Licenziamento illegittimo e tutela reale: la reintegrazione nel posto di lavoro
La libera facoltà di recesso da parte del datore di lavoro è stata limitata nel tempo da una serie di norme a tutela del lavoratore e del suo diritto al lavoro, costituzionalmente garantito. Ci sono infatti una serie di limiti sostanziali e procedurali alla libertà di licenziamento da parte del datore di lavoro. La legge n. 604 del 1996 pone i primi limiti: il licenziamento deve essere intimato solo se sussiste giusta causa o giustificato motivo. Una delle norme più importanti a tutela del lavoratore è quella prevista dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, la legge n. 300 del 1970. Si tratta della tutela reale, una speciale tutela, più intesa.
La tutela reale viene applicata in favore dei lavoratori delle aziende con più di 15 dipendenti (o 5 dipendenti nel settore agricolo). In pratica, nel caso in cui il lavoratore dimostri, ed ottenga sentenza dal giudice, che il licenziamento subito dal proprio datore di lavoro è illegittimo (cioè senza giusta causa o giustificato motivo), avrà diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, oppure al pagamento di una indennità sostitutiva della reintegrazione pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto, oltre che al risarcimento del danno. E la scelta tra la reintegrazione o il pagamento dell’indennità sostitutiva spetta al lavoratore.
Diversamente, nel caso in cui il lavoratore svolga una attività lavorativa in una azienda o unità produttiva che non raggiunge il livello dimensionale della tutela reale, avrà diritto alla tutela obbligatoria.
La sentenza di reintegrazione: il ripristino del rapporto di lavoro
Accertata in sede giudiziaria l’illegittimità del licenziamento, per assenza di giusta causa o giustificato motivo, il giudice dispone la reintegrazione nel posto di lavoro e tale sentenza ha efficacia ripristinatoria del rapporto di lavoro. Ciò vuol dire che il rapporto di lavoro deve intendersi ricostituito ad ogni fine giuridico ed economico sulla base della sola pronuncia del giudice. Non ci sarà bisogno di una riassunzione da parte del datore di lavoro.
Per effetto della sentenza di primo grado, il rapporto di lavoro è ricostituito ed il lavoratore ha diritto al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del licenziamento. Il risarcimento è pari alla retribuzione globale di fatto che il dipendente avrebbe percepito per il periodo intercorrente dal giorno del licenziamento e sino alla sua reintegrazione. Quindi oltre alla reintegrazione, o alla indennità sostitutiva di 15 mensilità, se il lavoratore opta per quest’ultima, c’è anche il risarcimento con il pagamento da parte del datore di lavoro di tutte le mensilità perse dal lavoratore a seguito del licenziamento. Per maggiori informazioni, vediamo l’approfondimento sul risarcimento dei danni nella tutela reale.
La reintegrazione e la custodia cautelare in carcere. Si tratta dell’ipotesi in cui il lavoratore sia sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari e in ragione di questo sia stato licenziato dal proprio datore di lavoro. Il lavoratore ha diritto ad essere reintegrato nel posto di lavoro medesimo qualora venga pronunciata in suo favore una sentenza di assoluzione, di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero venga disposto il provvedimento di archiviazione.
L’invito a riprendere servizio
Con la sentenza di primo grado del giudice che dispone il reintegro, il datore di lavoro è tenuto ad invitare il lavoratore a riprendere servizio. Ed il lavoratore è tenuto a riprenderlo entro 30 giorni dalla ricezione dell’invito. Nel caso in cui il lavoratore entro 30 giorni non ottempera all’invito e non richiede il pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegrazione, il rapporto di lavoro di considera risolto.
Stesso posto di lavoro. Il dipendente che risponde all’invito riprendendo servizio deve essere riammesso nella medesima posizione di lavoro che ricopriva al momento del licenziamento.
Il trasferimento del lavoratore. Il suo trasferimento ad un’altra unità produttiva è da ritenersi legittimo solo se successivo alla riammissione in servizio e, soprattutto, sempre che sia giustificato da esigenze organizzative e produttive.
Mansioni equivalenti. E’ facoltà del datore di lavoro adibire il lavoratore ad altre mansioni equivalenti a quelle esercitate all’atto del licenziamento. Tali mansioni non devono però essere inidonee o arrecare qualsivoglia pregiudizio al lavoratore, sia in termini economici, che di possibilità di carriera, di autonomia o di discrezionalità.
L’opzione per l’indennità sostitutiva
La tutela reale consente al lavoratore di poter scegliere tra il reintegro nel posto di lavoro ed il pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegrazione. Infatti, ai sensi del comma 5 dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970, il lavoratore può optare per il pagamento di una indennità sostitutiva pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto e tale diritto, come già visto, va esercitato entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza di reintegrazione del giudice.
Per il datore di lavoro, l’obbligo di reintegrare il lavoratore si estingue solamente all’atto del pagamento dell’indennità sostitutiva, non al momento della dichiarazione da parte del lavoratore di aver optato per l’indennità sostitutiva. Questo chiarimento è importante anche per l’entità del risarcimento del danno. Infatti quest’ultimo va commisurato alle retribuzioni che sarebbero maturate fino al giorno del pagamento dell’indennità sostitutiva e non solo fino alla data in cui il lavoratore ha espresso l’opzione.