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La prescrizione dei crediti di lavoro e la decorrenza del termine

Il lavoratore che vanta dei crediti nei confronti del datore di lavoro, dalla retribuzione al TFR, dalle voci retributive fisse e variabili, all’omesso versamento dei contributi, ha un lasso di tempo per far valere i propri diritti. La prescrizione nei vari casi può essere di 5 o 10 anni, ma in alcuni casi anche di un anno, come nel caso della busta paga sbagliata. Ed anche la decorrenza può essere in costanza di rapporto, se c’è tutela reale dell’art. 18. Vediamo tutti gli aspetti.
A cura di Antonio Barbato
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decorrenza prescrizione

Il lavoratore che intenda tutelare i propri diritti e riscuotere i crediti che ha maturato (trattamento di fine rapporto (TFR), retribuzioni delle buste paga, risarcimento per omesso versamento dei contributi, ecc. per non incappare nella prescrizione del diritto e nella conseguente perdita del diritto agli stessi è tenuto ad agire entro determinati termini individuati dalla legge.

La prescrizione dei diritti è prevista dal codice civile. L’art. 2934 tratta l’estinzione dei diritti: “Ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge.
Non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge”.

La prescrizione, quindi nel mondo del lavoro il trascorrere dei giorni che possono portare il lavoratore alla perdita del diritto al pagamento di quanto non riscosso, secondo quanto disposto dall’art. 2935 del codice civile (per tutti i diritti non solo i crediti di lavoro) “comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

Gli articoli successivi parlano dell’inderogabilità della prescrizione “E' nullo ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione” e dell’impossibilità di rinunciarvi “Non può rinunziare alla prescrizione chi non può disporre validamente del diritto. Si può rinunziare alla prescrizione solo quando questa è compiuta. La rinunzia può risultare da un fatto incompatibile con la volontà di valersi della prescrizione”. Chiariti gli aspetti generali relativi alla prescrizione, entriamo nel merito di quest’ultima nell’ambito dei crediti di lavoro, i crediti dei lavoratori.

La prescrizione quinquennale, decennale e presuntiva di uno o tre anni

Il lavoratore che vanta un credito di lavoro per effetto della prestazione lavorativa resa nei confronti del datore di lavoro, ha diverse tempistiche a disposizione per far valere il proprio diritto. Le forme prescrizionali previste sono sostanzialmente tre:

  • quella ordinaria decennale;
  • quella breve quinquennale (estintiva);
  • ed infine quella presuntiva. 

La prescrizione di 10 anni. In assenza di elementi normativi specifici, un ampia giurisprudenza, ha riconosciuto un termine di prescrizione ordinario di 10 anni nei seguenti casi nel mondo del lavoro:

  • per far valere diritti relativi al passaggio di qualifica;
  • per ottenere il risarcimento del danno contrattuale compreso il danno per omesso versamento contributivo totale o parziale;
  • per le erogazioni una tantum;
  • per il diritto all'accertamento della natura subordinata del rapporto nonché il diritto al riconoscimento del rapporto a tempo indeterminato e non a termine.

La prescrizione decennale dell'indennità sostitutiva per ferie non godute e mancati riposi settimanali. La Cassazione considera il termine di prescrizione di 10 anni, quindi ordinario, per chiedere il pagamento dell'indennità sostitutiva per ferie non godute e dell'indennità sostitutiva per riposi settimanali non goduti. Il diritto rivendicato, essendo direttamente correlato a un inadempimento contrattuale del datore di lavoro, ha natura squisitamente risarcitoria. E non retributiva.

La prescrizione breve di 5 anni. Sempre in materia di crediti da lavoro il legislatore ha accordato a tutela del lavoratore ex art. 2948 c.c. una prescrizione estintiva di 5 anni per tutti quei crediti che abbiano una natura di carattere retributivo caratterizzati da una certa periodicità. Si tratta dunque allo stipendio mensile, quindicinale, settimanale.

La prescrizione estintiva di 5 anni opera anche per le indennità di fine rapporto (trattamento di fine rapporto TFR, indennità di buonuscita o TFS), e per tutte le altre indennità spettanti per la cessazione del rapporto, come l'indennità sostitutiva del preavviso. La prescrizione di 5 anni opera anche per i crediti scaturenti da differenze retributive riconosciute per la qualifica superiore (quindi le differenze retributive).

