L’orario di lavoro settimanale, giornaliero, normale e massimo
L’orario di lavoro è un elemento determinante del contratto di lavoro, infatti consente di stabilire da un lato la durata della prestazione lavorativa, dall’altro lato la retribuzione spettante al lavoratore per le ore di lavoro prestate. L’art. 36 della costituzione, infatti, sancisce il principio che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro” e l’orario di lavoro è l’elemento misuratore della retribuzione.
Ma l’art. 36 pone anche limiti alla durata massima della giornata lavorativa che “è stabilita dalla legge”. In tal proposito, il D. Lgs. 66 del 2003, ha disciplinato l’orario di lavoro definendo sia l’orario normale che il limite massimo della prestazione lavorativa, nel rispetto anche dell’integrità psico-fisica del lavoratore.
L’orario di lavoro settimanale
L’orario settimanale normale di lavoro è fissato in 40 ore settimanali (art. 3 del D. Lgs. 66/2003). Pertanto la legge commisura l’orario in base alla settimana di lavoro. Ma una circolare del Ministero del Lavoro (n. 8 del 2005) ha stabilito che le 40 ore settimanali possono essere riferite ad ogni periodo di sette giorni, non necessariamente dal lunedì alla domenica. Le ore di lavoro prestate oltre le 40 ore settimanali, invece, sono da considerarsi ore di lavoro straordinario, retribuite con le maggiorazioni previste dal contratto collettivo.
La circolare ha anche stabilito anche che la distribuzione dell’orario di lavoro potrà superare le 8 ore giornaliere, purché nell’ambito settimanale si superino le 40 ore come media. In questo caso le ore prestate oltre le 8 ore giornaliere non costituiscono lavoro straordinario.
L’art. 3 del D. Lgs. 66/2003 definisce anche che i contratti collettivi, anche territoriali o aziendali, possono stabilire che l’orario normale:
- abbia una durata settimanale inferiore a 40 ore (es. 36 ore. In questo caso le prestazioni effettuate oltre l’orario stabilito dal contratto collettivo ma entro il limite legale delle 40 ore, possono essere retribuite come lavoro supplementare. Nell’es. da 36 a 40 ore);
- sia determinato con riferimento alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno (cd. orario multiperiodale, cioè è il caso di orari settimanali superiori a 40 ore per alcuni periodi e inferiori per altri periodi, con una media nell’anno civile, 1 gennaio-31 dicembre, che non superi le 40 ore settimanali).
L’orario di lavoro massimo
L’orario settimanale massimo di lavoro è fissato in 48 ore settimanali ogni 7 giorni, compreso il lavoro straordinario (art. 4 comma 2 del D. Lgs 66/2003). Ai contratti collettivi è data la possibilità di stabilire il periodo di riferimento ed anche ridurre il limite massimo settimanale. Pertanto oltre le 40 ore settimanali è consentito il lavoro straordinario per un massimo di 8 ore, mediamente.
Infatti per osservare la norma sul limite massimo, il periodo di riferimento non può essere superiore ai 4 mesi (elevabile dai contratti collettivi a 6 mesi e fino a 12 mesi a fronte di ragioni obiettive, tecniche o organizzative).
Il limite di 48 ore quindi può essere superato, ma nell’arco dei mesi di riferimento deve esserci un sistema di compensazione che permette il raggiungimento di una media pari o inferiore a 48 ore lavorate settimanali medie. Non sono computati nella media, i periodi di assenza per ferie o malattia o il lavoro straordinario per il quale il lavoratore ha beneficiato di riposi compensativi.
L’orario di lavoro giornaliero
Rispetto al passato nel nostro ordinamento non è più previsto un limite alla durata giornaliera del lavoro, quindi alle ore di lavoro giornaliere. Ma l’art. 7 del D. Lgs. 66/2003, prevede il riposo giornaliero: Il lavoratore ha diritto ad un periodo di riposo di 11 ore ogni 24 ore.
