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Quando un immobile viene considerato abitazione principale ai fini IMU

Con l’abolizione della seconda rata dell’IMU 2013 per la prima casa, è sempre più importante il possesso dei requisiti di dimora abituale e residenza anagrafica sul proprio immobile adibito ad abitazione principale. Agevolate anche le pertinenze. Dopo le modifiche del 2012 c’è un vincolo relativo al nucleo familiare del contribuente. Vediamo anche i casi in cui i coniugi sono proprietari di due immobili.
A cura di Antonio Barbato
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immobile adibito a prima casa

L’Imposta Municipale propria (IMU) nella sua formulazione normativa prevede l’applicazione dell’imposta anche per le abitazioni principali e le relative pertinenze. Il Decreto Legge n. 201 del 2011 prevedeva un’aliquota agevolata dello 0,4% elevabile dai Comuni. Le modifiche intervenute politicamente nell’anno 2013 hanno portato all’abolizione del saldo IMU, che interessa tra gli immobili, le abitazioni principali. Riveste quindi particolare importanza, visto l’esonero dal pagamento, il requisito della contemporanea dimora abituale e residenza anagrafica previsto dalla normativa IMU per adibire un immobile ad abitazione principale, tenuto conto anche del requisito legato ai familiari del contribuente. 

La definizione di abitazione principale ai fini Imu. A definire l’abitazione principale ai fini dell’applicazione dell’imposta municipale propria (IMU) è l’art. 13, comma 2 del Decreto Legge n. 201 del 2011. Il comma 2 recita: “Per  abitazione  principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente”.

Tale definizione è stata poi modificata dal Decreto Legge n. 16 del 2012 che ha introdotto il vincolo relativo al nucleo familiare del contribuente. La parte finale della definizione è stata modificata prevedendo la seguente dicitura nella quale il contribuente “e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”. Quindi il riconoscimento dell’abitazione principale è legato ad un requisito più ampio, ossia il contribuente e i suoi familiari, inseriti nel nucleo familiare, devono possedere la residenza e la dimora abituale nell’immobile.

Poi la definizione delle pertinenze dell’abitazione principale sempre ai fini IMU: “Per pertinenze dell'abitazione   principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali  C/2,  C/6  e  C/7,  nella misura massima di un'unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate,  anche se iscritte in catasto unitamente all'unità ad uso abitativo”.

Gli immobili di categoria catastale A/1, A/8 e A/9 sono esclusi dalle agevolazioni per la prima casa. Pur essendo abitazione principale non sono oggetto di agevolazioni in materia IMU le seguenti categorie catastali:

  • A/1 – abitazioni di tipo signorile: Unità immobiliari appartenenti a fabbricati ubicati in zone di pregio con caratteristiche costruttive, tecnologiche e di rifiniture di livello superiore a quello dei fabbricati di tipo residenziale;
  • A/8 – Abitazioni in ville: Per ville devono intendersi quegli immobili caratterizzati essenzialmente dalla presenza di parco e/o giardino, edificate in zone urbanistiche destinate a tali costruzioni o in zone di pregio con caratteristiche costruttive e di rifiniture, di livello superiore all'ordinario;
  • A/9 – Castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici: Rientrano in questa categoria i castelli ed i palazzi eminenti che per la loro struttura, la ripartizione degli spazi interni e dei volumi edificati non sono comparabili con le Unità tipo delle altre categorie; costituiscono ordinariamente una sola unità immobiliare. È compatibile con l'attribuzione della categoria A/9 la presenza di altre unità, funzionalmente indipendenti, censibili nelle altre categorie. 

L’art. 13, comma 7, del Decreto Legge n. 201 del 2011, fissa direttamente l’aliquota da applicare all’abitazione principale e alle relative pertinenze allo 0,4%. I comuni possono, comunque, intervenire su detta aliquota aumentandola o diminuendola sino a 0,2 punti percentuali. Ciò significa che la misura dell’aliquota per l’abitazione principale e le relative pertinenze può essere elevata fino allo 0,6 % e può essere diminuita fino allo 0,2 %. L’eventuale aumento concesso dai Comuni può comportare l’obbligo di provvedere al versamento entro il 16 gennaio 2014 del 40% dello 0,2% di differenza tra i due calcoli dell’IMU, quello con aliquota allo 0,4% secondo l’aliquota di base e quello con l’aliquota maggiorata dello 0,60%.  Per maggiori informazioni vediamo l’esonero parziale IMU sull’abitazione principale.

Questo lieve versamento (rispetto all’IMU ordinaria), dovuto all’aumento dell’aliquota comunale, ma in deroga all’abolizione della seconda rata IMU, scatta anche in questo caso se l’immobile è adibito ad abitazione principale, quindi con la presenza contemporanea della dimora abituale e della residenza anagrafica come requisiti.

