Contratto a tempo determinato: la nuova normativa prevista dal Jobs Act
Nell’attuazione della legge delega del Jobs Act il Governo Renzi ha previsto un Decreto di riordino dei contratti di lavoro all’interno del quale c’è da un lato c’è l’abrogazione della normativa sul contratto a termine del D. Lgs. 368 del 2001 e dall’altro lato l’introduzione di una nuova normativa sul contratto a tempo determinato.
Nel testo del Decreto del Jobs Act viene quindi riscritto tutto quel complesso di norme che regolano il contratto di lavoro a termine: dall’acasualità ai limiti quantitativi, dalla durata di 36 mesi alle proroghe e rinnovi, dal diritto di precedenza alle esclusioni.
Vediamo quindi la nuova normativa sul contratto a tempo determinato del Jobs Act e cosa cambia rispetto alla normativa previgente sul contratto a termine.
SOMMARIO:
Cosa cambia
Durata di 36 mesi
Divieti di stipula
5 proroghe e rinnovi in 36 mesi
Limiti del 20%
Diritto di precedenza
Retribuzione del lavoratore
Impugnazione del contratto
Esclusioni dalla normativa
Cosa cambia con il Jobs Act
La nuova disciplina in materia di contratto a tempo determinato non modifica nel complesso l’impianto vigente a seguito delle ultime disposizioni del Decreto Legge n. 34 del 2014 approvato dallo stesso Governo Renzi. Sono apportati una serie di aggiustamenti. La forma comune del contratto di lavoro è il contratto a tempo indeterminato, pertanto nella disciplina del contratto a termine c’è sempre una naturale diffidenza legislativa.
Il contratto a tempo determinato è stato reso acausale da qualche anno, ossia stipulabile più liberamente senza la necessità di indicare ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che per anni ha rappresentato il principale limite ai contratti a termine, oltre che materia per il contenzioso.
Tuttavia da un lato c’è un’apertura per l’acausalità del contratto a termine e dall’altro lato, in senso contrario e restrittivo, la conferma nel nuovo Decreto dei limiti quantitativi al ricorso al contratto a tempo indeterminato per le aziende, limiti introdotti sempre dal Governo Renzi.
Il Decreto Legislativo di riordino dei contratti di lavoro, approvato dal Consiglio dei Ministri del 20 febbraio 2015, interviene per regolamentare il contratto a tempo determinato con gli articoli da 17 a 27. Vengono apportate alcune modifiche alla disciplina sostanziale del rapporto, così come regolamentato dalla precedente normativa. Vediamo nel dettaglio la nuova normativa.
Durata massima di 36 mesi
La durata massima del contratto a termine è sempre di 36 mesi. E’ infatti “consentita l'apposizione di un termine al contratto di lavoro subordinato, di durata non superiore a trentasei mesi”.
Nel computo dei 36 mesi si considera “la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni equivalenti ed indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro”. Questo fatte salve diverse disposizioni dei contratti collettivi, anche aziendali e con l’eccezione delle attività stagionali. Nel computo dei periodi bisogna tener conto anche “dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato”.
Le mansioni devono essere equivalenti, quindi di pari livello. Con questa formulazione viene data comunque discrezionalità ai giudici nello stabilire quali sono le mansioni equivalenti.
Il superamento del limite di 36 mesi ha sempre la stessa conseguenza della trasformazione del rapporto a tempo indeterminato: “qualora il limite dei trentasei mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di tale superamento”.
A parziale deroga dei limiti, la normativa prevede che “un ulteriore contratto a tempo determinato fra gli stessi soggetti, della durata massima di dodici mesi, può essere stipulato presso la Direzione territoriale del lavoro competente per territorio”. Senza tale procedura, ed in caso di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, lo stesso si considera a tempo indeterminato dalla data della stipula. Quindi rispetto alla normativa attuale il legislatore pone un limite ben preciso: il nuovo contratto presso la DTL può avere durata massima di 12 mesi, oltre i 36 mesi.
