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Naspi in caso di rifiuto del lavoratore al trasferimento: ecco i casi in cui spetta

L’Inps ha confermato che la Naspi spetta in caso di rifiuto del lavoratore al trasferimento ad altra sede aziendale distante oltre 50 chilometri dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile in 80 minuti o oltre con i mezzi di trasporto pubblico. Ma occorre un accordo con l’azienda, anche con incentivo all’esodo, per una risoluzione consensuale intervenuta nell’ambito della procedura di conciliazione. Spetta la Naspi anche in caso di dimissione per giusta causa, ma occorre dimostrare, innanzi al giudice o in maniera extragiudiziale, che il trasferimento non è sorretto da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, pena la restituzione della Naspi.
A cura di Antonio Barbato
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Naspi trasferimento lavoratore

La Naspi spetta in caso di rifiuto del lavoratore al trasferimento ad altra sede della stessa azienda ma solo se c’è un accordo di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anche in presenza di incentivo all’esodo. A stabilirlo è un messaggio dell’Inps, che attribuisce il diritto alla Naspi al lavoratore anche in caso di dimissione per giusta causa a seguito del trasferimento del lavoratore, ma sul lavoratore pende l’esito del giudizio sull’effettiva giusta causa della dimissione.

Il messaggio dell’Inps che tratta nello specifico i casi di Naspi in caso di rifiuto del lavoratore al trasferimento è il messaggio Inps n. 369 del 26 gennaio 2018.

Si parla dell’accesso alla indennità di disoccupazione NASpi nelle ipotesi di:

  • risoluzione consensuale in seguito al rifiuto da parte del lavoratore al proprio trasferimento ad altra sede della stessa azienda distante oltre 50 chilometri dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile in 80 minuti o oltre con i mezzi di trasporto pubblico;
  • e nella ipotesi di dimissioni per giusta causa a seguito del trasferimento del lavoratore.

Sono questi i due casi in cui la Naspi spetta in caso di rifiuto del lavoratore al trasferimento in altra sede dell’azienda. Ma occorre fare molta attenzione al contenuto del messaggio dell’Inps, in quanto, come vedremo, al lavoratore che ha deciso di lasciare il posto di lavoro perché non è sostenibile il trasferimento da parte dell’azienda, conviene la risoluzione consensuale del rapporto, e quindi un accordo con il datore di lavoro, anziché perseguire la strada della dimissione per giusta causa. Vediamo perché.

Quale trasferimento del lavoratore dà diritto alla Naspi

Prima di tutto il messaggio dell’Inps chiarisce in quali casi il trasferimento può autorizzare una risoluzione consensuale o comunque una dimissione per giusta causa che dà potenziale diritto all’indennità di disoccupazione Naspi. Si deve trattare della seguente ipotesi:

  • trasferimento ad altra sede della stessa azienda distante oltre 50 chilometri dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile in 80 minuti o oltre con i mezzi di trasporto pubblico.

Se ricorre questo caso, la risoluzione consensuale dà diritto alla Naspi. La dimissione per giusta causa pure, ma occorre che il lavoratore non solo avvii un contenzioso con l’azienda, che va pure inserito nella documentazione di richiesta della Naspi, ma anche che la dimissione per giusta causa sia ratificata dal giudice, pena la restituzione della Naspi.

Risoluzione consensuale per rifiuto trasferimento del lavoratore: normativa e circolari Inps

L’ente previdenziale nel messaggio n. 369/2018 ricorda che sul diritto all’indennità di disoccupazione Naspi in caso di rifiuto del trasferimento del lavoratore, l’Inps ha fornito istruzioni nelle seguenti circolari/messaggi:

  • circolari INPS n. 97 del 2003, n. 163 del 2003, n. 108 del 2006 ed il messaggio Hermes n. 016410 del 20/7/2009 in materia di indennità di disoccupazione ordinaria, agricola e non agricola, con requisiti normali o con requisiti ridotti,
  • nonché con la circolare INPS n. 142 del 2012 in materia di indennità di disoccupazione ASpI e mini-ASpi,
  • ed infine con le circolari INPS n. 94 e n. 142 del 2015 in materia di indennità NASpI.