Analizziamo ora gli aspetti fondamentali indicati nella definizione di abitazione principale ossa l’unica unità immobiliare ai fini catastali, e appunto la dimora abituale e la residenza anagrafica.

L’accatastamento unitario come requisito

Come precisato dalla circolare n. 3/DF del 2012 del Ministero delle finanze, dalla lettura della norma emerge, innanzitutto, che l’abitazione principale deve essere costituita da una sola unità immobiliare iscritta o iscrivibile in catasto a prescindere dalla circostanza che sia utilizzata come abitazione principale più di una unità immobiliare distintamente iscritta in catasto. In tal caso, le singole unità immobiliari vanno assoggettate separatamente ad imposizione, ciascuna per la propria rendita. Pertanto, il contribuente può scegliere quale delle unità immobiliari destinare ad abitazione principale, con applicazione delle agevolazioni e delle riduzioni IMU per questa previste; le altre, invece, vanno considerate come abitazioni diverse da quella principale con l’applicazione dell’aliquota deliberata dal comune per tali tipologie di fabbricati. Il contribuente non può, quindi, applicare le agevolazioni per più di una unità immobiliare, a meno che non abbia preventivamente proceduto al loro accatastamento unitario.

Quindi il contribuente che decide di utilizzare come unica abitazione principale immobili che catastalmente sono separati, non potrà considerare entrambi gli immobili come abitazione principale ma dovrà invece fruire dell’agevolazione per la prima casa ai fini IMU solo per un immobile e per l’altro dovrà pagare l’imposta sulla base dell’aliquota ordinaria stabilita dal Comune.

La dimora abituale e la residenza anagrafica del contribuente e familiari

L’altro aspetto di novità dell’IMU rispetto alla vecchia Ici consiste nel fatto che per abitazione principale si deve intendere l’immobile nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. In altri termini, il legislatore ha innanzitutto voluto collegare i benefici dell’abitazione principale e delle sue pertinenze al possessore e al suo nucleo familiare e, in secondo luogo, ha voluto unificare il concetto di residenza anagrafica e di dimora abituale, individuando come abitazione principale solo l’immobile in cui le condizioni previste dalla norma sussistono contemporaneamente, ponendo fine, anche in questo caso, alle problematiche applicative che sulla questione hanno interessato l’ICI, per la quale contava molto di più la dimora abituale, mentre la residenza era un mero parametro presuntivo (e siccome la presunzione era semplice poteva essere vinta con la prova contraria).

In sostanza la differenza è che mentre con l’ICI un contribuente poteva essere proprietario di due abitazioni (ad esempio una a Milano e poi l’altra acquistata successivamente a Roma) e tralasciando la regolarità anagrafica, poteva nei fatti dimostrare dove era la sua dimora e beneficiare dell’agevolazione sulla prima casa ICI (ad esempio su Roma).

Tale situazione è superata con le nuove regole IMU che prevedono il doppio requisito sullo stesso immobile per essere riconosciuto come abitazione principale. Nel caso di cui sopra, addirittura il contribuente avendo residenza a Milano ma dimora a Roma, si troverebbe con la mancanza dei requisiti su entrambe le case. Quindi deve rivedere la propria posizione dichiarando la residenza anagrafica dove dimora abitualmente.

La circolare n. 3/DF del 2012 dell’Agenzia delle Entrate prevede anche il caso di due coniugi con residenza in due abitazioni diverse: “Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, l’aliquota e la detrazione per l’abitazione principale e per le relative pertinenze devono essere uniche per nucleo familiare indipendentemente dalla dimora abituale e dalla residenza anagrafica dei rispettivi componenti”.

Lo scopo di tale norma è quello di evitare comportamenti elusivi in ordine all’applicazione delle agevolazioni per l’abitazione principale, e, quindi, la norma deve essere interpretata in senso restrittivo, soprattutto per impedire che, nel caso in cui i coniugi stabiliscano la residenza in due immobili diversi nello stesso comune, ognuno di loro possa usufruire delle agevolazioni dettate per l’abitazione principale e per le relative pertinenze.

Se, ad esempio, nell’immobile in comproprietà fra i coniugi, destinato all’abitazione principale, risiede e dimora solo uno dei coniugi, non legalmente separati, poiché l’altro risiede e dimora in un diverso immobile, situato nello stesso comune, l’agevolazione non viene totalmente persa, ma spetta solo ad uno dei due coniugi. Nell’ipotesi in cui sia un figlio a dimorare e risiedere anagraficamente in altro immobile ubicato nello stesso comune, e, quindi, costituisce un nuovo nucleo familiare, il genitore perde solo l’eventuale maggiorazione della detrazione.