Per quanto riguarda la forma del contratto a tempo determinato viene stabilito che “con l’eccezione dei rapporti di lavoro di durata non superiore a dodici giorni, l'apposizione del termine al contratto è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto”.
Inoltre una copia del contratto a termine “deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro cinque giorni lavorativi dall'inizio della prestazione”. La forma scritta è quindi ad substantiam.
Divieti di stipula del contratto a tempo determinato
L'apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato “non è ammessa:
a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
b) presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato, salvo che il contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti, per assumere lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, o abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi;
c) presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione del lavoro o una riduzione dell'orario, in regime di cassa integrazione guadagni, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato;
d) da parte di datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell'articolo 28 e seguenti del decreto legislativo n. 81 del 2008, e successive modificazioni.
Il divieto di stipula previsto dalla lettera b), quando sussistono licenziamenti collettivi, viene posto in termini tassativi, mentre nella normativa precedente era fatta salva l’ipotesi di una diversa previsione da parte degli accordi sindacali. Mentre il divieto imposto dalla lettera c), quando sussistono trattamenti di integrazione salariale (Cassa integrazione ecc.), è esteso per il personale delle società di gestione aeroportuale e delle società da queste derivate e per il personale, anche navigante, dei vettori aerei e delle società da questi derivate (settori, in base alla norma di interpretazione autentica oggetto di abrogazione, esclusi dall'ambito del divieto in esame).
Proroghe e rinnovi: massimo 5 volte in 36 mesi
Il decreto introduce importanti novità: “Il termine del contratto a tempo determinato può essere prorogato, con il consenso del lavoratore, solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a trentasei mesi, e, comunque, per un massimo di cinque volte nell'arco di trentasei mesi a prescindere dal numero dei contratti. Qualora il numero delle proroghe sia superiore, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla data della sesta proroga”. La proroga richiede il consenso del lavoratore per iscritto, essendo una clausola contrattuale.
Ovviamente la proroga è ammessa solo se il contratto a termine iniziale è di durata inferiore a 36 mesi, essendo questo il limite imposto ai contratti a tempo indeterminato. E’ altresì chiaro che se intervengono tra le parti un numero di proroghe superiore a cinque, anche nell’arco dei 36 mesi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla data della sesta proroga.
Viene inoltre confermato lo stop and go tra due contratti: “Qualora il lavoratore sia riassunto a tempo determinato entro dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato”. Ma ci sono delle eccezioni: le disposizioni non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi, anche aziendali.
E’ stata invece abrogata, e quindi non è prevista nella nuova normativa, la norma che esclude la possibilità di stipulazione di un successivo contratto a termine senza soluzione di continuità con il precedente (in tal caso, secondo la norma vigente che dal decreto viene abrogata, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di decorrenza del primo contratto).
La nuova disciplina relativa alle proroghe e i rinnovi, quindi i limiti imposti pari a 5 proroghe o rinnovi nell’arco di 36 mesi nonché la disciplina dello stop and go tra contratti, “non si applica alle imprese start-up innovative di cui di cui all’articolo 25, comma 2, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con legge 17 dicembre 2012, n. 221, per il periodo di quattro anni dalla costituzione della società, ovvero per il più limitato periodo previsto dal comma 3 dell’articolo 25 per le società già costituite”. Viene però soppressa la condizione che il contratto abbia una durata minima di 6 mesi.
Viene inoltre disciplinata, senza modifiche rispetto alla normativa previgente, anche l’ipotesi di prosecuzione dell’attività lavorativa oltre la scadenza del termine, ossia quando il lavoratore continua a lavorare anche dopo la data di fine contratto a tempo determinato. Fermo restante il limite di durata massima di 36 mesi, “se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20 per cento fino al decimo giorno successivo ed al 40 per cento per ciascun giorno ulteriore”.
E viene confermata l’ipotesi di trasformazione del contratto in tempo indeterminato “qualora il rapporto di lavoro continui oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi”. In questi casi il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.
