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Contratto a chiamata: la disponibilità del lavoratore al lavoro intermittente

Il contratto di lavoro intermittente o a chiamata o job on call è stato introdotto dalla Legge Biagi per i lavori discontinui. La sua caratteristica è l’assenza di continuità nella prestazione lavorativa ed il pagamento di una indennità di disponibilità, retribuita se il lavoratore si obbliga in caso di chiamata. Vediamo tutti gli aspetti.
A cura di Antonio Barbato
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contratto di lavoro intermittente

Tra i contratti di lavoro speciali previsti dall’ordinamento giuridico in materia di lavoro c’è il contratto di lavoro intermittente (definito anche contratto a chiamata o lavoro job on call). Questo contratto è stato introdotto dalla Legge Biagi, il Decreto Legislativo n. 276 del 2003 ed è uno dei contratti con flessibili con orario di lavoro ridotto e modulato con prestazioni flessibili. Questo tipo di contratto era stato abrogato dalla legge n. 247 del 2007, ma con il Decreto Legge 112 del 2008 è stato poi ripristinato. Quindi dal 25 giugno 2008 è di nuovo possibile stipulare il contratto di lavoro intermittente.

Il contratto a chiamata o lavoro intermittente o job on call, disciplinato dagli art. 33-40 del D. Lgs. 276/03, è un particolare contratto di lavoro subordinato mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro, che ne può utilizzare la prestazione lavorativa quando ne ha effettivamente bisogno, per periodi non continuativi, nei limiti e nelle condizioni stabilite nei casi di ricorso al lavoro intermittente elencati nell’art. 34 del Decreto stesso, che poi vedremo. Il contratto può essere stipulato sia a tempo determinato che a tempo indeterminato.

L’elemento essenziale di questo tipo di contratto è l’assenza di continuità nella prestazione lavorativa. In pratica, il lavoratore lavora solo su richiesta del datore. Infatti si pone a disposizione del datore di lavoro e quest’ultimo può decidere autonomamente se e quando impiegarlo, a seconda delle proprie esigenze d’impresa. In riferimento a ciò, esistono due tipologie di lavoro intermittente:

  • Il contratto a chiamata con espressa pattuizione dell’obbligo di disponibilità del lavoratore;
  • Il contratto a chiamata senza l’obbligo di disponibilità del lavoratore.

La differenza è sostanziale. Nel contratto a chiamata con obbligo di disponibilità del lavoratore, quest’ultimo, avendo inserito nel contratto la propria disponibilità, è obbligato a restare a disposizione del datore di lavoro per effettuare prestazioni lavorative quando il datore stesso lo richieda.  Il datore ha un giorno lavorativo come preavviso di chiamata per avvertire il lavoratore della necessità di svolgere la prestazione lavorativa.

Mentre in caso contrario, nel contratto a chiamata senza obbligo di disponibilità il lavoratore non si impegna contrattualmente all’obbligo di disponibilità e quindi di accettare la chiamata del datore di lavoro. Quindi in questo secondo caso il lavoratore è libero di rifiutare la chiamata.

La retribuzione nel lavoro intermittente. Il lavoratore ha diritto a percepire la retribuzione dal datore di lavoro solo per i periodi effettivamente lavorati. Mentre per il restante tempo in cui non lavora percepisce una indennità di disponibilità solo se contrattualmente si è impegnato a rispondere alla chiamata dell’azienda. Approfondiamo in seguito la misura dell’indennità di disponibilità.

Cumulabilità con altri contratti di lavoro. Il lavoratore può stipulare altri contratti di lavoro intermittente o anche altri contratti di lavoro di natura diversa (si pensi al part-time), ma sempre che questi siano compatibili con il contratto di lavoro a chiamata, ed anche con l’eventuale disponibilità.

SOMMARIO
Casi in cui è ammesso il ricorso al lavoro intermittente
I divieti al ricorso al lavoro intermittente
Forma e contenuto del contratto a chiamata
La riassunzione del lavoratore intermittente a tempo determinato
Il trattamento economico: la retribuzione dei lavoratori intermittenti
Indennità di disponibilità: quanto spetta al lavoratore e quali sono i suoi doveri
Le prestazioni Inps che spettano nel lavoro intermittente

Casi in cui è ammesso il ricorso al lavoro intermittente

L’art. 34 del Decreto Legislativo n. 276 del 2003 indica specificamente quali sono i casi in cui è consentito il ricorso al contratto a chiamata per la stipula di un contratto di lavoro con un lavoratore. Più precisamente si può ricorrere al lavoro intermittente in presenza delle seguenti tre causali:

  • per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente secondo le esigenze
    individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale;
  • per periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno (i week-end, le ferie estive, le vacanze pasquali o natalizie). Dal 18 luglio 2012, per effetto delle modifiche della riforma del lavoro non è più consentito l'utilizzo in questi casi. Per maggiori informazioni vediamo come cambia il contratto a chiamata;
  • in via sperimentale con soggetti in stato di disoccupazione con meno di 25 anni di età (dal 18 luglio 2012, meno di 24 anni) ovvero con lavoratori con più di 45 anni di età (dal 18 luglio 2012, con più di 55 anni), anche pensionati; Non è necessario ai fini di questo requisito la presenza di uno stadio di inoccupazione di lunga durata.

Per quanto il primo punto, i contratti collettivi possono dettare le condizioni in presenza delle quali è possibile utilizzare il contratto a chiamata o possono stabilire ulteriori periodi predeterminati di cui al secondo punto, mentre non possono vietare l’utilizzo del contratto di lavoro intermittente se sussistono le tre condizioni appena elencate.

In ogni caso, in assenza di regolamentazione da parte dei contratti collettivi di settore, le attività da considerarsi a carattere discontinuo che consentono la stipula del contratto di lavoro intermittente sono le tipologia di attività indicate nella tabella allegata al R.D. n. 2657/1923, che riguarda le occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia.

Alcuni esempi. L’elenco è corposo. Rientrano nella categoria ad esempio i custodi, i guardiani notturni e diurni, i portinai, i fattorini, i camerieri, il personale di servizio e di cucina negli alberghi, trattorie ed esercizi pubblici in generale, il personale addetto al trasporto di persone e di merci, il personale addetto alla sorveglianza, agli stabilimenti di bagni e acque minerali, i barbieri, i parrucchieri, i pompisti dei distributori di benzina, ecc.

Il Ministero precisa quali sono i periodi predeterminati.  Il Ministero del Lavoro con una circolare del 2005 e l’Inps con una circolare del 2006 hanno definito quali solo i periodi di riferimento per la stipula del contratto a chiamata. Si parla del cosiddetto contratto weekend, che va dalle 13 del venerdì pomeriggio alle 6 del lunedì mattina. Oppure quei contratti che riguardano la copertura di periodi in cui può essere necessario incrementare la forza lavoro, come ad esempio il periodo natalizio o le vacanze di Pasqua. Nelle festività natalizie il periodo è tra il 1 dicembre e il 10 gennaio, mentre per le festività pasquali il periodo di lavoro intermittente va dalla domenica delle Palme al martedì successivo al lunedì dell’Angelo (pasquetta). Per le ferie estive invece il periodo va dal 1 giugno al 30 settembre.

Divieti al ricorso al lavoro intermittente

L’art. 34 comma 3 del Decreto Legislativo n.. 276 del 2003, detta tutti i casi in cui è vietato il ricorso al contratto a chiamata o lavoro intermittente per la stipula di un contratto di lavoro. Il ricorso al contratto a chiamata è vietato:

  • per sostituire lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
  • salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente ovvero presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario (Cassa Integrazione), con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;
  • da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, il Testo Unico in materia di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.

Forma e contenuto del contratto a chiamata

Il lavoro intermittente prevede la stesura di un contratto scritto ai solo fini della prova. E secondo l’art. 35 del D. Lgs. 276/03 è richiesta per provare i seguenti elementi:

  • l’indicazione della durata (che può essere a tempo indeterminato o determinato) e delle ipotesi oggettive o soggettive che consentono la stipula del contratto a chiamata;
  • luogo e modalità della disponibilità, eventualmente garantita dal lavoratore, e del relativo preavviso di chiamata, che in ogni caso non può essere inferiore ad un giorno lavorativo;
  • trattamento economico e normativo e relativa indennità di disponibilità, ove prevista.
  • indicazione delle forme e modalità, con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l'esecuzione della prestazione di lavoro, nonché delle modalità di rilevazione della prestazione;
  • i tempi e le modalità di pagamento della retribuzione e della indennità di disponibilità;
  •  le eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione al tipo di attività dedotta in contratto.

In ogni caso, le parti oltre a rispettare la legge in materia di contenuto del contratto job on call, devono sempre far riferimento a quanto prevede il contratto collettivo, che può integrare le disposizioni o fornire delle linee guida sulla stipula del contratto a chiamata nel settore di riferimento del CCNL.