Poi nel messaggio l’Inps ricorda che la nuova normativa sulla Naspi riconosce, ai sensi dell’art. 2 comma 4 della legge n. 92 del 2012 e l’art.3 del d.lgs. n. 22 del 2015, il diritto all’indennità di disoccupazione NASpI ai lavoratori dipendenti che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che presentino congiuntamente gli ulteriori requisiti legislativamente previsti.

Quale risoluzione consensuale dà diritto alla Naspi

In ordine al requisito della involontarietà dello stato di disoccupazione, ai sensi dell’art.2 comma 5 della citata legge n. 92 e dell’art. 3 comma 2 del citato decreto n.22 le predette indennità di disoccupazione sono riconosciute anche nelle ipotesi di:

  • dimissioni per giusta causa;
  • e di risoluzione consensuale intervenuta nell’ambito della procedura di conciliazione di cui all’art.7 della legge n.604 del 1966 come modificato dall’art.1, comma 40, della legge n.92 del 2012.

Quindi il primo aspetto che chiarisce il messaggio dell’Inps è che la risoluzione consensuale tra datore di lavoro e lavoratore che rifiuta il trasferimento ad altra sede aziendale (sempre distante oltre 50 chilometri dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile in 80 minuti o oltre con i mezzi di trasporto pubblico) deve essere effettuata nell’ambito della procedura di conciliazione di cui all’art.7 della legge n.604 del 1966 come modificato dall’art.1, comma 40, della legge n.92 del 2012.

 

Differenze tra risoluzione consensuale e dimissione per giusta causa ai fini Naspi

 

Il messaggio Inps chiarisce in maniera definitiva che la Naspi spetta nelle ipotesi di dimissioni per giusta causa e cioè in presenza di:

  • una condizione di improseguibilità del rapporto di lavoro,
  • la cui ricorrenza deve essere valutata dal giudice.

In questo caso “l’atto di dimissioni del lavoratore è comunque da ascrivere al comportamento di un altro soggetto e il conseguente stato di disoccupazione non può che ritenersi involontario. E quindi vi è il diritto alla Naspi.

Analogamente lo stato di disoccupazione può ritenersi involontario nelle ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro in cui le parti addivengono alla risoluzione consensuale del rapporto medesimo, sia in esito alla procedura di conciliazione di cui all’art.7 della legge n.604 del 1966 come modificato dall’art.1, comma 40, della legge n.92 del 2012 sia in esito al rifiuto del lavoratore al trasferimento ad altra sede della stessa azienda distante oltre 50 km dalla residenza del lavoratore o mediamente raggiungibile in oltre 80 minuti con i mezzi di trasporto pubblico.

Su tale ultima ipotesi di risoluzione consensuale in esito al rifiuto al trasferimento, come precisato nella circolare INPS n. 108 del 2006, la volontà del lavoratore può essere stata indotta dalle notevoli variazioni delle condizioni di lavoro conseguenti al trasferimento ad altra sede dell’azienda distante più di 50 km dalla residenza del lavoratore e/o raggiungibile in 80 minuti con i mezzi pubblici. Pertanto, in tale caso si può riconoscere l’indennità di disoccupazione. Il riconoscimento all’indennità in detta ipotesi è stato confermato anche con le circolari INPS n. 142 del 2012 in materia di ASpI e n. 142 del 2015 in materia di NASpI.

Noterete quindi che la differenza è sostanziale. Nel caso della dimissione per giusta causa, l’Inps richiama l’intervento di un giudice che accerti la giusta causa di dimissioni, mentre per la risoluzione consensuale il diritto alla Naspi è definitivo.

Dimissioni per giusta causa per rifiuto trasferimento del lavoratore: rischio restituzione Naspi

A confermare il percorso più complicato, in termini di diritto alla Naspi per il lavoratore che opta per la dimissione per giusta causa rispetto ad una risoluzione consensuale con il datore di lavoro, è la parte finale del messaggio dell’Inps che precisa che “In presenza di dimissioni che il lavoratore asserisce avvenute per giusta causa, a seguito di trasferimento ad altra sede dell’azienda è ammesso l’accesso alla prestazione NASpI a condizione che il trasferimento non sia sorretto da “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” previste dall’art.2103 c.c..”.