Limiti del 20% al numero di contratti a tempo determinato stipulabili in azienda
Come nella precedente normativa del D. Lgs. n. 368 del 2001, a seguito delle recenti modifiche normative, viene confermato nel Decreto di riordino dei contratti del Jobs Act anche il limite quantitativo di contratti a termine assumibili. Quindi viene previsto per ogni azienda il numero complessivo di contratto a tempo determinato che possono essere stipulati. O per meglio dire viene stabilito che “salvo diversa disposizione dei contratti collettivi, anche aziendali”, non possono “essere assunti lavoratori a tempo determinato in misura superiore al 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione, con un arrotondamento del decimale all’unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5”.
In caso di inizio dell’attività nel corso dell’anno, “il limite percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento dell’assunzione”. Mentre “per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato”.
Quindi sono possibili diverse determinazioni del limite. Possono stabilirli otre ai CCNL nazionali, anche i contratti collettivi aziendali o territoriali, sempre se stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Esclusioni dai limiti: “Sono esenti dai limiti sopra descritti, nonché da eventuali limitazioni quantitative previste da contratti collettivi, i contratti a tempo determinato conclusi:
a) nella fase di avvio di nuove attività, per i periodi definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e comparti merceologici;
b) da imprese start-up innovative, per il periodo di quattro anni dalla costituzione della società, ovvero per il più limitato periodo previsto dal comma 3 del suddetto articolo 25 per le società già costituite;
c) nelle attività stagionali;
d) per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi;
e) per sostituzione di lavoratori assenti;
f) con lavoratori di età superiore a 55 anni.
Il limite percentuale dei contratti a termine non si applica, inoltre, ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra università pubbliche o private, istituti pubblici di ricerca ovvero enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere attività di insegnamento, ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa. I contratti di lavoro a tempo determinato che hanno ad oggetto in via esclusiva lo svolgimento di attività' di ricerca scientifica possono avere durata pari a quella del progetto di ricerca al quale si riferiscono”.
Le sanzioni in caso di superamento dei limiti: “In caso di violazione del limite percentuale di cui sopra, restando esclusa la trasformazione dei contratti interessati in contratti a tempo indeterminato, per ciascun lavoratore si applica una sanzione amministrativa di importo pari:
a) al 20 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non è superiore a uno;
b) al 50 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale è superiore a uno”.
Quindi lo schema conferma le attuali norme sanzionatorie per la violazione dei limiti, specificando che essa non comporta la trasformazione dei contratti interessati in contratti a tempo indeterminato.
Le sanzioni restano piuttosto pesanti e tra l’altro trattandosi di sanzione amministrativa, come ricorda la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, verrà applicata a colui o a coloro che abbiano la rappresentanza legale della società ed in caso di ditta individuale al titolare della stessa.
Diritto di precedenza del lavoratore
Il diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo a tempo indeterminato spetta al lavoratore “se nell'esecuzione di uno o più contratti a tempo determinato presso la stessa azienda, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi”, fatte salve “diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”. Il diritto di precedenza riguarda le assunzioni a tempo indeterminato “effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi” con riferimento “alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine”.
Riguardo al calcolo dei 6 mesi per il diritto di precedenza, il Decreto include per le lavoratrici il congedo di maternità. Inoltre alle medesime lavoratrici è altresì “riconosciuto il diritto di precedenza anche nelle assunzioni a tempo determinato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi, con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei precedenti rapporti a termine”.
Anche il lavoratore assunto a tempo determinato per lo svolgimento di attività stagionali “ha diritto di precedenza, rispetto a nuove assunzioni a tempo determinato da parte dello stesso datore di lavoro per le medesime attività stagionali”.
Il diritto di precedenza deve essere espressamente richiamato nel contratto di lavoro stipulato tramite atto scritto. Esso può essere esercitato “a condizione che il lavoratore manifesti in tal senso la propria volontà al datore di lavoro entro rispettivamente sei mesi e tre mesi dalla data di cessazione del rapporto stesso e si estingue trascorso un anno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro”.
