TFS e quelli in regime di TFR.

La questione è delicata ed ha portato anche ad una pronuncia della Corte Costituzionale con la sentenza n. 223 del 2012, che dichiarava illegittima la trattenuta del 2,5% a titolo di TFS per i dipendenti passati al regime di TFR obbligatoriamente, secondo quanto disposto dell’art. 12, comma 10, del Decreto Legge n. 78/2010, a decorrere dal 1° gennaio 2011. La pronuncia della Corte Costituzionale è stata una mazzata per il Governo, il quale ha provveduto con il Decreto Legge n. 185 del 2012, decaduto senza conversione in legge, a ripristinare il vecchio TFS, riliquidando d’ufficio tutti i trattamenti di fine servizio.

Il messaggio Inps sulla trattenuta del 2,5% ai fini del TFS

Il messaggio n. 10065 dell’Inps: “Sono pervenute e continuano a pervenire (anche da parte di personale in regime di TFR) a questo Istituto numerosissime richieste e diffide intese ad ottenere l’interruzione e la restituzione della trattenuta previdenziale obbligatoria nella misura del 2,50% della retribuzione contributiva utile ai fini del TFS, a seguito della illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 10, del decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78, riconosciuta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 223 dell’ 8 -11 ottobre 2012. Al riguardo, nel confermare quanto già comunicato con messaggio n. 18296 del 9 novembre 2012, si ribadisce la posizione di questo Istituto secondo quanto di seguito indicato.

L’art. 1, commi 98 -101, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha recepito i contenuti del decreto legge n. 185/2012, decaduto senza conversione in legge e che contiene disposizioni per l’attuazione della Sentenza della Corte Costituzionale dell’8 -11 ottobre 2012, n. 223, ha stabilito l’abrogazione dell’art. 12, comma 10, del citato decreto legge n.78/2010 a decorrere dal 1° gennaio 2011 e, nel contempo, la riliquidazione d’ufficio entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto stesso (31 ottobre 2012) di tutti i trattamenti di fine servizio liquidati in base all’art. 12, comma 10, del decreto legge n. 78/2010 (ora abrogato), per tutte le cessazioni dal servizio intervenute tra il 1° gennaio 2011 e il 30 ottobre 2012.

Il richiamato art. 1 ha disposto, altresì, l’estinzione di diritto di tutti i processi pendenti nonché l’inefficacia di tutte le sentenze emesse (tranne quelle passate in giudicato) in materia di restituzione del contributo previdenziale obbligatorio nella misura del 2,50% della retribuzione contributiva utile prevista dall’art. 11 della legge 8 marzo 1968, n. 152 e dagli artt. 37 e 38 del D.P.R. 23 dicembre 1973, n. 1032.

L’abrogazione dell’art.12, comma 10, del decreto legge n. 78/2010 ha determinato, pertanto, il ripristino della normativa previgente in tema di calcolo dei trattamenti di fine servizio comunque denominati.

Pertanto, per i dipendenti in regime di TFS in servizio ovvero per quelli cessati, essendo state ripristinate le regole previgenti a quelle introdotte dall’art. 12, comma 10, del decreto Legge n.78/2010, il contributo previdenziale sulla retribuzione contributiva utile rimane comunque dovuto anche per il periodo successivo al 31 dicembre 2010.

Tutto ciò premesso, appare evidente che le norme citate in oggetto, lungi dal prevedere la restituzione della contribuzione, hanno confermato il permanere dell’obbligatorietà della stessa”.

L’Inps risponde anche alle istanze di rimborso presentate dai dipendenti pubblici in regime di TFR, ossia gli assunti dopo il 1 gennaio 2001, o i dipendenti pubblici assunti prima del 31 dicembre 2000 ma che hanno esercitato l’opzione per il regime di TFR a seguito di adesione al Fondo di pensione complementare: “Per i dipendenti pubblici in regime di TFR non trovano applicazione né la sentenza della Corte Costituzionale n. 223/2012, né l’art. 1, commi 98-101, della legge 228/2012, in considerazione del fatto che costoro non sono mai stati riguardati dalla norma dichiarata illegittima”.

Al personale in parola si applica, invece, la disciplina sulle modalità di estensione, finanziamento ed erogazione del TFR contenuta nell’art. 26, comma 19, della legge n. 448 del 1998 e nel D.P.C.M. 20 dicembre 1999 e s. m. e i.. A questo proposito si rammenta, che l’Amministrazione datrice di lavoro è il soggetto che, in piena conformità alle norme di legge dianzi citate, opera una riduzione della retribuzione lorda del personale assoggettato a regime di TFR “in misura pari al contributo previdenziale soppresso”.

In altre parole, a carico del personale cui spetta il TFR non può più essere trattenuto il contributo previdenziale del 2,50% ma, per assicurare l’invarianza della retribuzione netta, il legislatore ha previsto la contestuale diminuzione della retribuzione lorda di tali dipendenti in misura pari a quella della quota di contributo a carico dell’iscritto cui spetti invece il trattamento di fine servizio (IPS o buonuscita). Pertanto una eventuale interruzione di tale diminuzione della retribuzione lorda costituirebbe violazione di precisi obblighi di legge.

Per quanto concerne le diffide inoltrate all’Istituto, si fa presente che le stesse sono di competenza dei datori di lavoro, che, in qualità di sostituti d’imposta, sono preposti ad effettuare le trattenute contributive in esame”.

La questione resta aperta, soprattutto per i dipendenti pubblici assunti dopo il 2001, o in regime di TFR, in favore dei quali ci sono state alcune pronunce dei Tribunali. L’Inps si difende con questo messaggio, ribadendo le motivazioni di tale trattenuta effettuata dai datori di lavoro. Ma rimanda la competenza del contenzioso ai datori di lavoro, ossia agli enti pubblici.

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