E quali sono queste ragioni che giustificano il trasferimento? “Per quanto attiene alla ipotesi di dimissioni a seguito del trasferimento del lavoratore ad altra sede della stessa azienda, si precisa che in tale circostanza – come anche affermato dall’Ufficio del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nel parere reso sulla materia – ricorre la giusta causa delle dimissioni qualora il trasferimento non sia sorretto da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive e ciò indipendentemente dalla distanza tra la residenza del lavoratore e la nuova sede di lavoro”.

Quindi il lavoratore deve concretamente dimostrare in giudizio che aldilà delle distanze tra una sede e l’altra datoriale, vi è proprio un trasferimento che non ha ragioni di esistere in termini di ragioni tecniche, organizzative e produttive datoriali e tale dimostrazione deve farla in giudizio, innanzi ad un giudice.

Il lavoratore infatti dovrà dichiarare, in sede di presentazione della domanda di Naspi, la dimissione per giusta causa e a tal fine deve allegare alla domanda “una documentazione (dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui agli articoli 38 e 47 del D.P.R n. 445/2000) da cui risulti almeno la sua volontà di “difendersi in giudizio” nei confronti del comportamento illecito del datore di lavoro (allegazione di diffide, esposti, denunce, citazioni, ricorsi d’urgenza ex articolo 700 c.p.c., sentenze ecc. contro il datore di lavoro, nonché ogni altro documento idoneo), impegnandosi a comunicare l’esito della controversia giudiziale o extragiudiziale”.

Oltre ad aver avviato il contenzioso con l’azienda, il lavoratore deve ottenere anche esito positivo sulla giusta causa delle dimissioni, pena la revoca della Naspi e la restituzione della Naspi: “Laddove l’esito della lite dovesse escludere la ricorrenza della giusta causa di dimissioni, si dovrà procedere al recupero di quanto pagato a titolo di indennità di disoccupazione, così come avviene nel caso di reintegra del lavoratore nel posto di lavoro successiva a un licenziamento illegittimo che ha dato luogo al pagamento dell’indennità di disoccupazione”.

Incentivo all’esodo non penalizza il diritto alla Naspi

A confermare la strada della risoluzione consensuale più percorribile rispetto alla dimissione per giusta causa, è anche la parte del messaggio dell’Inps che consente una risoluzione consensuale con un accordo che comprende un incentivo all’esodo, un incentivo alla chiusura del rapporto di lavoro erogato dal datore di lavoro in favore del lavoratore. L’Inps conferma che le somme di denaro offerte dal datore di lavoro in sede di conciliazione per la risoluzione consensuale del rapporto a seguito di rifiuto del trasferimento del lavoratore non creano problemi al diritto alla Naspi del lavoratore.

L’Inps: “Si verifica, inoltre, di frequente che nei suddetti casi di risoluzione a seguito di rifiuto del trasferimento da parte del lavoratore le parti (datore di lavoro e lavoratore), in sede di conciliazione, convengono sulla corresponsione a vario titolo, spesso a titolo di incentivo, di somme, talvolta consistenti, diverse da quelle spettanti in relazione al pregresso rapporto di lavoro. Anche in tali fattispecie – acquisito sulla materia il parere favorevole dell’Ufficio Legislativo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – è possibile quindi accedere alla indennità di disoccupazione NASpI, in presenza di tutti i requisiti legislativamente previsti, anche laddove il lavoratore ed il datore di lavoro pattuiscano la corresponsione, a favore del lavoratore, di somme a vario titolo e di qualunque importo esse siano”.

In sostanza le parti possono addivenire ad una risoluzione consensuale del rapporto, con offerta datoriale di qualsiasi importo, e tale risoluzione dà diritto alla Naspi riconosciuta dall'Inps in favore del lavoratore, che viene considerato in uno stato di disoccupazione involontaria e, in presenza degli altri requisiti della Naspi, ha diritto alla prestazione.

Va ricordato, infine, che per la risoluzione consensuale in caso di trasferimento del lavoratore, l'azienda è tenuta al versamento del ticket Naspi. 

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