La prescrizione presuntiva di 1 anno o 3 anni. Va altresì precisato che esiste anche nell'ambito dei crediti da retribuzione una prescrizione così detta presuntiva che si basa appunto sulla presunzione dell'estinzione del credito da lavoro una volta che sia trascorso un determinato periodo di tempo, nello specifico:

  • un anno per le retribuzioni pagate con cadenza non superiore al mese;
  • tre anni per le retribuzioni corrisposte con cadenza superiore al mese.

Le retribuzioni con cadenza non superiore al mese sono le retribuzioni indicate normalmente nella busta paga. Si fa riferimento soprattutto agli eventuali errori di calcolo della stessa. Le retribuzioni con cadenza superiore al mese sono ad esempio la tredicesima mensilità, la quattordicesima e le altre retribuzioni aggiuntive. Sono altresì compresi i premi annuali, le festività, e in alcuni casi le indennità sostitutive.

Va comunque ricordato che ci troviamo pur sempre dinanzi ad una presunzione legale suscettibile di sovversione in sede di giudizio, in cui l'onere della prova svolge un ruolo molto importante.

La Cassazione si è pronunciata più volte sul tema della prescrizione presuntiva. Mentre il debitore, eccipiente, è tenuto a provare il decorso del termine previsto dalla legge (quindi che il credito del lavoratore è prescritto), il creditore (quindi il lavoratore) ha l'onere di dimostrare la mancata soddisfazione del credito (mancati pagamenti), e tale prova può essere fornita soltanto con il deferimento del giuramento decisorio, ovvero avvalendosi dell'ammissione, fatta in giudizio dallo stesso debitore, che l'obbligazione non è stata estinta. E l'indagine sul contenuto delle dichiarazioni della parte (o del suo comportamento processuale), al fine di stabilire se importino o meno ammissione della non avvenuta estinzione del debito agli effetti dell'articolo 2959 del codice civile, dà luogo ad un apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato sulle ragioni all'uopo adottate dal giudice del merito in quanto confacenti e coerenti…”.

Va comunque ricordato che anche se il lavoratore facesse trascorre i termini di prescrizione, potrebbe comunque vedere accolta la sua pretesa in sede giudiziale purché la stessa risulti fondata nel merito e non eccepita la prescrizione da parte del datore di lavoro.

La decorrenza della prescrizione

Come abbiamo sin qui evidenziato, la prescrizione determina la perdita di un diritto se questo non esercitato entro un determinato periodo di tempo, a tal fine è di fondamentale importanza capire il momento in cui questo tempo breve o lungo che sia comincia a decorrere. Abbiamo già citato l’art. 2935 del codice civile che tratta appunto la decorrenza della prescrizione “dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

A tal proposito la Corte Costituzionale ha più volte ribadito con un ampia giurisprudenza in materia l'illegittimità degli art. 2948 comma 4, art. 2955 comma 2 e 2956 comma 1 del codice civile, limitatamente alla parte in cui consentono il decorso della prescrizione al diritto della retribuzione durante il rapporto di lavoro. La consulta sostiene, attraverso un interpretazione estensiva dell'ultimo comma dell'articolo 36 della Carta Costituzionale (“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”), che al pari delle diritto alle ferie ed al riposo settimanale il lavoratore non possa rinunciare alla propria retribuzione.

Pertanto i termini di prescrizione per far valere il diritto alla retribuzione non possono farsi decorrere durante il rapporto di lavoro, ma solo a seguito di cessazione dello stesso. La Corte, infatti, ha ritenuto che il lavoratore, per paura di essere licenziato, potrebbe essere indotto a non esercitare il proprio diritto, così che qualora la prescrizione si facesse decorrere durante il periodo di lavoro, produrrebbe l'effetto che l'art. 36 ha inteso precludere evitando per l'appunto qualsiasi tipo di rinuncia da parte del lavoratore.

Su tali premesse la Corte Costituzionale ha, dunque, differito al momento della cessazione del rapporto sia la prescrizione estintiva sia quella presuntiva.

Va precisato che soltanto i crediti retributivi che godono di garanzia costituzionale decorreranno quindi dalla cessazione del rapporto, tutti gli altri diritti del lavoratore di natura non retributiva, o non avente il carattere della periodicità infrannuale, e comunque non  riconducibili nell'alveo dell'art. 36 della Costituzione, quali ad esempio il diritto alla qualifica superiore o il diritto al risarcimento del danni ex art- 2116 del codice civile per omesso versamento dei contributi previdenziali, potranno estinguersi per prescrizione in costanza di rapporto di lavoro subordinato. Ma bisogna fare attenzione alla tutela reale dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, di cui parleremo in seguito.

