Flessibilità nella pensione di vecchiaia: esteso l’art. 18 fino a 70 anni
La riforma delle pensioni ha apportato importantissime novità sui sistemi di accesso al trattamento di pensione per i lavoratori dipendenti, sia del settore pubblico che del settore privato, e per i lavoratori autonomi, sia donne che uomini. Con l’abolizione del sistema delle quote e della pensione di anzianità, l’introduzione della nuova pensione anticipata e la modifica della pensione di vecchiaia, l’età di accesso alla pensione è stata notevolmente aumentata. E di conseguenza aumenta anche l’età di permanenza nel mondo del lavoro dei lavoratori. Per questo motivo il Governo ha esteso le tutele contro i licenziamenti dei lavoratori dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
La pensione di vecchiaia. Una delle misure più importanti ha riguardato il nuovo sistema di accesso alla pensione di vecchiaia, vale a dire quella pensione a cui si accede per raggiunti limiti di età. Questo limite di età è stato esteso a 66 anni nel 2012 ed a 67 anni dal 2021, con delle variazioni per le donne del settore privato e le donne lavoratrici autonome. Per maggiori informazioni su tutti i requisiti vediamo la pensione di vecchiaia.
Ma tali requisiti anagrafici per l’accesso automatico alla pensione di vecchiaia, salvo una contribuzione di almeno 20 anni, sono in realtà adeguati alla speranza di vita, cioè l’età anagrafica necessaria sale dal 2013 in poi. Ad esempio nel 2013 saranno necessari non più 66 anni ma 66 anni e tre mesi per tutti gli uomini ed anche le donne del pubblico impiego. Mentre per le donne dipendenti del settore privato l’età salirà dai 62 anni ai 62 anni e tre mesi. Questo per l’adeguamento alla speranza di vita che nel 2012 è di tre mesi.
La flessibilità fino a 70 anni. Una delle novità più importanti è che i requisiti di età previsti per la pensione di vecchiaia sono ritenuti dalla norma come una sorta di requisiti minimi. Cioè quella è l’età minima al compimento della quale si può accedere alla pensione di vecchiaia. Ma la legge prevede degli incentivi per chi resta a lavoro fino a 70 anni. Il lavoratore potrà scegliere il momento che ritiene più adatto per lasciare il lavoro, anche tenendo conto dei vantaggi (aumento della pensione) e degli svantaggi (restare ancora a lavoro) di questa scelta.
I vantaggi. Il vantaggio di restare a lavoro è rappresentato dall’aumento della pensione dovuta al calcolo col sistema contributivo. Il coefficiente di trasformazione applicato nel calcolo della pensione sarà più favorevole per chi resta a lavoro oltre il requisito anagrafico previsto. Inoltre la pensione sarà più alta anche per il maggior numero di contributi versati per i mesi di lavoro in più effettuati. Il limite massimo di permanenza a lavoro è di 70 anni, ma anche questo limite è adeguato alla speranza di vita quindi sale nel 2013 di tre mesi: 70 anni e tre mesi.
Il diritto al posto e le tutele dell’art. 18 è fino a 70 anni
Oltre ai vantaggi previsti per la permanenza a lavoro dei lavoratori che hanno superato i 66-67 anni previsti come requisito anagrafico (l’età precisa dipende dall’anno in cui si compie gli anni e dipende dall’adeguamento alla speranza di vita dei requisiti), uno dei principali svantaggi, oltre alla stanchezza di continuare a lavorare (sempre che non si abbia voglia di continuare), poteva essere rappresentato dalle mancate tutele dell’art. 18 per il lavoratore in caso di licenziamento illegittimo. Quindi del consistente rischio di perdita del posto di lavoro per decisione aziendale, pur se dichiarata illegittima, con l’azienda forte dell’inapplicazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, la legge 300 del 1970.
Invece l’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 24 della Legge 201 del 2011 che riforma le pensioni prevece che “nei confronti dei lavoratori dipendenti, l’efficacia delle disposizioni dell’art. 18 della Legge 300 del 1970 opera fino al conseguimento del limite massimo di flessibilità”. Il limite massimo di flessibilità previsto per le pensioni di vecchiaia è di 70 anni. I lavoratori che decidono di restare a lavoro possono continuare a beneficiare della tutela reale e della tutela obbligatoria dell’art. 18, a seconda dei casi.
La tutela reale dell’art. 18. Questa tutela si applica nei confronti dei lavoratori di aziende con più di 15 dipendenti (o 5 dipendenti per il settore agricolo) nel caso di licenziamento poi dichiarato illegittimo dal giudice. Aldilà del numero di lavoratori presenti in azienda, si applica in ogni caso anche per il licenziamento discriminatorio (per credo politico, per religione, per motivi sindacali, di razza o di sesso).
Il lavoratore in caso di vittoria in giudizio con riconoscimento dell’illegittimità del licenziamento per assenza di giusta causa o giustificato motivo, avrà diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro oltre che ad una indennità come risarcimento del danno. A sua scelta, potrà optare per un risarcimento al posto della reintegrazione. Per tutte le informazioni, vediamo la tutela reale.
La tutela obbligatoria dell’art. 18. Questa tutela invece si applica alle aziende con meno di 15 dipendenti. In questo caso c’è una minor tutela per il lavoratore, che in caso di licenziamento dichiarato illegittimo dal giudice non avrà il reintegro nel posto di lavoro ma è facoltà di scelta dell’azienda se reintegrare il lavoratore o pagargli l’indennità dovuta per la condanna. Quindi una sostanziale differenza, il posto di lavoro non è salvo, decide l’azienda. Per maggiori informazioni, vediamo la tutela obbligatoria.
Il recesso ad nutum. Il compimento dell’età pensionabile determina, secondo le norme, la possibilità di recesso ad nutum del rapporto di lavoro, cioè il libero recesso del datore di lavoro o licenziamento. La legge 108 del 1990 esclude l’applicazione delle tutele dell’art. 18 nei confronti dei prestatori di lavoro di oltre 60 anni, in possesso dei requisiti pensionistici, con una deroga: “sempre che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro” nel caso in cui non abbiamo i requisiti contributivi (i 20 anni di contributi versati). Oltre a questa tutela per i lavoratori che proseguono non avendo i contributi necessari versati, si aggiunge quella prevista dalla riforma delle pensioni per coloro che continuano per migliorare la propria pensione futura.
La condanna dell’azienda. Il licenziamento del lavoratore per raggiunti limiti di età pensionabile non potrà essere applicato, nel senso che sarà necessaria la giusta causa o il giustificato motivo, oggettivo o soggettivo, ed il lavoratore potrà beneficiare delle tutele dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ossia, nel caso di sentenza del giudice che dichiara l’illegittimità del licenziamento intimato al lavoratore, il lavoratore avrà diritto al reintegro nel posto di lavoro, in caso di tutela reale, o al risarcimento del danno in caso di tutela obbligatoria. Quindi l’applicazione di tutte le normali tutele previste per gli altri lavoratori. Oltre al riconoscimento di tali diritti il lavoratore, sempre per le tutele dell’art. 18, avrà diritto anche ad essere risarcito con un’indennità corrispondente alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello di effettiva reintegrazione nel posto di lavoro, oltre che a vedersi versati i contributi previdenziali per il periodo di assenza forzata da lavoro, contributi che saranno utili per l’aumento della rata di pensione, che è uno dei principali motivi per il quale il lavoratore resta a lavoro nonostante la maturazione dell’età anagrafica per l’accesso alla pensione di vecchiaia.