Il Ministero nella circolare n. 4 del 2005 sulla disponibilità data dal lavoratore, ed il conseguente diritto all’indennità di disponibilità, precisa che nel contratto job on call devono essere specificate la forma della chiamata, della conferma da parte del datore di lavoro e del preavviso delle relative comunicazioni. La chiamata può essere effettuata sia in forma scritta che orale, l’importante è che sia specificato sul contratto.

Il rischio della trasformazione in un contratto a  tempo pieno. Il datore di lavoro deve avere far valere motivazioni e ipotesi oggettive e soggettive valide nel caso stipuli un contratto di lavoro intermittente. Infatti, se non ci sono ragioni oggettive o soggettive, oppure se il contratto è stipulato in violazione di un divieto di legge, è prevista la conversione del contratto stesso in un contratto a tempo pieno. Ove si accerti che le parti non avrebbero voluto la stipula contrattuale senza la clausola dell’intermittenza ci potrà essere la nullità dell’intero contratto.

Mancanza della forma scritta. In questo caso, il contratto a chiamata o job on call sarà comunque valido se la sua esistenza potrà essere provata con altri mezzi (ma nel caso del lavoratore conviene sempre la stipula con la forma scritta, essendo difficoltoso provare l’esistenza del rapporto di lavoro intermittente).

Comunicazione preventiva (nuovo obbligo della riforma del lavoro)

La più importante novità introdotta per il lavoro intermittente è un obbligo di comunicazione preventiva connesso non alla sottoscrizione del contratto ma alla chiamata del lavoratore.  La finalità è “scongiurare possibili fenomeni distorsivi nell’utilizzo del contratto a chiamata”, come precisato dal Ministero del Lavoro nella circolare n. 18/2012.

Prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni, il datore di lavoro è tenuto a comunicarne la durata con modalità semplificate alla Direzione territoriale del lavoro competente per territorio, mediante sms, fax o posta elettronica”.

Questa comunicazione va fatta ogni volta che si chiama il lavoratore a svolgere l’attività lavorativa e non solo, come già previsto, al momento della stipula del contratto di lavoro intermittente. Per attenuare il carico amministrativo e burocratico connesso a questo adempimento, ai datori di lavoro è data la possibilità di effettuare una unica comunicazione preventiva prima dell’inizio della prestazione lavorativa anche quando il lavoratore debba svolgere un ciclo di prestazioni, ossia lavorare una serie di giorni per una durata non superiore a 30 giorni. Vanno comunicate le giornate di lavoro, non serve comunicare l’orario di lavoro. La comunicazione può essere effettuata il giorno lavorativo stesso, purché antecedentemente all’effettivo impiego del lavoratore. Inoltre può essere indicata la chiamata, nella comunicazione, anche per più di un lavoratore.

La sanzione per mancata comunicazione. Il mancato adempimento della comunicazione preventiva alla Direzione territoriale del lavoro comporta una sanzione amministrativa e pecuniaria da 400 a 2.400 euro per ciascun lavoratore. Per maggiori informazioni, vediamo la comunicazione preventiva nel lavoro intermittente.

La riassunzione del lavoratore intermittente a tempo determinato

Si tratta del caso in cui il contratto a chiamata o job on call è stipulato dalle parti a tempo determinato e alla scadenza c’è la volontà del datore di lavoro e del lavoratore di proseguire il rapporto attraverso la stipula di un ulteriore contratto di lavoro intermittente.

Su questo tema è intervenuto il Ministero del Lavoro con un interpello nel 2009,  chiarendo che in materia di riassunzione del lavoratore intermittente, alle stesse condizioni del primo contratto a chiamata già stipulato, non va applicata la disciplina prevista nel caso di riassunzione del lavoratore a termine, che prevede all’art. 5 comma 3 del D. Lgs. 368 del 2001 un periodo di 20 giorni (o di 10 giorni, se il contratto a termine era inferiore a 6 mesi) tra un contratto e l’altro. Nel contratto a chiamata tali intervalli non saranno necessari.

Lavoro intermittente e contratto a termine. Il Ministero definisce il contratto a chiamata “una fattispecie lavorativa sui generis” e che non trova in alcun modo applicazione la disciplina del contratto a tempo determinato. Inoltre per la stipula di quest’ultimo sono necessarie ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.

Il trattamento economico: la retribuzione dei lavoratori intermittenti

L’art. 38 del Decreto Legislativo n. 276 del 2003 interviene stabilendo che per i periodi in cui il lavoratore svolge attività lavorativa ha diritto allo stesso trattamento spettante ad un lavoratore di pari livello di assunzione a tempo pieno con le stesse mansioni. Quindi c’è il principio della non discriminazione. La retribuzione ovviamente va proporzionata all’entità del lavoro prestato, delle ore di lavoro o delle giornate di lavoro effettuate.