Tale ultima indicazione relativamente all’esercizio del diritto di precedenza obbliga il datore di lavoro ad includere l’informativa sul diritto di precedenza nel contratto di lavoro stipulato con il lavoratore, per richiamare l’attenzione dello stesso sul diritto di precedenza. Quest’ultimo rappresenta una delle cause ostative datoriali all’utilizzo degli sgravi contributivi sulle nuove assunzioni, per le quali tra i principi e condizioni di spettanza c’è la non violazione del diritto di precedenza da parte di lavoratori con contratto a tempo determinato.
La retribuzione e formazione spettante al lavoratore
Per quanto riguarda la retribuzione spettante al lavoratore a tempo determinato, il Decreto conferma il principio di non discriminazione secondo il quale “al lavoratore a tempo determinato spetta il trattamento economico e normativo in atto nell'impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili, intendendosi per tali quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva, ed in proporzione al periodo lavorativo prestato, sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a tempo determinato”.
Il decreto prevede un regime sanzionatorio per i datori di lavoro che violano tale principio. E’ prevista infatti una “sanzione amministrativa da 25,82 euro a 154,94 euro”. E se l’inosservanza si riferisce a più di cinque lavoratori ”si applica la sanzione amministrativa da lire 154,94 euro a 1.032,91 euro”.
In termini di formazione dei lavoratori con contratto a termine, i contratti collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale “possono prevedere modalità e strumenti diretti ad agevolare l'accesso dei lavoratori a tempo determinato ad opportunità di formazione adeguata, per aumentarne la qualificazione, promuoverne la carriera e migliorarne la mobilità occupazionale”.
Impugnazione del contratto a tempo determinato: decadenza e tutele
In materia di contenzioso di lavoro riguardante i contratti a termine, il legislatore nel Decreto riprende quanto previsto dalla legge n. 183 del 2010 (Collegato Lavoro): “L’impugnazione del contratto a tempo determinato deve avvenire, con le modalità previste dal primo comma dell’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, entro centoventi giorni dalla cessazione del singolo contratto.
Trova altresì applicazione il secondo comma del predetto articolo 6”. Quindi viene elevato il termine da 60 a 120 giorni per l’impugnazione giudiziale del carattere a tempo determinato del contratto di lavoro. Il termine è stabilito a pena di decadenza e decorrente dalla cessazione temporale del contratto di lavoro a tempo determinato nel quale il lavoratore rileva dei vizi.
Inoltre, nei casi di conversione del contratto a tempo determinato “il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge n. 604 del 1966. La predetta indennità ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro”.
In presenza di contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità è ridotto alla metà.
Esclusioni dalla normativa sul contratto a tempo determinato
Restano escluse da tutta la normativa finora dettagliata, in quanto già disciplinati da specifiche normative:
a) i rapporti instaurati ai sensi dell’articolo 8, comma 2, della legge n. 223 del 1991 (assunzioni a termine di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità);
b) i rapporti di lavoro tra i datori di lavoro dell’agricoltura e gli operai a tempo determinato;
c) i richiami in servizio del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Sono, altresì, esclusi:
a) i contratti di lavoro a tempo determinato con i dirigenti, che non possono avere una durata superiore a cinque anni, salvo il diritto del dirigente di recedere ai sensi dell’articolo 2118 del codice civile una volta trascorso un triennio;
b) i rapporti per l’esecuzione di speciali servizi di durata non superiore a tre giorni, nel settore del turismo e dei pubblici esercizi, nei casi individuati dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, fermo l’obbligo di comunicare l’instaurazione del rapporto di lavoro entro il giorno antecedente;
c) i contratti a tempo determinato stipulati con il personale docente ed ATA per il conferimento delle supplenze e con il personale sanitario, anche dirigente, del Servizio sanitario nazionale.
Per i contratti a termine presso pubbliche amministrazioni viene richiamato l'art. 36 del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, il quale, a sua volta, prevede l'applicazione della disciplina generale valida per il settore privato, con alcune deroghe e peculiarità.