La prescrizione nelle collaborazioni con contratto a progetto o per i lavoratori autonomi. In ultimo va evidenziato, che quanto fin qui riconosciuto dalla Corte Costituzionale, in tema di deferimento del momento iniziale e del differenziato regime circa il differimento dell'inizio del calcolo dei termini di decadenza e di prescrizione alla cessazione del rapporto di lavoro, non trova applicazione per il lavoro parasubordinato ed autonomo non godendo quest'ultimi della tutela di cui all'art 36 della costituzione.

La prescrizione  e la nella tutela reale dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori

La Corte Costituzionale con successiva giurisprudenza ha altresì circoscritto il meccanismo di differimento della prescrizione ai soli rapporti che non siano assistiti dalla tutela reale dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, prevedendo per quest'ultimi invece l'ordinario decorso in costanza del rapporto.

La tutela reale, applicata per le aziende con più di 15 dipendenti, prevede la reintegrazione nel proprio posto di lavoro del dipendente illegittimamente licenziato. Quindi se un lavoratore viene licenziato e dimostra in sede giudiziale che il licenziamento è illegittimo (ossia non motivato correttamente da giustificato motivo, oggettivo o soggettivo, o giusta causa), ottiene, oltre al risarcimento del danno, anche la possibilità di scelta tra la reintegrazione nel posto di lavoro oppure l’uscita volontaria dall’azienda, quindi la cessazione del rapporto, con l’incasso di una indennità sostitutiva.

Il requisito della stabilità del rapporto di lavoro, deve essere concreto, reale e presente sin dall'inizio dell'espletamento dello stesso, tenuto conto sia del comportamento delle parti che della configurazione che vi danno le stesse nel corso dello svolgimento.

La “stabilità” dunque, in grado di garantire una tutela concreta al lavoratore, consente al lavoratore di poter rivendicare le proprie spettanze senza incorrere nel rischio di perdita del posto di lavoro. Ossia il pericolo percepito risulta attenuato, rispetto a coloro che sono in tutela obbligatoria nelle realtà con meno di 15 dipendenti. Su questo presupposto, le pronunce della Corte Costituzionale differenziano il decorso della prescrizione. Se c’è tutela reale, la decorrenza scatta non alla fine del rapporto ma in costanza del rapporto stesso, sempre “dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

Reiterazione di contratti a termine e requisito della stabilità della tutela reale. Nel caso di più contratti a tempo determinato posti in essere con un chiaro intento fraudolento, quand'anche il giudice ex post riconosca in realtà con effetto retroattivo la sussistenza di un unico rapporto lavorativo a questo tipo di rapporto di lavoro (a tempo indeterminato) mancherà pur sempre quel concetto di “stabilità” e per intanto non potrà applicarsi il principio di decorrenza in costanza di rapporto, dal momento che il lavoratore, nell'espletamento del medesimo versava comunque in uno stato di soggezione nei confronti del datore di lavoro propria dei rapporti privi di stabilità. Questo lo ha stabilito la Cassazione in più di una sentenza.

 La stabilità la deve provare il datore di lavoro. La stabilità, la tutela reale, permettendo il decorso della prescrizione in costanza di rapporto, può essere una valida arma in favore del datore del lavoro per dimostrare l’estinzione del diritto alla retribuzione da parte del lavoratore.  Ma in ogni caso l’onere di provare il requisito della stabilità (requisiti della tutela reale), grava, ai sensi dell’art.2697, secondo comma, del codice civile, sempre sulla parte che propone l’eccezione, cioè sul datore del lavoro, debitore del credito retributivo.

In conclusione, per i lavoratori assistiti dalla stabilità reale (art. 18 l. n. 300/1970) la prescrizione quinquennale dei crediti retributivi decorre durante il rapporto, a partire dal momento in cui matura ogni singolo diritto (di solito mese per mese, con la percezione della retribuzione in busta paga).

Invece, per i lavoratori non assistiti dalla stabilità reale, la prescrizione dei crediti retributivi decorre dalla fine del rapporto, a partire dalla quale i lavoratori hanno cinque anni per rivendicare i crediti relativi al l’intera vita professionale intercorsa con il datore di lavoro.

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