Pertanto, esiste un vincolo alla durata massima della giornata lavorativa che deve ritenersi pari a 13 ore, essendo il periodo di riposo di 11 ore un periodo minimo inderogabile. Infatti qualsiasi accordo che diminuisca tale periodo è nullo. Le 11 ore di riposo devono essere anche fruite in maniera consecutiva (ad eccezione dei lavoratori con orari frazionati durante la giornata). Alla parti sociali è consentito derogare in meglio nei contratti collettivi, ossia prevedere un periodo di riposo giornaliero superiore ad 11 ore ed un periodo
Periodi esclusi dall’orario di lavoro
Sono esclusi dall’attività lavorativa e dall’applicazione dei limiti all’orario di lavoro (sia per il calcolo dell’orario settimanale, che giornaliero, che massimo) sia il tempo impiegato dal lavoratore per raggiungere il posto di lavoro (c.d. tempo di viaggio) che la reperibilità. E sono esclusi anche i riposi intermedi presi sia all’interno che all’esterno dell’azienda, le soste di lavoro di durata non inferiore a 10 minuti e di massimo 2 ore.
E’ da precisare che qualora il tempo di viaggio sia funzionale rispetto alla prestazione lavorativa richiesta dal datore di lavoro, viene computato nell’orario normale di lavoro. E’ il caso dello spostamento dalla sede aziendale, dove il dipendente è obbligato a presentarsi, al luogo in cui si esercita l’attività lavorativa. E’ però escluso il tempo di viaggio nel caso di attività lavorativa svolta dal lavoratore in trasferta.
Per quanto riguarda la reperibilità, che consiste nell’obbligo del lavoratore di porsi in condizione di essere reperibile dal datore di lavoro in vista di una eventuale prestazione lavorativa su richiesta, essa viene ritenuta una restrizione della propria libertà con diritto al trattamento economico con riconoscimento dell’indennità di reperibilità. Ma non viene considerata nell’orario di lavoro, pur incidendo sul riposo settimanale (normalmente coincidente con la domenica).
Categorie di lavoratori escluse dai limiti di orario
Sono esclusi dalla disciplina relativa all’orario di lavoro settimanale, straordinario, ai riposi giornalieri e le pause, i seguenti lavoratori:
- Dirigenti, quadri, personale direttivo delle aziende e gli altri lavoratori con potere di determinazione autonoma del proprio tempo di lavoro;
- I lavoratori a domicilio e quelli di telelavoro;
- I lavoratori nel settore liturgico delle chiese e comunità religiose;
- La manodopera familiare.
Sono altresì esclusi i seguenti lavoratori:
- Addetti ai lavori di manutenzione e sorveglianza degli impianti e vigilanza dell’azienda;
- I viaggiatori e piazzisti;
- Personale viaggiante dei servizi pubblici e di trasporto terrestre;
- I giornalisti professionisti e pubblicisti;
- Gli operai del settore poligrafico, gli addetti alle attività di composizione, stampa, produzione di quotidiani e settimanali;
- Personale addetto ai servizi di informazione radiotelevisiva;
- Personale addetto alle aree operative per assicurare la continuità dei servizi pubblici (poste, porti e aeroporti, autostrade, trasporti pubblici, telecomunicazioni, produzione e distribuzione di energia elettrica, gas, acqua, trattamento, smaltimento e trasporto di rifiuti solidi urbani, ecc).
Rientrano tra le categorie di lavoratori esclusi anche gli addetti ai lavori discontinui. Si tratta di quei lavoratori che svolgono del lavoro discontinuo, cioè caratterizzato da pause di inattività durante le quali il lavoratore ha la possibilità di reintegrare le energie psico-fisiche consumate. E’ il caso dei custodi, dei guardiani notturni e diurni, dei portinai, del personale addetto all’estinzione degli incendi, alla sorveglianza degli impianti, ecc. L’elenco completo è tassativamente indicato nel R.D. 6 dicembre 1923, n. 2657).