Il legislatore non ha, però, stabilito la medesima limitazione nel caso in cui gli immobili destinati ad abitazione principale siano ubicati in comuni diversi, poiché in tale ipotesi il rischio di elusione della norma è bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro comune, ad esempio, per esigenze lavorative.

Imu sulle pertinenze dell’abitazione principale

L’art. 13, comma 2, del D. L. n. 201 del 2011, già indicato in precedenza, stabilisce che “per pertinenze dell’abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo”. Sulla base del chiaro dettato normativo, possono intendersi quali pertinenze soltanto le unità immobiliari accatastate nelle categorie:

• C/2: magazzini e locali di deposito; cantine e soffitte se non unite all’unità immobiliare abitativa;

• C/6: stalle, scuderie, rimesse, autorimesse;

• C/7: tettoie.

Il contribuente può considerare come pertinenza dell’abitazione principale soltanto un’unità immobiliare per ciascuna categoria catastale, fino ad un massimo di tre pertinenze appartenenti ciascuna ad una categoria catastale diversa, espressamente indicata dalla norma. Rientra nel limite massimo delle tre pertinenze anche quella che risulta iscritta in catasto unitamente all’abitazione principale. Entro il suddetto limite il contribuente ha la facoltà di individuare le pertinenze per le quali applicare il regime agevolato.

Se, per esempio, possiede 3 pertinenze di cui una cantina accatastata come C/2 e due garages classificati come C/6, sarà lo stesso contribuente ad individuare fra questi ultimi la pertinenza da collegare all’abitazione principale. Se, però, la cantina risulta iscritta congiuntamente all’abitazione principale, il contribuente deve applicare le agevolazioni previste per tale fattispecie solo ad altre due pertinenze di categoria catastale diversa da C/2, poiché in quest’ultima rientrerebbe la cantina iscritta in catasto congiuntamente all’abitazione principale. Le eventuali ulteriori pertinenze sono assoggettate all’aliquota ordinaria.

Bisogna anche tenere conto dell’evenienza in cui due pertinenze, di solito la soffitta e la cantina, siano accatastate unitamente all’unità ad uso abitativo. In tale caso, in base alle norme tecniche catastali, la rendita attribuita all’abitazione ricomprende anche la redditività di tali porzioni immobiliari non connesse. Pertanto, poiché dette pertinenze, se fossero accatastate separatamente, sarebbero classificate entrambe in categoria C/2, per rendere operante la disposizione in esame, si ritiene che il contribuente possa usufruire delle agevolazioni per l’abitazione principale solo per un’altra pertinenza classificata in categoria catastale C/6 o C/7.

I comuni non possono intervenire con una disposizione regolamentare in ordine all’individuazione delle pertinenze e tale affermazione è avvalorata dall’abrogazione ad opera dell’art. 13, comma 14, lett. b), del D. L. n. 201 del 2011, della lett. d), comma 1, dell’art. 59 del D. Lgs. n. 446 del 1997, che consentiva agli enti locali, nell’esercizio della potestà regolamentare, di “considerare parti integranti dell’abitazione principale le sue pertinenze, ancorché distintamente iscritte in catasto”.

Le eventuali pertinenze eccedenti il numero di tre sono, ovviamente, assoggettate all’aliquota ordinaria. In tal modo, il legislatore ha fornito chiarezza su un aspetto che nel passato ha causato diversi problemi applicativi garantendo un uniforme trattamento normativo su tutto il territorio nazionale.

In merito all’individuazione delle pertinenze, la Corte di Cassazione in una sentenza del 2009, ha affermato che “ai sensi dell’art. 817 c.c., sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa” e, pertanto, ai fini dell’attribuzione della qualità di pertinenza occorre basarsi “sul criterio fattuale e cioè sulla destinazione effettiva e concreta della cosa al servizio od ornamento di un’altra, secondo la relativa definizione contenuta nell’art. 817 c.c.”.

In materia fiscale, attesa la indisponibilità del rapporto tributario, la prova dell’asservimento pertinenziale, che grava sul contribuente (quando, come nella specie, ne derivi una tassazione attenuata) deve essere valutata con maggior rigore rispetto alla prova richiesta nei rapporti di tipo privatistico. Se la scelta pertinenziale non è giustificata da reali esigenze (economiche estetiche, o di altro tipo), non può avere valenza tributaria, perché avrebbe l’unica funzione di attenuare il prelievo fiscale, eludendo il precetto che impone la tassazione in ragione della reale natura del cespite. 

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