TFR in busta paga a tassazione ordinaria: chi lo richiede paga più tasse
Come avevamo preannunciato con i primi dubbi sul TFR in busta paga, potrebbe non convenire richiedere il pagamento del trattamento di fine rapporto in busta paga mensile, anziché alla fine del rapporto di lavoro.
Dall’analisi dell’articolo inserito nella Legge di Stabilità 2015, la tassazione applicata in caso di erogazione del TFR nello stipendio mensile, è la tassazione ordinaria invece della tassazione separata applicata sul TFR erogato a fine rapporto di lavoro.
Uno studio conferma che già con 15.000 euro di reddito imponibile Irpef annuale si subisce, in caso di TFR nel cedolino mensile, una tassazione superiore di 50 euro all’anno, e sopra i 28.000 euro le maggiori imposte Irpef da pagare sono di 300 euro all’anno. Pertanto richiedere il pagamento del TFR mensilmente potrebbe realmente non convenire al lavoratore, il quale perderebbe anche la rivalutazione del TFR stesso.
Il calcolo del TFR spettante annualmente è pari a circa il 6,91% della retribuzione imponibile annua. Con 10.000 euro lordi annui il TFR lordo è di 691 euro, con 20.000 euro è di 1.381 euro lordi, con 25.000 euro è di 1.727 euro lordi, con 30.000 euro lordi il TFR annuo lordo è di 2.073 euro. Se il lavoratore chiede il TFR erogato in busta paga avrà un dodicesimo di questa cifra annuale. Ma su questa cifra va applicata la tassazione, che è ordinaria e non separata.
Ma andiamo con ordine, vediamo prima il testo della norma che introduce il TFR in busta paga e poi il calcolo di convenienza nel richiederlo.
L’art. 6 del disegno di Legge di Stabilità 2015, quindi non ancora in vigore ma che potrebbe essere approvato, introduce un comma 756-bis all’art. 1 della Legge n. 296/2006.
Questo nuovo comma stabilisce: “In via sperimentale, in relazione ai periodi paga decorrenti dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018, i lavoratori dipendenti del settore privato, esclusi i lavoratori domestici ed i lavoratori del settore agricolo, che abbiano un rapporto di lavoro in essere dal almeno 6 mesi presso il medesimo datore di lavoro possono richiedere al datore di lavoro medesimo, ovvero, anche per i lavoratori assunti dopo il 1° gennaio 2015, entro i termini definitivi dal decreto di cui al comma 8, di percepire la quota maturanda di cui all’articolo 2120 del codice civile, al netto del contributo i cui all’articolo 3, ultimo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297, compresa quella eventualmente destinata ad una forma pensionistica complementare di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2004, n. 252, tramite liquidazione diretta mensile della medesima quota maturanda come parte integrativa della retribuzione”.
Continua l’art. 6: “La predetta parte integrativa della retribuzione è assoggettata a tassazione ordinaria e non è imponibile ai fini previdenziali”.
Riepilogando:
- Il TFR in busta paga mensile può essere richiesto dal lavoratore per il periodo dal 1 marzo 2015 al 30 giugno 2018;
- TFR in busta paga solo per datori di lavoro del settore privato, esclusi i dipendenti pubblici, i lavoratori domestici e i lavoratori del settore agricolo;
- L’importo del TFR è comprensivo della quota maturanda per le forme pensionistiche complementari;
- Il TFR è parte integrativa della retribuzione e per questo è assoggettata a tassazione ordinaria.
La richiesta del lavoratore non è revocabile. Ancora nell’art. 6: “La manifestazione di volontà di cui al presente comma, qualora esercitata, è irrevocabile fino al 30 giugno 2018”. E poi aggiunge: “In caso di mancata espressione della volontà di cui al presente comma resta fermo quando previsto dalla normativa vigente”.
In sostanza la richiesta dell’erogazione del TFR in busta paga mensilmente è una libera scelta del lavoratore, ma se questi comunica di volere il TFR ogni mese nel proprio cedolino, la scelta vale fino al 30 giugno 2018 e non può essere revocata. Ovviamente se il lavoratore non richiede il TFR in busta paga mensile, il trattamento di fine rapporto matura e viene accantonato secondo la normativa attualmente in vigore, quindi a fine anno viene rivalutato nella parte accantonata dell’anno precedente, a cui si aggiungono le quote di TFR maturate nell’anno, ed il tutto, le cifre sono indicate nel CUD. L’erogazione, ovviamente, avverrà al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
Conviene il TFR in busta paga mensile?
Chiarito gli aspetti generali della facoltà concessa ai lavoratori di richiedere il TFR erogato in busta paga mensile nei cedolini da marzo 2015 a giugno 2018, vediamo ora l’analisi di convenienza, visto che la tassazione è diversa. La tassazione è ordinaria se il TFR è inserito nelle buste paga mensile, mentre sarà a tassazione separata se il TFR viene pagato a fine rapporto di lavoro.
Un primo studio della Fondazione dei Consulenti del Lavoro, parere n. 3/2014, ha dimostrato che sopra i 15.000 euro di reddito si perdono 50 euro in tasse all’anno, per un totale di 166 euro fino al 2018. E questo fino a 28.650 euro.
Sopra i 28.650 euro di reddito imponibile fiscale, la tassazione ordinaria sul TFR in busta paga rispetto alla tassazione separata del TFR se il lavoratore ricevesse il pagamento del trattamento di fine rapporto appunto alla fine del rapporto, diventa poco conveniente.
Con 33.000 euro di reddito, si può ricevere circa 118 euro netti in più in busta paga, ma per effetto della tassazione ordinaria in luogo di quella separata, si paga un’imposta Irpef annuale maggiore di 300,74 euro. E fino al 30/06/2018 la perdita economica è di 1.002 euro. Il TFR mensile spettante infatti, applicando la tassazione separata, non sarebbe di 118 euro ma di 143 euro, una bella differenza. Il TFR in busta paga pertanto può convenire solo a chi ha redditi che non comportano le aliquote Irpef più elevate.