Vi è infatti il principio di proporzionalità in ragione del quale il trattamento economico, normativo e previdenziale spettante al lavoratore intermittente è riproporzionato, in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, rispetto ai seguenti elementi:

  • All’importo della retribuzione globale spettante e delle sue singole componenti;
  • alle ferie e alla malattia;
  •  all’infortunio sul lavoro e alla malattia professionale;
  • Alla maternità ed ai congedi parentali.

Retribuzione delle ferie. Per quanto riguarda le ferie retribuite, il Ministero ha precisato che nei contratti di lavoro intermittente a tempo determinato è consentita la monetizzazione in tutto o in parte delle ferie residue, cioè quelle non godute dal lavoratore.

Si ricorda che il lavoratore non ha diritto a percepire la retribuzione per i periodi in cui non effettua la prestazione lavorativa, cioè quando resta disponibile a rispondere alla chiamata del datore di lavoro. In questo periodo non è titolare di nessun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati, né matura alcun trattamento economico e normativo. Nel caso di obbligatorietà della disponibilità il lavoratore matura invece la retribuzione relativa all’indennità di disponibilità.

Retribuzione in caso di malattia. Per quanto riguarda la retribuzione spettante in caso di malattia, se l’evento cade durante il periodo di lavoro al lavoratore spetta l’indennità di malattia riconosciuta dall’Inps calcolata sulla base della retribuzione percepita durante lo svolgimento dell’orario di lavoro.  La retribuzione di riferimento è quella dell’ultimo anno divisa per il divisore annuo che è 360 per gli impiegati e 312 per gli operai.

Se la malattia ricade durante il periodo in cui il lavoratore non svolge prestazione lavorativa ma è in attesa della chiamata da parte del datore di lavoro, al lavoratore senza obbligo di chiamata non spettando la retribuzione, non spetta neanche l’indennità di malattia, mentre al lavoratore che percepisce l’indennità di disponibilità spetta l’indennità di malattia calcolata sulla base della retribuzione che in questo caso è l’importo percepito come indennità di disponibilità.

Indennità di disponibilità: quanto spetta al lavoratore e quali sono i suoi doveri

Il Ministero del Lavoro con una circolare, la n. 4 del 2005, ha chiarito che per i periodi nei quali il lavoratore intermittente è a disposizione del datore di lavoro in attesa di una utilizzazione spetta un’indennità specifica, detta di disponibilità, corrisposta a consuntivo alla fine del mese.

L’indennità di disponibilità è stabilita nella sua misura dai contratti collettivi. Essa può essere divisibile in quote orarie e non può essere inferiore in ogni caso alla misura minima che è stabilita con decreto ministeriale.

La misura dell’indennità: Almeno il 20% della retribuzione. Attualmente la misura minima dell’indennità di disponibilità è pari al 20% della retribuzione prevista dal CCNL applicato dall’azienda. Si tratta della retribuzione che comprende il minimo tabellare, l’indennità di contingenza, l’E.D.R. confederale, e i ratei di mensilità aggiuntiva, sia tredicesima che quattordicesima. L’indennità è soggetta a contribuzione previdenziale.

L’indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo, compreso il trattamento di fine rapporto, il calcolo della tredicesima e della quattordicesima mensilità, lo precisa il Ministero sempre nella circolare n. 4 del 2005.

Nel caso di lavoro intermittente per prestazioni che sono da rendersi durante il weekend, o il periodo natalizio, o il periodo di Pasqua, oppure nelle ferie estive, l’indennità di disponibilità è corrisposta solo in caso di effettiva chiamata da parte del datore di lavoro. In tale caso l’indennità spetta sia per il periodo precedente alla chiamata, sia per il periodo successivo fino al termine del periodo determinato.

Contributi previdenziali, niente minimale.  La norma prevede che la contribuzione da versare sull’indennità di disponibilità è calcolata sulla base dell’ammontare effettivo dell’indennità. In questo caso c’è una deroga rispetto alla normativa Inps che prevede il minimale contributivo sul quale si calcola la contribuzione (anche se la retribuzione lorda erogata è inferiore).

Doveri del lavoratore obbligato alla disponibilità ed il rifiuto ingiustificato. L’inserimento nel contratto di lavoro intermittente della disponibilità resa al datore di lavoro, vincola esplicitamente il lavoratore al rispetto di tale impegno. L’obbligo di rispondere alla chiamata del datore di lavoro deve essere perciò pattuito espressamente e il rifiuto ingiustificato del lavoratore che si era impegnato a rendersi disponibile, costituisce un inadempimento contrattuale che per la sua gravità può comportare la risoluzione del contratto di lavoro intermittente, la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo all’ingiustificato rifiuto ed anche il risarcimento del danno nella misura che viene fissata dai contratti collettivi o, in mancanza, nel contratto individuale tra datore di lavoro e lavoratore stesso. Ovviamente l’onere della prova della minore gravità del rifiuto, della giustificatezza dello stesso, grava sul lavoratore.

Indennità di disponibilità e l’assenza per malattia, infortunio, ecc. Possono capitare eventi che rendono indisponibile, contro sua volontà, il lavoratore allo svolgimento della prestazione lavorativa nonostante la disponibilità data al datore di lavoro e contrattualmente prevista. E’ il caso ad esempio della malattia o dell’infortunio e di tutte le altre cause di assenza temporanea da lavoro.

In questo caso il lavoratore è tenuto ad informare tempestivamente il datore di lavoro, specificando la durata dell’impedimento. In questo periodo di assenza, non matura l’indennità di disponibilità. Il lavoratore che non ottempera all’obbligo di comunicazione appena descritto, perde il diritto all’indennità per un periodo di 15 giorni, salvo che nel contratto individuale stipulato non sia stata inserita una deroga.

Le prestazioni Inps che spettano nel lavoro intermittente

Periodo di disponibilità e prestazioni previdenziali. L’Inps ha precisato che per tutto il periodo di disponibilità, essendo l’indennità di disponibilità corrisposta dal datore di lavoro assoggettata a contribuzione previdenziale obbligatoria, al lavoratore spettano i diritti di tutti gli altri lavoratori in materia di tutela della malattia, della maternità.

Disponibilità e indennità di malattia e infortunio. Per quanto riguarda le tutele previste per la generalità dei lavoratori in caso di malattia e infortunio, queste trovano applicazione nei confronti dei lavoratori a chiamata solo se si verificano in ragione del rapporto di lavoro. Come già visto, nessun diritto è riconosciuto se la malattia o l’infortunio si verificano in periodi di inattività (senza disponibilità).

La disponibilità invece, essendo un obbligo di rispondere alla chiamata che comporta il pagamento di una indennità e soprattutto dei contributi all’Inps, genera il diritto per il  lavoratore all’indennità di malattia nei periodi di assenza da lavoro (periodi di indisponibilità alla chiamata).

Lavoro intermittente e assegno per il nucleo familiare. Anche nel contratto a chiamata al lavoratore spetta l’assegno per il nucleo familiare. La misura è pari a quella degli altri lavoratori dipendenti, ma è riconosciuta per i periodi di effettiva prestazione lavorativa e non per quelli di disponibilità.

Contratto a chiamata e congedo di maternità. L’indennizzo spettante alla lavoratrice, l’indennità di maternità, è riconosciuto per l’intero periodo di congedo. Per i lavoratori senza obbligo di reperibilità purché inizia entro 60 giorni dal termine dell’ultima fase lavorativa. In ogni caso, si applicano gli stessi principi previsti nel caso di maternità nel contratto a termine.

I criteri di calcolo dell’indennità di maternità sono gli stessi descritti precedentemente per la retribuzione in caso di malattia, vale a dire per i periodi di lavoro sulla base della retribuzione percepita durante lo svolgimento dell’orario di lavoro con riferimento all’ultimo anno di lavoro e applicando il divisore annuo (360 per gli impiegati e 312 per gli operai). Per i periodi di disponibilità, il riferimento è alla retribuzione percepita, cioè l’indennità di disponibilità.

Lavoro intermittente e congedo parentale. Questa tipologia di congedo spetta solo per le giornate che ricadono nel periodo di lavoro, non nelle giornate in cui si percepisce l’indennità di disponibilità. La retribuzione da prendere a riferimento è quella della giornata piena.

Lavoro a chiamata, disoccupazione e mobilità. Il lavoratore che ha in corso un contratto di lavoro intermittente non può richiedere l’indennità di disoccupazione la quale spetta, nei casi di maturazione del diritto, solo al termine del rapporto di lavoro e non spetta per le fasi non lavorative in costanza di rapporto (cioè il periodo di attesa della chiamata). L’indennità di mobilità, invece, non spetta in nessun caso.

Lavoro intermittente e Cassa integrazione guadagni. La Cassa integrazione guadagni, sia ordinaria che straordinaria, spetta invece solo nel caso in cui il lavoratore abbia risposto alla chiamata prima che l’azienda sia ricorsa all’intervento della Cig.

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